Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-04-2011) 22-07-2011, n. 29429

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Roma ricorre per Cassazione avverso la ordinanza 25.10.2010 con la quale il Tribunale del riesame ha annullato l’ordinanza cautelare della custodia in carcere disposta dal Giudice delle indagini preliminari 4.10.2010 emessa nei confronti di S.G. e SC.Fi.An. accusati: 1) del delitto di cui agli artt. 110 e 81 cpv. c.p., art. 644 c.p. commesso in danno di C.S. e G. F.; 2) del delitto di cui agli artt. 110,629,81 cpv. cp commesso in danno di G. (in relazione al trasferimento della proprietà di una imbarcazione per un prezzo inferiore a quello reale); 3) (nei confronti del solo S.) del delitto di cui agli artt. 56 e 629 c.p. commesso in data (OMISSIS) presso lo autosalone del G.. L’ufficio della Pubblica accusa richiede l’annullamento della ordinanza impugnata denunciando il vizio di motivazione (mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), tanto in riferimento alle statuizioni relative al delitto di usura (1^ motivo), tanto in riferimento a quelle attinenti ai delitti di estorsione e tentata estorsione (2^ motivo).

Interviene nel giudizio lo SC.Fi.An. tramite il difensore, depositando memoria con la quale rilevata l’infondatezza del ricorso dell’Ufficio del Pubblico Ministero in riferimento al primo motivo, sottolinea che, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, per "fatto diverso" deve intendersi non solo la ipotesi in cui il fatto storico integri una diversa imputazione pur nella sua invarianza fattuale, ma anche la diversa ipotesi per la quale, ferma la qualificazione giuridica del fatto, questo abbia connotazioni materiali difformi da quelli originariamente descritti nel capo di accusa. Con riferimento al secondo motivo di ricorso dell’ufficio del Pubblico Ministero, la difesa sostiene ancora, che si tratta di questioni attinenti al merito dei fatti e come tali non suscettibili di attenzione in sede di legittimità.

Dalla lettura del provvedimento impugnato si evince che nel corso di intercettazioni telefoniche effettuate sull’utenza telefonica intestata a C.S. erano emerse prove da un lato, di una sua attivazione nel mondo dell’usura e dall’altro che la stessa, e il G. erano a loro volta, vittime di attività usuraria posta in essere dagli odierni indagati S. e SC..

Sulla scorta delle risultanze delle intercettazioni telefoniche, emergendo dalle stesse una attività criminosa in fieri, l’ufficio del Pubblico Ministero richiedeva l’emissione di ordinanza cautelare in carcere nei confronti degli imputati stessi, iniziando nel contempo procedimento penale nei confronti della C. per i reati di usura e favoreggiamento reale e del G. siccome arrestato in flagranza per violazione della legge sulle armi, essendo stata rinvenuta nel corso della perquisizione effettuata nella sua abitazione, una pistola con numero di matricola abraso.

Si evince ancora dal provvedimento impugnato che successivamente all’esecuzione del provvedimento cautelare, il Pubblico Ministero proseguiva la attività di indagine svolgendo l’esame di tutti gli imputati.

Avverso il provvedimento cautelare hanno proposto impugnazione, in sede di riesame, gli indagati S. e SC., lamentando fra l’altro, sotto il profilo procedimentale, inizialmente, la mancata tempestiva messa a disposizione da parte dell’ufficio del Pubblico Ministero della copia del contenuto del intercettazioni telefoniche ritenute rilevanti ai fini della richiesta della ordinanza cautelare e successivamente il fatto che solo parte dette suddette intercettazioni erano state riportate su un CD consegnato dal Pubblico Ministero; il Tribunale del riesame, prescindendo dalla questione della "utilizzabilità" del contenuto delle conversazioni (indipendentemente dalla tempistica e dalle anomalie verificatesi per garantire alla difesa dello Sc. l’esercizio dei propri diritti processuali), ha rilevato che la misura cautelare era fondata esclusivamente sull’esito delle intercettazioni telefoniche e che solo successivamente alla sua esecuzione erano stati compiuti dall’Ufficio dell’accusa ulteriori indagini i cui verbali (esame degli indagati e documentazione sequestrata nel corso delle perquisizioni) venivano puntualmente riversati nel fascicolo messo a disposizione del Giudice del riesame. Sulla base della complessiva valutazione dell’intero materiale probatorio messo a sua disposizione il Tribunale ha quindi affermato: "…il collegio non può che rilevare l’impossibilità di conciliare detta imputazione provvisoria con le risultanze in atti e persino con il dichiarato delle parti offese, che hanno delineato un quadro radicalmente diverso in cui esistono distinti e paralleli rapporti di finanziamento con gli indagati, anzichè un unico rapporto, e paralleli impegni restitutori e condizioni".

Sulla base di questa premessa, il Tribunale ha riportato, per procedere a successiva analisi comparativa, in riassunto, il contenuto delle dichiarazioni rispettivamente rese dalla C., dal G., dallo S. e dallo S., rilevando le incongruenze intercorrenti fra le stesse e con il contenuto delle intercettazioni telefoniche. Il Tribunale, inoltre ha posto in evidenza che il complesso delle somme consegnate dallo S. e dalla SC. costituivano autonome linee di finanziamento erogata alla coppia C. – G., pur apparendo unico il canale attraverso il quale venivano ripagati gli interessi e il capitale e che la movimentazione finanziaria erogata complessivamente dallo S. e dallo SC. (sulla scorta delle dichiarazioni rese anche dalla stessa C.) era di importo ben superiore rispetto a quanto contestato dall’ufficio del Pubblico Ministero nel capo di imputazione provvisorio, emergendo quindi un diverso calcolo degli interessi, di sicuro rilievo usurario anche di importo maggiore rispetto a quanto contenuto nel capo di imputazione. in relazione alla vicenda integrante il delitto di estorsione consistita nel fatto che il G., a ristoro parziale dei propri debiti, aveva ceduto allo S. una propria imbarcazione per un prezzo inferiore al suo valore venate (di qui la realizzazione dell’ingiusto profitto usurario ascritto all’indagato) il Tribunale ha rilevato l’esistenza di contraddizioni tra quanto emerso dalle intercettazioni e quanto dichiarato dal G., nonchè ulteriori contraddizioni in relazione al prezzo dichiarato e quello effettivo intercorso tra le parti a scomputo e il maggior debito contratto dal G. con lo S., ed infine la circostanza che con la cessione del possesso dell’imbarcazione, il G. aveva trasferito allo S. anche il connesso contratto di leasing di cui quest’ultimo acquisiva i relativi oneri; concludeva quindi sul punto il Tribunale che per il delitto di estorsione consumata, proprio alla luce delle circostanze emergenti dagli atti, si sarebbe dovuto procedere ad una nuova e diversa riconsiderazione della relativa vicenda. Per quanto, infine al delitto di tentativo di estorsione (verificatosi presso l’autosalone del G. il (OMISSIS)), il Tribunale ha affermato che le "…modalità del fatto non consentono di ravvisare gli estremi di un tentativo di estorsione, in quanto la condotta e la minaccia di spaccare tutto non risulta correlata ad alcuna pretesa di denaro formulata dalla S. nel contesto".

Nella valutazione complessiva della vicenda, sotto il profilo fattuale, il Tribunale ha ancora affermato che "…pur emergendo dagli atti uno scenario inquietante per l’insospettabile sistema utilizzato dagli indagati per garantirsi un’elevata redditività mensile delle somme investite, mascherando i finanziamenti conforme occulte dell’investimento nell’attività dei debitori, pur risultando altamente allarmante la disponibilità da parte degli indagati di ingenti capitali liquidi…, a causa di una ricostruzione del quadro accusatolo non aderente alle risultanze processuali e non sanabile dal Collegio, deve pervenirsi all’annullamento della ordinanza impugnata….". In altri termini il Tribunale del riesame dall’esame degli atti sottoposti alla sua attenzione ha rilevato che il "compendio indiziario utilizzabile consegna un quadro diverso da quello costruito dalla accusa e l’impossibilità di raccordarli induce all’annullamento della ordinanza in ordine alla ipotesi di usura così come contestata. L’impostazione accusatoria seguita per le ipotesi principale ha inevitabile ricaduta anche sulle ulteriori imputazioni in quanto la condotta estorsiva contestata ad entrambi gli indagati e connessa e correlata al reato base".

L’ufficio del Pubblico Ministero, partendo proprio da tale assunto, ravvisa la erroneità della decisione del Tribunale, per avere questi ritenuto "fatto diverso" quanto emerso dagli atti di indagine rispetto a quanto originariamente contestato dall’ufficio del Pubblico ministero, pur sostanziandosi il fatto ascritto all’interno del quadro normativo del delitto di usura. In altri termini il Pubblico Ministero afferma che "…nessuna diversità del fatto giuridicamente rilevante e per l’effetto nessuna limitazione al diritto di difesa, si apprezza nel caso di specie, laddove anche il riesame ha ritenuto di confermare il quadro indiziario del delitto di usura e solo sono mutate, in pejus, le condizioni economiche del rapporto stesso". Il Pubblico Ministero rileva ancora contraddittorietà nella motivazione, perchè la precisazione del delitto di usura con determinazione del tasso di usura in misura superiore a quella indicata in sede di imputazione provvisoria (come ritenuto dal riesame) avrebbe dovuto comportare la conferma del fumus del delitto meno grave contestato e ritenuto in sede di emissione di ordinanza da parte del GIP. Conclude quindi il Pubblico Ministero, in relazione al primo motivo di ricorso che il Tribunale, ancorandosi ad un criterio meramente formale di individuazione della nozione di fatto diverso, ha contraddittoriamente da un lato affermato che ricorresse il fumus dello stesso delitto di maggiore gravità (avuto riguardo all’entità del prestito e del tasso di interesse) e dall’altro annullato il provvedimento fondato sul fumus dello stesso delitto di gravità minore. Con il secondo motivo l’ufficio del Pubblico ministero denuncia contraddittorietà della motivazione con riferimento alla sussistenza degli estremi del concorso ex art. 110 c.p. dello Sc. rispetto nella illecita condotta attribuita allo S..

Rileva sul punto l’organo ricorrente, che è contraddittorio ritenere autonomi i rapporti finanziari intercorsi tra S., SC. con il G., pur affermandosi che sarebbe innegabile la partecipazione dello SC. all’operazione di finanziamento erogata dallo S., essendo indubbio che egli lo aveva presentato alla coppia, aveva presenziato agli accordi e ne curava la riscossione degli interessi mensili. Rileva infine l’ufficio ricorrente che non può ritenersi escluso il fatto del tentativo di estorsione in ragione della reciprocità dell’aggressione ( G. – S.), dovendosi necessariamente ammettere che il G. si è difeso dall’aggressione dello S.; parimenti contraddittoria sarebbe l’esclusione dell’ipotesi di estorsione contestata allo S. in ragione della circostanza che questi da solo si sarebbe recato presso la concessionaria del G., minacciando di danneggiare le automobili ivi esposte, senza formulare alcuna richiesta di denaro.

Si tratterebbe, secondo la pubblica accusa di una valutazione riduttiva della condotta dell’indagato, che sarebbe rimasta priva di una motivazione. Il ricorso dell’Ufficio del Pubblico Ministero è infondato per le seguenti ragioni. Dalla lettura del provvedimento impugnato e dello stesso ricorso dell’ufficio dell’accusa, si evince che l’imputazione originaria di usura, contenuta nella misura cautelare (fondata sull’esito delle intercettazioni telefoniche) emessa dal Giudice delle indagini preliminari e successivamente sottoposta all’esame del Tribunale del riesame, descrive una condotta fattuale diversa da quella emergente dalla lettura degli atti processuali portati a conoscenza dello stesso Tribunale, comprensiva, oltre che delle intercettazioni telefoniche ritenute rilevanti, anche dei verbali di sequestro operati dalla polizia giudiziaria e dei verbali delle dichiarazioni rese dalle persone sottoposte alle indagini e delle stesse parti lese, atti acquisiti al fascicolo delle indagini preliminari in un momento successivo all’esecuzione del provvedimento cautelare.

Il tribunale del riesame ha indicato l’ambito della propria cognizione, affermando che, mentre è nei suoi poteri procedere ad una diversa qualificazione giuridica del fatto, non ha quello di formulare un giudizio su un’ipotesi di reato diversa rispetto a quella contenuta nel capo di imputazione. La affermazione è corretta. E’ stato in più occasioni affermato in sede di legittimità che il giudice del riesame ha il potere di procedere alla riqualificazione giuridica del fatto alla sola condizione che all’indagato sia stata concretamente assicurata la possibilità di interloquire sul punto (v. Cass. Sez. 6, 19.2.2010 n. 20500 in Ced Cass. Rv 247371; Cas s. Sez. 1, 18.2.2010 n. 9091 in Ced Cass. Rv 246494; Cass. Sez. 6, 12.11.2008 n. 4507 in Ced Cass. Rv 241754;

Cass. Sez. 2, 20.10.1999 n. 4638 in ced Cass. Rv. 216348), mentre non rientra fra i suoi poteri quello di modificare ex officio gli estremi del fatto sul quale è stata chiamato a decidere (v. Cass. 4638/99 cit.); in altri termini il giudice non può ex officio procedere ad una modificazione dell’imputazione, anche se questa, all’esame degli atti, appare diversa perchè più grave (v. in tal senso Cass. Sez 3, n. 2072 del 23.6.1994 in Ced cass. Rv 198837), infatti la funzione di controllo attribuita al giudice del riesame, se pur consente di confermare il provvedimento impositivo anche per ragioni diverse da quelle indicate nel provvedimento stesso, pur tuttavia trova un limite nella correlazione ai fatti posti a fondamento della misura cautelare che non possono essere sostituiti o integrati da ipotesi accusatorie autonomamente formulate dal Tribunale in base a dati di fatto diversi (Cass. Sez. 3, 26.4.2001 n. 26754 in Ced cass. Rv 219217). Il suddetto potere di modificazione della imputazione, quale descrizione del fatto storico da cui l’imputato è chiamato a difendersi, compete, invece, esclusivamente al Pubblico Ministero il quale, nella fase delle indagini preliminari può procedere in qualsiasi momento alle modificazioni fattuali della contestazione, anche nel corso della udienza per il riesame delle misure cautelari (v. in tal senso Cass. Sez. 6, 24.5.2005 n. 36307 in Ced Cass. Rv 232239) tant’è che la modificazione dell’addebito cautelare ad opera del Pubblico ministero in sede di riesame non impedisce al Tribunale di confermare la misura coercitiva in riferimento alla nuova ipotesi accusatoria (Cass. Sez. 2, 26.5.2010 n. 35356 in Ced Cass. Rv 248399). Così fissato il principio di diritto di riferimento, ed esaminando il provvedimento impugnato alla luce del primo motivo di doglianza, si deve rilevare che nessun vizio di motivazione, così come denunciato dal Pubblico Ministero ricorrente, emerge dalla sua lettura. Il Tribunale del riesame, dopo avere affermato di avere ravvisato diversità fra il fatto di usura contestato e quello emergente dagli atti processuali, ha puntualmente indicato le ragioni della propria decisione e i termini per i quali ha ritenuto la diversità del fatto storico ascrivibile ai prevenuti.

L’ufficio ricorrente non ha formulato nessuna doglianza in ordine a quanto indicato dal Tribunale nella propria ordinanza, limitandosi alla censura di illogicità, contraddittorietà e conseguente illegittimità del provvedimento del Tribunale, condividendo peraltro che quello emergente dagli atti era un fatto di usura più grave e, deve aggiungersi, in termini di struttura del fatto, come rilevato dal Tribunale, diverso rispetto a quanto indicato nella imputazione.

La decisione del Tribunale pertanto, alla luce del principio di diritto dianzi illustrato, appare del tutto corretta, ed è infondata la censura del Pubblico ministero che ben avrebbe potuto e dovuto, all’esito dell’acquisizione delle nuove prove, successive all’esecuzione del provvedimento cautelare, procedere a nuova formulazione della imputazione.

Soluzione non diversa si pone per quanto attiene, nell’ambito della disamina del secondo motivo di ricorso, alla questione dell’episodio di estorsione consumata attraverso lo illecito profitto realizzato con il trasferimento del possesso di un natante dal G. allo S.. Il Pubblico ministero rileva estremi di contraddittorietà nella motivazione in punto all’esistenza di elementi di prova a carico dello SC. come concorrente. In realtà, al di là della posizione dello SC., indubbiamente descritta in termini non esaustivamente coerenti, il Tribunale del riesame ha posto in risalto serie perplessità sulla configurazione dell’illecito nella sua struttura base. Infatti, il Tribunale pone in evidenza come debba essere riconsiderata l’intera operazione relativa alla cessione del natante, non essendo del tutto chiaro il prezzo convenuto fra le parti, e quello realmente pagato, con la conseguenza che non sarebbe chiaro se lo S. abbia conseguito un ingiusto profitto con pari danno del G.. Rileva in particolare il Tribunale l’apparente diversità di cifre riportate sull’atto di compravendita, non potendosi stabilire se ciò sia conseguenza di un accordo intervenuto fra le parti o di alterazione falsificatoria riconducibile ad una sola mano e rileva altresì che unitamente al possesso della imbarcazione il G. ha trasferito allo S. anche il contratto di leasing accedente al bene, con l’ulteriore conseguenza che lo S. si sarebbe assunto i relativi obblighi derivanti da detto contratto, fatto, sicuramente incidente in termini di prezzo, sul valore dell’imbarcazione. La motivazione del Tribunale del riesame appare del tutto adeguata. La censura mossa con il secondo motivo di ricorso ed accedente alla fattispecie di tentata estorsione appare invece manifestamente infondata, traducendosi in mera censura in fatto attinente ad aspetti di valutazione della prova che esulano dal controllo di legittimità.

Il ricorso, va, pertanto, rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

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