Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 05-07-2011) 25-07-2011, n. 29687

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 2 febbraio 2010 la corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza emessa dalla tribunale di Benevento il 10 marzo 2008 con la quale P.C. era stato dichiarato responsabile dei reati di cui agli artt. 648 e 474 cod. pen. e condannato alla pena di anni uno e mesi due di reclusione ed Euro 300 di multa.

Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore il quale deduce, nel primo motivo, violazione di legge in riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo dei contestati reati. Osserva infatti il ricorrente che la sentenza di appello, pur avendo dato atto che l’imputato aveva acquistato la merce usata da una ditta di abbigliamento rinchiusa in involucri chiusi, ne aveva ritenuto peraltro la sussistenza del dolo, osservando che l’imputato stesso si sarebbe astenuto da qualsiasi controllo, ponendo concretamente in vendita la merce, e quindi asseverando la sussistenza del dolo, quanto meno sotto il profilo del dolo eventuale. Tale interpretazione, deduce il ricorrente, sarebbe giuridicamente scorretta, in quanto l’art. 474 cod. pen., reato presupposto per la integrazione del delitto di ricettazione, esige, sotto l’aspetto psichico, la coscienza è volontà di detenere cose contraffatte. Ma tale condizione non sussisterebbe, alla luce della motivazione offerta dei giudici a quibus, dal momento che, se l’imputato non ha prestato attenzione al controllo della merce acquistata, non poteva versare in una condizione di coscienza è volontà di detenere cose contraffatte e, quindi, non sussisterebbe la consapevolezza della contraffazione del marchio. Quanto, poi, al delitto di ricettazione, si osserva che, nella specie, dovrebbe farsi riferimento al concetto di certezza in ordine all’acquisto e alla ricezione di cose di provenienza delittuosa, giacchè la ricezione nel dubbio circa la legittima provenienza delle res, concreta la speciale ipotesi contravvenzionale prevista dall’art. 712 cod. pen..

E se anche si voglia far richiamo alla figura del dolo eventuale, per come puntualizzato nella sentenza delle Sezioni unite di questa Corte numero 12433 del 2009, si esige, comunque, qualcosa di più di un semplice sospetto rispetto al quale l’agente potrebbe avere un atteggiamento psicologico di disattenzione di noncuranza o di mero disinteresse. Ebbene, sottolinea il ricorso, la Corte di appello, disattendendo completamente i principi dell’onere probatorio, ancora la decisione soltanto su presunzioni che conducono alla motivazione illogica e contraddittoria che viene ad essere denunciata.

Si lamenta, poi, vizio di motivazione, laddove la Corte di appello ha ritenuto doveroso per il commerciante rivolgere la propria attenzione allo stato della merce e, quindi, ad accettare la eventualità che nel materiale acquistato si possano rinvenire cose contraffatte. Si osserva, in proposito, che mancherebbe qualsiasi prova di quel quid pluris rispetto al dubbio di conoscenza che è stato posto a fondamento della richiamata pronuncia delle Sezioni unite di questa Corte, mentre non sussisterebbe "alcuna correlazione logica tra il prestare attenzione allo stato della merce per ripararla e la volontà di accettare che nel mucchio ci possa essere merce contraffatta".

La motivazione della sentenza di appello sarebbe anche contraddittoria in quanto, mentre la sussistenza del cosiddetto dolo eventuale si salverebbe alla omessa attività di controllo da parte dell’imputato della merce acquisita, nella seconda parte della pronuncia viene invece censurata la mancata prestazione di attenzione, per la omissione di qualsiasi controllo. Sotto tale ultimo aspetto, osserva il ricorrente, ove si fosse censurata la mancata attività di controllo dopo l’acquisto effettuato, doveva essere ravvisata la fattispecie contravvenzionale e non il delitto di ricettazione.

Il ricorso è fondato. Dalla sentenza di primo grado emerge infatti che, alla luce della documentazione prodotta dalla difesa e dagli accertamenti effettuati, è risultato che l’imputato effettuava l’approvvigionamento della merce, poi venduta nelle fiere locali a prezzi assai contenuti, da una ditta che commercializzava borse e scarpe usate che erano esitate in "balloni" ; il titolare della ditta fornitrice ha poi asserito che tali "balloni" contenevano merce da loro stessi selezionata, e che poteva succedere che vi fossero anche all’interno capi griffati, senza possibilità di verificarne l’autenticità, trattandosi "di materiale raccolto principalmente tramite le diocesi e donato dai proprietari che indendono dimetterlo". Dunque, il materiale venduto dall’imputato era usato e nessun particolare "dovere di vigilanza", al di là di una generica ed ordinaria cautela, incombeva sull’acquirente del materiale stesso prima di immetterlo in commercio. L’assunto contrario sul quale si fonda l’asserto accusatorio, si rivela, pertanto, da un lato, giuridicamente fallace, proprio per la natura della merce (oggetti usati, acquistati in "balle" da un grossista), dall’altro contraddittorio, in quanto l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 474 cod. pen., – fondante la responsabilità anche in ordine al reato di ricettazione – non può essere frutto di mera deduzione, basata su una sorta di dovere professionale di vigilanza, ma deve essere provato alla stregua di elementi specifici e qualificanti.

La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio perchè il fatto non costituisce reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non costituisce reato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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