Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 10-03-2011) 22-07-2011, n. 29462 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 8/10/2009 la Corte di Appello di Napoli, accoglieva l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione avanzata da C.A., ispettore della Polizia di Stato. Questi, sottoposto a fermo di P.G. in data 17/7/1991 (successivamente convalidato dal G.I.P. di Napoli) per i delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 71 – 74, era stato liberato in data 23/7/1992 per decorrenza dei termini.

Successivamente era stato prosciolto dall’imputazione associativa con sentenza del G.U.P. del 2/7/1999; infine assolto con formula piena (ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2) dal Tribunale di Napoli dal delitto di traffico di droga, con sentenza del 14/2/2005.

Nell’accogliere la domanda la Corte territoriale liquidava la complessiva somma di Euro 62.500=; in particolare Euro 37.259,56 per gg. 158 di custodia in carcere (Euro 235,82 x 158) ed Euro 25.232,74 per gg. 214 di custodia agli arresti domiciliari (Euro 117,91 x 214).

2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso il difensore del C. la erronea applicazione della legge penale e la mancanza o illogicità della motivazione. Invero la Corte di merito non aveva tenuto conto, nel liquidare l’indennità, delle conseguenze personali, familiari e di salute della detenzione, evidenziava che la Corte territoriale non aveva adeguatamente apprezzato i presumibili riflessi negativi che l’arresto aveva avuto sulla sua vita personale, anche tenuto conto della infamante.

Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è infondato.

Va premesso che questa Corte ha più volte ricordato (ex plurimis 23119/08, Zaccagni, rv. 240302) che, in materia di equo indennizzo, il canone base per la liquidazione del danno, è costituito dal rapporto tra la somma massima posta a disposizione dal legislatore, la durata massima della custodia cautelare e la durata dell’ingiusta detenzione patita.

La somma che deriva da tale computo (Euro 235,82 per ciascun giorno di detenzione in carcere) può essere ragionevolmente dimezzata (Euro 117,91) nel caso di detenzione domiciliare, attesa la sua minore afflittività.

Tale criterio aritmetico di calcolo costituisce, però, solo una base utile per sottrarre la determinazione dell’indennizzo ad un’eccessiva discrezionalità del giudice e garantire in modo razionale una uniformità di giudizio.

I parametri indicati, pertanto, costituiscono uno standard che fa riferimento all’indennizzo in un’astratta situazione in cui i diversi fattori di danno derivanti dall’ingiusta detenzione si siano concretizzati in modo medio ed ordinario.

Pertanto il parametro di calcolo indicato, può subire variazioni verso l’alto o verso il basso in ragione di specifiche contingenze proprie del caso concreto, ferma pur sempre restando la natura indennitaria e non risarcitoria della corresponsione della somma liquidata.

Ne consegue che al giudice si chiede una valutazione equitativa, discrezionale, sebbene non arbitraria. Egli, infatti, è tenuto ad offrire una motivazione che dia conto, alla luce del materiale probatorio acquisito, delle ragioni per le quali si è distaccato dai parametri standard, con l’unico limite che il frutto della sua ponderazione non può condurre allo "sfondamento del tetto, pure normativamente fissato, dell’entità massima della liquidazione" (cfr. s.u. 9 maggio 2001, Caridi, rv. 218975).

2. Quanto al rapporto tra i criteri di valutazione dell’indennità previsti dagli artt. 315 e 643 c.p.p., premesso che per la riparazione dell’errore giudiziario il giudice non è vincolato dalla fissazione di un tetto massimo per di indennizzo (Cass. iv, 2050/03, Barillà), va ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che la liquidazione dell’indennizzo per la riparazione dell’ingiusta detenzione è svincolata da criteri rigidi, e si deve basare su una valutazione equitativa che tenga globalmente conto non solo della durata della custodia cautelare, ma anche, e non marginalmente, delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla privazione della libertà, e ciò sia per effetto dell’applicabilità, in tale materia, della disposizione di cui all’art. 643 c.p.p., comma 1, che commisura la riparazione dell’errore giudiziario alla durata dell’eventuale espiazione della pena ed alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna, sia in considerazione del valore "dinamico" che l’ordinamento costituzionale attribuisce alla libertà di ciascuno, dal quale deriva la doverosità di una valutazione equitativamente differenziata caso per caso degli effetti dell’ingiusta detenzione (Cass. s.u. 1/1995, Castellani). Ne consegue per insegnamento della SS.UU. che l’entità dell’indennità può tener conto di specifiche voci idonee a correlare il ristoro ai concreti pregiudizi personali e familiari patiti dalla persona ingiustamente sottoposta a custodia.

3. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha esercitato la sua discrezionalità con un’adeguata motivazione.

Invero, ha osservato il giudice di merito che la condotta del C., antecedente all’applicazione della misura cautelare, era stata connotata da colpa, sebbene non di grado tale da escludere la concessione dell’equo indennizzo. Invero dall’istruttoria svolta era emerso che aveva costanti rapporti di frequentazione con E. S. (personaggio in contatto con gli imputati condannati), con il quale aveva effettuato viaggi e con cui aveva rapporti di credito- debito. Inoltre risultava avere avuto cognizione della cessione di stupefacenti da parte dell’ E. ad altro poliziotto ( T.). Orbene va ricordato che questa Corte di legittimità ha statuito che "Il giudice del merito, investito della istanza per l’attribuzione di una somma di danaro a titolo di equa riparazione per l’ingiusta detenzione, ha il dovere di verificare se la condotta tenuta dall’istante nel procedimento penale, nel corso del quale la privazione di libertà si verificò, quale risulta dagli atti, sia connotabile di dolo o di colpa. La condotta colposa concausante può assumere varie gradazioni, che vanno da quella lieve, purchè apprezzabile, a quella grave, idonea ad escludere il diritto all’indennizzo. Nelle altre gradazioni, rispetto a quest’ultima, la colpa sinergica (sotto entrambi i profili considerabili: emissione del provvedimento restrittivo, perdurare dello stato di detenzione) non rimane insignificante, dovendo essere valutata ai fini della "taxatio" sul "quantum debeatur" in applicazione del principio generale di "auto" responsabilità, estraibile dalla lettura degli artt. 1227 e 2056 c.c., per il quale non è da indennizzare il pregiudizio causato, quanto meno per colpa (seppur lieve), dallo stesso danneggiato. La relativa operazione di quantificazione è riservata al giudice del merito che ha obbligo di rendere congrua, adeguata e logica motivazione" (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 1365 del 27/11/1992 Cc. (dep. 18/02/1993), Landò, Rv. 193219; conformi: Cass. Sez. 4, Sentenza n. 126 del 31/01/1994 Cc. (dep. 28/03/1994), Marchetti, Rv. 197955; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 529 del 21/04/1994 Cc. (dep. 08/06/1994), Lin Xian Le, Rv. 198307; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 27529 del 20/05/2008 Cc. (dep. 07/07/2008), Okumboro, Rv.

240889).

Ne consegue, pertanto, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte, che la colpa del C., sebbene non ostativa all’indennizzo, ha determinato il giudice di merito, con coerente e logica motivazione, a liquidare la sua entità in misura non superiore a quella standard.

Alla luce di quanto esposto il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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