T.A.R. Marche Ancona Sez. I, Sent., 01-08-2011, n. 634 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il ricorrente impugna l’ordinanza di demolizione 27.12.2007 prot. n. 50874 relativa a un vasto complesso produttivo per la lavorazione del marmo, costituito da capannoni, tettoie, baracche, prefabbricati, piazzale e manufatti vari.

Il ricorso è affidato ad un’unica ed articolata censura di violazione di legge, nonché eccesso di potere per travisamento dei fatti, insussistenza dei presupposti, contraddittorietà, difetto di motivazione e di istruttoria. In particolare viene dedotto che si tratta di opere realizzate tra la fine degli anni 50 e i primi degli anni 60, fuori dal centro abitato, e quindi non soggette al previo rilascio di autorizzazione o di licenza edilizia al momento della loro realizzazione. Il Comune non avrebbe inoltre valutato l’esistenza di un’autorizzazione edilizia (pratica n. 67/1960) per cui, relativamente agli ulteriori manufatti, si sarebbe dovuto applicare il regime pertinenziale. In ogni caso il Comune avrebbe dovuto valutare il lungo tempo trascorso (50 anni) e l’affidamento nel frattempo maturato. Per quanto concerne i singoli beni oggetto dell’ordinanza, viene dedotto: che il manufatto n. 12 sarebbe inesistente; che viene ordinata la messa in ripristino del manufatto n. 1 (costruito a seguito della citata autorizzazione del 1960) senza specificare in quali termini; che non viene indicata la quantità e la superficie occupata dal materiale di scarto che si dovrebbe rimuovere e che si tratta, comunque, di materiale depositato dall’attuale affittuario per cui l’ordinanza andava rivolta solo a quest’ultimo.

Si è costituito in giudizio il Comune di Falconara Marittima che eccepisce, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso perché il ricorrente era a conoscenza di una precedente identica ordinanza notificata ai propri figli (oggetto del ric. 821/2007). Nel merito contesta le deduzioni di parte ricorrente chiedendone il rigetto.

2. L’eccezione dedotta dall’Amministrazione resistente non può essere condivisa.

Al riguardo è sufficiente osservare che il ricorrente impugna un’autonoma ordinanza ad esso rivolta e che coinvolge la propria responsabilità, per cui risulta del tutto irrilevante che fosse a conoscenza di una identica ordinanza rivolta esclusivamente a terzi.

3. Nel merito il ricorso è fondato nei limiti che seguono.

3.1 Sulla base dei Regolamenti Edilizi depositati in atti, va escluso che si trattasse di opere non soggette al previo rilascio di autorizzazione o di licenza edilizia al momento della loro realizzazione.

Nel Comune di Falconara Marittima era vigente un Regolamento Edilizio approvato nel 1958 e che sostituiva il precedente del 1923, i quali assoggettavano l’edificazione, su tutto il territorio comunale, all’autorizzazione (RE del 1958) o al nulla osta del Sindaco (RE del 1923).

Del resto va osservato che in data 22.7.1960 veniva notificata al ricorrente un’autorizzazione edilizia (n. 67) per edificare un capannone di due piani e circa 190 mq. di superficie coperta; capannone che costituisce parte del complesso produttivo di cui oggi si ordina la demolizione e la messa in ripristino. Ciò dimostra anche in quella zona l’edificazione non poteva considerarsi completamente libera, poiché disciplinata dal regolamento locale.

Al riguardo va ricordato che l’art. 31 della Legge n. 1150/1942 (testo originario antecedente alla novella di cui all’art. 10 della Legge n. 765/1967), nel prescrivere la licenza comunale per le costruzioni da eseguirsi nei centri urbani, ha inteso uniformare la previgente disciplina della materia affidata in precedenza ai regolamenti comunali, stabilendo uno standard minimo uniforme per tutto il territorio nazionale; essa ha quindi innovato quelle normative più liberali, ma non ha invece innovato quelle normative locali maggiormente penetranti che imponevano la licenza anche in altri casi non contemplati dal citato art. 31 quali, ad esempio, le costruzioni da eseguirsi in zone agricole, fuori dei centri abitati (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 14.3.1980 n. 287).

3.2 Va inoltre escluso che, sulla scorta dell’autorizzazione edilizia (pratica n. 67/1960), si dovesse applicare il regime pertinenziale per tutta la restante edificazione.

Per orientamento largamente diffuso nella giurisprudenza amministrativa, condiviso anche da questo Tribunale, una pertinenza, per poter essere definita tale dal punto di vista urbanistico, deve essere preordinata ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 17.5.2010 n. 3127; id. 5.2.2010 n. 1277; id. Sez. V, 7.12.2002 n. 6126; id., 30.11.2000 n. 6538; T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. I, 25.5.2010 n. 2143; TAR Marche 20.4.2010 n. 182; T.A.R. Puglia Bari, Sez. III, 17.1.2008 n. 27; T.A.R Lazio Roma, Sez. II, 17.11.2005 n. 11517).

Nel caso in esame l’entità dell’edificazione realizzata senza titolo è tale (per volume, dimensioni e superficie) che si dovrebbe addirittura invertire il rapporto, ossia considerare pertinenziale (o comunque accessorio o secondario) l’edificio regolarmente autorizzato rispetto a tutto il resto del complesso produttivo.

3.3 Deve invece essere condivisa la censura di violazione dell’affidamento maturatosi a fronte del lungo tempo trascorso. Per quanto non sia stata dimostrata una data certa di realizzazione degli abusi, dalla documentazione fotografica emerge comunque una situazione di fatto che rende verosimile ricondurre l’edificazione intorno agli anni 60, ossia in concomitanza con i lavori di cui all’autorizzazione n. 67/1960 e negli anni di poco successivi.

Di conseguenza l’ordinanza impugnata interveniva su un complesso produttivo esistente da quasi cinquant’anni e che, per ubicazione, dimensioni e impatto socioeconomico, non poteva certamente passare inosservato fino a quel momento.

Proprio quest’ultima circostanza attribuisce rilevanza all’inerzia dell’Amministrazione Comunale, dovendosi quindi applicare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la repressione dell’abuso edilizio, disposta a distanza di tempo ragguardevole, richiede una puntuale motivazione sull’interesse pubblico al ripristino dei luoghi.

In tali casi, infatti, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso ed il protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione preposta alla vigilanza, si ritiene che si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, in relazione alla quale l’esercizio del potere repressivo è subordinato ad un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all’entità e alla tipologia dell’abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello del mero ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 6.6.2008 n. 2705; id. Sez. V, 4.3.2008 n. 883; Sez. IV, 14.5.2007 n. 2441; id. 29.5.2006, n. 3270 nonché, da ultimo, TAR Campania, Napoli, Sez. II, 14.2.2011 n. 925; TAR Liguria, Sez. I, 22.1.2011 n. 150; TAR Puglia Lecce, Sez. III, 14.1.2011 n. 62; TAR Umbria, 7.12.2010 n. 522; TAR Toscana, Sez. III, 26.11.2010 n. 6644; TAR Puglia Bari, Sez. II, 11.11.2010 n. 3902; TAR Piemonte, Sez. I, 16.7.2010 n. 3131; TAR Lazio Roma, Sez. I, 18.3.2010 n. 4243).

3.4 Quanto sopra assume carattere assorbente rispetto alle ulteriori censure riguardanti la dedotta inesistenza del manufatto n. 12 e la denunciata omessa indicazione degli interventi di ripristino relativi al manufatto n. 1.

3.5 Deve invece essere esclusa la fondatezza della censura riguardante l’ordine di rimozione del materiale di scarto.

Al riguardo va osservato che risulta irrilevante l’indicazione della quantità e della superficie occupata, quando il cumulo del materiale da rimuovere risulta comunque ben identificato in loco, non potendo quindi sussistere alcun dubbio sull’oggetto del provvedimento.

Risulta altresì legittima l’intervenuta notifica nel confronti del proprietario che, per quanto si dichiari estraneo all’abuso, conserva comunque l’autonomo potere di intervento al fine di evitare quello d’ufficio, con tutte le conseguenze che potrebbero derivare anche a suo carico.

4. In conclusione il ricorso va accolto nei limiti sopra indicati, con conseguente annullamento dell’ordinanza impugnata, fatta eccezione per l’ordine di rimozione del materiale costituito da scarti di lavorazione del marmo.

5. La parziale fondatezza del ricorso rappresenta motivo per disporre la compensazione delle spese, stante la reciproca soccombenza tra le parti.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla in parte il provvedimento impugnato come da motivazione.

Spese compensate.

La presente sentenza sarà eseguita dall’Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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