T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 01-08-2011, n. 206 4 Provvedimenti contingibili ed urgenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. E’ necessaria una breve ricostruzione dei fatti.

1.1. Il Comune resistente, in data 8 gennaio 2008, aveva aggiudicato all’impresa ricorrente un appalto di lavori per la realizzazione di acquedotto e sottoservizi da realizzare nella frazione di SAN CASSIANO, cui seguiva la stipulazione del relativo contratto in data 14 febbraio 2008.

1.2. Ritenendo i lavori non interamente eseguiti, il Comune intimava due volte alla impresa, in data 7 e 10 maggio 2008, l’attuazione, in tutta l’area interessata dai lavori, delle opere volte al rispetto delle norme di sicurezza.

1.3. Non essendo stato dato seguito alla diffida, con l’ordinanza impugnata (n. 14/2008), il Sindaco ordinava all’impresa la messa in sicurezza del cantiere a mezzo di apposita segnaletica (in particolare quella di indicazione d’attraversamento pedonale), la predisposizione di adeguate transenne, la ripresa dei lavori di realizzazione dell’acquedotto e sottoservizi (con specifico riguardo alla pavimentazione del marciapiede ed allo spostamento dei bancali presenti in loco che ostruivano la viabilità), autorizzando in caso di ottemperanza il RUP ad incaricare in via d’urgenza altra ditta per l’esecuzione di tali lavori.

1.4. Con determinazione n. 135 del 23 maggio 2008, il RUP, preso atto della mancata ripresa dei lavori e della necessità di porre rimedio ad una situazione urgente, affidava ex articolo 125, comma 6, lett. f), d.lgs. n. 163/2006 (previsione relativa al completamento in danno dell’appaltatore inadempiente), i lavori di fornitura e posa delle mattonelle autobloccanti da posizionarsi presso il marciapiede di via SPLUGA ad altre due ditte, i cui lavori venivano conclusi nei giorni successivi. Seguiva l’avvio della procedura per la risoluzione del contratto ex articolo 136 del d.lgs. n. 163/2006, conclusasi con il provvedimento di risoluzione del 25 luglio 2008, notificato all’Impresa il 6 agosto 2008.

2. Con ricorso depositato il 22 luglio 2008, la società ricorrente ha impugnato l’ordinanza contingibile ed urgente n. 14/08 prot. 2435 del 14.5.2008 (notificata in pari data) emessa dal Sindaco del Comune di PRATA CAMPORTACCIO, chiedendo al Tribunale di disporne l’annullamento, previa sospensione, in quanto viziata da violazione di legge ed eccesso di potere. L’impresa fa, inoltre, istanza di condanna al risarcimento dei danni subiti (per acquisto materiale, spese di trasporto, mancato guadagno, danno all’immagine).

Si è costituita in giudizio l’amministrazione resistente, chiedendo il rigetto del ricorso.

2.1. Con ordinanza del 4 settembre 2008, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, ha rigettato la domanda cautelare, ritenendo insussistente sia il fumus boni iuris sia il periculum in mora (sotto quest’ultimo profilo, l’imminenza e l’irreparabilità del pregiudizio invocato sono state escluse in ragione del fatto che i lavori oggetto dell’ordinanza erano oramai conclusi come risultava dalla dichiarazione del 14 luglio 2008 in atti).

2.2. Sul contraddittorio così istauratosi, la causa è stata discussa e decisa con sentenza definitiva all’odierna udienza del 14 luglio 2011.

3. Tanto premesso, il ricorso deve essere respinto per i seguenti motivi.

3.1. In punto di qualificazione, l’atto sindacale impugnato costituisce esercizio del potere di ordinanza attribuito al Sindaco quale ufficiale del Governo, l’interesse alla sicurezza pubblica essendo di natura tale da trascendere l’ambito locale; ciò emerge, inequivocabilmente, dalle forme dell’atto e dalla struttura del procedimento seguito dall’amministrazione. L’assenza dei requisiti oggettivi che legittimano il ricorso al potere di ordinanza sindacale, lamentata dalla impresa, se accertata, può condurre all’annullamento dei provvedimenti, per difetto dei presupposti di fatto o per sviamento del potere dalla sua funzione tipica, senza tuttavia incidere sulla diversa e preliminare questione della loro esatta qualificazione.

3.2. Tanto premesso sulla natura giuridica dell’atto, al fine di replicare alla eccezione di inammissibilità, occorre stabilire se il ricorso (contenente domanda di annullamento e risarcimento del danno) sia stato correttamente proposto mediante notifica al solo Comune, o se non fosse indispensabile costituire tempestivamente il contraddittorio anche nei confronti dell’amministrazione statale (a questa stregua, la notificazione del ricorso avrebbe dovuto essere effettuata nei confronti del Sindaco, quale ufficiale di Governo, presso l’avvocatura distrettuale dello Stato e non presso la sede municipale). La questione è stata, recentemente, oggetto di una accurata ricostruzione (Consiglio Stato, sez. V, 13 agosto 2007 n. 4448).

3.2. E’ stato, preliminarmente, notato come i dubbi sorti sulla corretta individuazione delle parti pubbliche necessarie del giudizio proposto per l’annullamento delle ordinanze contingibili, a ben guardare, discendano dalla ricostruzione offerta del fondamento del potere in questione. All’origine della tradizionale previsione normativa, secondo cui la funzione esercitata si collega alla qualifica di Ufficiale del Governo attribuita al Sindaco, vengono indicate due ragioni essenziali. La prima, di carattere oggettivo e funzionale, intende stabilire una giustificazione razionale della profondità e ampiezza del potere di ordinanza, che (secondo una certa impostazione) può comportare anche deroghe all’ordinamento vigente; si afferma, al riguardo, che un potere di questo tipo, idoneo a superare precetti di rango legislativo e regolamentare (seppure nei rigorosi limiti tracciati dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza di legittimità), potrebbe essere ammesso dall’ordinamento solo se ricondotto alla categoria generale del "potere di Governo", inteso, in senso lato, come cura degli interessi indifferibili ed essenziali della comunità. La seconda ragione, di carattere strutturale e soggettivo, muove dalla antica idea secondo cui tutto il sistema delle autonomie locali troverebbe la propria base organizzativa unitaria nell’apparato statale, nel quadro complessivo dell’ordinamento giuridico; il sindaco esercita poteri tipicamente riconducibili all’autonomia riconosciuta alla comunità territoriale, ma svolge anche compiti spettanti, in origine, allo Stato centrale. Tali argomenti andrebbero, tuttavia, verificati alla luce del successivo avvento del "federalismo amministrativo", prima, e della riforma costituzionale del Titolo Quinto, dopo.

3.3. Secondo un primo indirizzo (prevalente) della giurisprudenza amministrativa, la legittimazione a resistere nei giudizi impugnatori aventi ad oggetto atti adottati dal sindaco in qualità di ufficiale del governo spetta al Comune, in quanto ente designato dall’ordinamento a porre la propria organizzazione al servizio del sindaco stesso, quando agisce come organo periferico dell’amministrazione statale. Anche nella veste di ufficiale del governo, infatti, il sindaco, restando incardinato nel complesso organizzativo dell’ente locale, non potrebbe essere considerato organo dello Stato, con conseguente ritualità della notifica del ricorso giurisdizionale effettuata presso la sede comunale anziché presso l’avvocatura dello Stato (Cons. Stato IV, 28.3.94 n. 291; V, 27.10.86 n. 568; V, 27.11.87 n. 736).

Per contro, sussistono pronunce di segno diverso, secondo le quali il ricorso contro un’ordinanza di necessità adottata dal sindaco nella veste di ufficiale del governo è inammissibile, per mancata instaurazione del contraddittorio, nel caso in cui venga notificato al solo comune e non anche all’Amministrazione statale di settore di volta in volta interessata alla cura dell’interesse pubblico nel domicilio legale della stessa presso l’avvocatura distrettuale dello Stato (TAR Campania Sez. 2^, 14.2.86 n. 27; TAR Liguria 2.2.85 n. 19; Cons. St. IV, 13.12.99 n. 1844).

Secondo l’opinione della Suprema Corte, l’ordinanza contingibile e urgente emessa dal sindaco quale ufficiale del governo è espressione di un potere che appartiene allo Stato, titolare della massima potestà pubblica, ancorché nel provvedimento siano implicati interessi locali; ne consegue che lo Stato, non già il Comune, deve rispondere dei danni derivanti dall’esercizio (o dal mancato esercizio) di tale potere da parte del sindaco, anche con riguardo all’operato di organi comunali che gli sono di supporto (cfr. Cass. III, 31.7.02 n. 11356; Cass. I, 14.2.00 n. 1599; Cass. I, 11.1.99 n. 182; Cass. I, 7.8.97 n. 7291; Cass. SS.UU. 18.11.92 n. 12316 e 14.3.91 n. 2726). Alcune pronunce, poi, collegano l’imputazione della responsabilità all’appartenenza dell’interesse pubblico perseguito, confinando la legittimazione passiva del comune ai soli casi in cui il sindaco agisca, sia pure come ufficiale del governo, a beneficio dei soli abitanti del comune e per la tutela di interessi esclusivamente locali (Cass. SS.UU. 23.4.99 n. 254; Cass I, 21.8.97 n. 7810, 18.5.96 n. 4604).

Nel caso di contestuale azione risarcitoria, alcune pronunce precisano che, essendo le ordinanze contingibili e urgenti manifestazione di prerogative statali, delle quali il sindaco è partecipe nella veste di ufficiale di governo, dei danni derivanti dall’esercizio del potere in questione deve rispondere lo Stato e non il comune; ne consegue che se il ricorso avverso le predette ordinanze, notificato solo al comune, non si limita a chiedere l’annullamento degli atti impugnati ma chiede anche il risarcimento del danno, deve essere integrato il contraddittorio mediante la notifica del ricorso anche alle amministrazioni statali interessate (T.A.R. Molise Campobasso, sez. I, 09 aprile 2009, n. 124; T.A.R. Sicilia Catania, sez. II, 22 ottobre 2007 n. 1697; T.A.R. Friuli Venezia Giulia Trieste, 13 gennaio 2006 n. 35).

3.4. Orbene, in ordine all’ammissibilità dell’azione di annullamento, il Collegio fa proprio l’indirizzo (ex multiis, Consiglio Stato, sez. VI, 12 novembre 2003 n. 7266) secondo cui la legittimazione passiva del comune vada affermata in base ai seguenti argomenti: – l’art. 1 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 (modificato dall’art. 1 della legge 25 marzo 1958, n. 260, e reso espressamente applicabile ai giudizi amministrativi dall’art. 10, terzo comma, della l. 3 aprile 1979, n. 103) attribuisce all’Avvocatura dello Stato la rappresentanza, il patrocinio e l’assistenza in giudizio delle "Amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo", e si riferisce alle Amministrazioni dello Stato nel senso proprio dell’espressione, ossia agli uffici o complessi di uffici facenti parte della struttura organica delle Amministrazioni statali; – quando il Sindaco, nell’adempimento delle sue funzioni, agisce quale ufficiale di governo, l’ordinamento disciplina un fenomeno di imputazione giuridica allo Stato degli effetti dell’atto dell’organo del Comune, nel senso che il Sindaco non diventa un "organo" di un’Amministrazione dello Stato, ma resta incardinato nel complesso organizzativo dell’ente locale, senza che il suo status sia modificato (Sez. IV, 28 marzo 1994, n. 291; Sez. V, 27 novembre 1987, n. 736; Sez. V, 27 ottobre 1986, n. 568; cfr. Trib. Sup. acque pubbliche, 19 maggio 2000, n. 56); – l’esigenza che la notifica del ricorso giurisdizionale abbia luogo nei confronti del Sindaco, presso la sede comunale, è coerente con le caratteristiche del procedimento amministrativo che si conclude con l’atto sindacale, che è istruito, redatto ed emesso dagli uffici dell’Amministrazione comunale, alla quale compete anche di valutare, secondo le normali regole, il comportamento da tenere nel caso di impugnazione dell’atto in sede giurisdizionale (CDS, Sez. IV, 28 marzo 1994, n. 291; Sez. V, 27 ottobre 1986, n. 568).

3.5. Venendo, poi, alla questione della ammissibilità della contestuale azione risarcitoria, già sul piano sostanziale appare piuttosto problematica l’ipotesi di una responsabilità dello Stato per i danni cagionati dall’esercizio del potere di ordinanza sindacale, basata su un titolo diverso da quello dell’imputazione soggettiva dell’atto. Ma anche sul piano processuale, si appalesa contraddittorio riconoscere la legittimazione passiva dello Stato soltanto quando, in relazione ad una unitaria vicenda sostanziale, correlata alla lesione lamentata per effetto dell’adozione dell’ordinanza contingibile ed urgente, si propone l’azione risarcitoria.

Rileva, comunque, il Collegio che, ai fini del presente giudizio, la questione non richiede ulteriori approfondimenti, dal momento che, per le ragioni che si andranno ora ad esporre, l’azione risarcitoria deve essere comunque rigettata nel merito, per l’insussistenza dell’elemento oggettivo della illegittimità del provvedimento impugnato dal Comune.

4. Veniamo al merito delle censure. Occorre sintetizzare il quadro giurisprudenziale di riferimento.

4.1. Il potere sindacale di adottare le ordinanze contingibili ed urgenti previste dall’art. 54, IV comma, d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267 è strettamente finalizzato a "prevenire o eliminare gravi pericoli che minacciano la incolumità dei cittadini e la sicurezza urbana": il potere di urgenza può essere esercitato infatti solo per affrontare situazioni di carattere eccezionale ed impreviste, costituenti concreta minaccia per la pubblica incolumità, per le quali sia impossibile utilizzare i normali mezzi apprestati dall’ordinamento giuridico (Cons. Stato, IV, 24 marzo 2006, n. 1537) e unicamente in presenza di un preventivo e puntuale accertamento della situazione, che deve fondarsi su prove concrete e non su mere presunzioni (Cons. Stato, sez. VI, 05 settembre 2005, n. 4525). Sebbene gli anzidetti presupposti non ricorrano allorquando il sindaco possa fronteggiare o prevenire la situazione attraverso l’uso dei normali strumenti apprestati dall’ordinamento (Cons Stato sez. V, 11 dicembre 2007, n. 6366), è stato tuttavia precisato che ai fini della legittimità dell’ordinanza contingibile è necessario e sufficiente la sussistenza e l’attualità del pericolo, cioè il rischio concreto di un danno grave ed imminente per la salute, a nulla rilevando che la situazione di pericolo fosse nota da tempo (C.d.S., sez. IV, 25 settembre 2006, n. 5639; sez. V, 28 marzo 2008, n. 1322), aggiungendosi poi che con i provvedimenti in esame non solo può porsi rimedio ai danni già verificatisi, ma si possono anche prevenire possibili danni futuri (C.d.S., sez. V, 7 aprile 2003, n. 1831). Quanto al profilo della contingibilità, la giurisprudenza ha osservato che l’intervento disposto con l’ordinanza sindacale non deve avere necessariamente il carattere della provvisorietà, giacché il suo connotato peculiare è l’adeguatezza della misura a far fronte alla situazione determinata dall’evento straordinario, il che non rende possibile la fissazione astratta di un rigido parametro di valutazione, imponendo invece la valutazione in concreto della soluzione adottata in ragione della natura del rischio da fronteggiare (C.d.S., sez. V, 9 febbraio 2001, n. 580; sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4402; 16 ottobre 2003, n. 6168).

4.2. La norma, che nella sua versione originaria abilitava il Sindaco, in qualità di Ufficiale di governo, ad emanare ordinanze contingibili ed urgenti per eliminare gravi pericoli a livello locale che minaccino l’incolumità pubblica, è stata oggetto di una incisiva riforma ad opera del D.L. 92/08 convertito in L. 125/08. L’ambito di applicazione del potere di ordinanza del sindaco è stato esteso anche alla "sicurezza urbana", e la stessa natura del potere di ordinanza è stata modificata, ammettendosi la possibilità di emanare anche provvedimenti atipici in funzione della prevenzione e della eliminazione di "gravi pericoli" che minaccino tale bene pur in assenza dei presupposti della contingibilità e dell’urgenza. La portata dei nuovi poteri sindacali è stata meglio definita dal decreto del Ministero dell’interno in data 5 agosto 2008 il quale, da un lato, opera una definizione del concetto di sicurezza urbana come bene pubblico da tutelare, in ambito locale, attraverso attività poste a difesa del rispetto delle norme che regolano la convivenza civile al fine di migliorare le condizioni di vivibilità dei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale, e dall’altro prevede, in via esemplificativa, cinque aree di intervento nelle quali la tutela della convivenza civile può esplicarsi attraverso il previsto potere di ordinanza.

L’effettivo ambito di operatività dei nuovi poteri di ordinanza del sindaco ha suscitato molte incertezze: incerto è se la materia della "sicurezza urbana" coincida o meno con quella della "sicurezza pubblica" (che si sostanzia nella prevenzione dei fenomeni criminosi che minacciano i beni fondamentali dei cittadini), oppure debba essere intesa in senso lato come strumento volto alla eliminazione di determinati fenomeni di degrado che affliggono i centri urbani non necessariamente correlati con esigenze di repressione della criminalità; incerto è, inoltre, il fondamento costituzionale della previsione di una nuova forma di "ordinanze libere", non contingibili ed urgenti, suscettibili di comprimere "in via ordinaria" i diritti di libertà dei cittadini senza una esatta predeterminazione dei contenuti e dei presupposti della loro emanazione.

Quanto all’ambito della materia della sicurezza urbana, valgono le precisazioni recentemente effettuate dalla Consulta secondo la quale il decreto del Ministro dell’interno del 5 agosto 2008, che ha definito l’ambito di tale concetto, si riferisce esclusivamente alla tutela della sicurezza pubblica, intesa come attività di prevenzione e repressione dei reati (Corte Cost. 196/09). Non solo, infatti, la titolazione del decretolegge n. 92 del 2008 richiama la "sicurezza pubblica", ma, nelle premesse del citato decreto ministeriale si fa espresso riferimento, come fondamento giuridico dello stesso, al secondo comma, lettera h), dell’art. 117 Cost., il quale, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale attiene appunto alla prevenzione dei reati e alla tutela dei primari interessi pubblici sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale (sentenze n. 237 e n. 222 del 2006, n. 383 del 2005). Lo stesso decreto, poi, sempre nelle premesse, esclude espressamente dal proprio ambito di riferimento la polizia amministrativa locale.

Quanto alla questione di compatibilità con la Carta costituzionale di un potere atipico di ordinanza sganciato dalla necessità di far fronte a specifiche situazioni contingibili di pericolo, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nella parte in cui comprende la locuzione "anche" prima delle parole "contingibili e urgenti". La norma censurata, nel prevedere un potere di ordinanza dei sindaci, quali ufficiali del Governo, non limitato ai casi contingibili e urgenti, viola la riserva di legge relativa, di cui all’art. 23 Cost., in quanto non prevede una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in un ambito, quello della imposizione di comportamenti, che rientra nella generale sfera di libertà dei consociati. Questi ultimi sono tenuti, secondo un principio supremo dello Stato di diritto, a sottostare soltanto agli obblighi di fare, di non fare o di dare previsti in via generale dalla legge. Si deve rilevare altresì la violazione dell’art. 97 Cost., che istituisce anch’esso una riserva di legge relativa, allo scopo di assicurare l’imparzialità della pubblica amministrazione, la quale può soltanto dare attuazione, anche con determinazioni normative ulteriori, a quanto in via generale è previsto dalla legge. L’assenza di una valida base legislativa, riscontrabile nel potere conferito ai sindaci dalla norma censurata, così come incide negativamente sulla garanzia di imparzialità della pubblica amministrazione, a fortiori lede il principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, giacché gli stessi comportamenti potrebbero essere ritenuti variamente leciti o illeciti, a seconda delle numerose frazioni del territorio nazionale rappresentate dagli ambiti di competenza dei sindaci (Corte costituzionale, 07 aprile 2011 n. 115)

5. Venendo ora al caso che ci occupa, sono evidenti i presupposti legittimanti il ricorso ai poteri di urgenza. Il Collegio ritiene, infatti, di dover confermare la delibazione compiuta in sede cautelare. Dalla documentazione fotografica versata in atti, risulta come (all’epoca di adozione dell’ordinanza) sussistesse la necessità di mettere in sicurezza il marciapiedi di una strada statale non accessibile ai pedoni costretti a percorrere la corsia riservata al traffico automobilistico, in quanto il tratto di marciapiede oggetto di ordinanza era transennato; dalle foto, inoltre, si evince anche che alcuni bancali di masselli autobloccanti relativi al cantiere erano rimasti abbandonati ai bordi del marciapiede e sulle aiuole, in modo da ostruire la viabilità. Tali circostanze, oltre ad essere descritte compiutamente nella motivazione del provvedimento impugnato, emergevano anche dalle lettere di protesta dei cittadini nel periodo aprile – maggio 2008 (doc. 8 – all. resistente).

5.1. L’esistenza di tale generale stato di inadeguatezza del marciapiede non era fronteggiabile, vista l’urgenza, con gli ordinari strumenti previsti dall’ordinamento, come dimostrato dall’inutile esito delle diffide "negoziali" ad adempiere. Del resto, la sussistenza delle condizioni legittimanti il potere sindacale, è bene precisare, prescinde dal fatto se la situazione di pericolo venutesi a creare sia o meno la diretta conseguenza dell’illegittimo abbandono del cantiere da parte dell’impresa. L’ordinanza contingibile ed urgente non ha, infatti, carattere sanzionatorio, di tal che non è dipendente dalla individuazione della responsabilità contrattuale o aquiliana del destinatario dell’atto, ma solo ripristinatorio; pertanto, è correttamente indirizzata a chi si trova in rapporto tale con la fonte di pericolo da consentirgli di eliminare la riscontrata situazione di pericolo, ancorché tale situazione non possa essergli imputata.

Neppure ha rilievo sostenere che comunque il marciapiede era già rimasto inutilizzato per tutto il corso dell’esecuzione dei lavori; come già sopra accennato, ai fini della legittimità dell’atto in questione rileva la situazione di pericolo attuale (cfr. Consiglio di Stato n. 670/2010).

5.2. Resta ovviamente impregiudicato l’esito della controversia civile, avviata dalla impresa innanzi al Tribunale di Sondrio, circa la risoluzione del contratto di appalto pubblico.

5.3. Da ultimo, è inammissibile la censura con si lamenta che l’amministrazione avrebbe dovuto dare conto nella motivazione delle osservazioni e richieste (corredate da documentazione) inviate dal legale rappresentante della società. Come correttamente evidenziato dalla difesa comunale, trattasi di motivo nuovo non articolato in ricorso.

5.4. Dal rigetto della domanda di annullamento discende anche il rigetto della domanda risarcitoria.

6. Le spese di lite seguono la soccombenza come di norma.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

RIGETTA il ricorso;

CONDANNA la società ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’amministrazione resistente che si liquida in Euro 1.100,00, oltre IVA e CPA come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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