Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 05-07-2011) 25-07-2011, n. 29685

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Milano, con sentenza in data 3 giugno 2009, confermava la condanna pronunciata il 29 giugno 2007 dal Tribunale di Milano nei confronti di T.C.M., per molteplici delitti di ricettazione di documenti sottratti agli archivi di Stato di (OMISSIS).

Per quanto riguarda la provenienza illecita dei documenti di cui ai capi di imputazione, la Corte di appello sottolineava che essa non emergeva tanto dalla natura dell’atto, cioè dalla sua demanialità, ma dalle dichiarazioni testimoniali assunte da funzionari degli archivi di Stato, i quali di ogni singolo documento oggetto di imputazione hanno ricostruito la provenienza attraverso un attento esame del documento stesso. Per quanto concerne la sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati contestati, la stessa Corte rilevava che nessun dato era stato offerto dall’imputato che permettesse di ritenere che egli non aveva motivo di dubitare della liceità della provenienza dei documenti da lui acquistati;

sottolineava, inoltre, che il T. aveva una specifica competenza, in quanto laureato in storia, con diploma in archivistica e paleografia presso l’archivio di (OMISSIS).

Propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo i seguenti motivi:

1) vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c), e) in relazione all’art. 648 c.p. e art. 533 c.p.p. in relazione all’elemento oggettivo del reato.

Il ricorrente afferma che non è stata raggiunta in termini di certezza la prova dell’illegittima provenienza dei documenti di cui è processo, in quanto i testi assunti avrebbero riferito che i documenti provenivano dall’archivio di Stato solo sulla base della circostanza che i documenti erano congrui con documenti contenuti nel medesimo archivio e che talvolta si inserivano in una serie di documenti completandola, senza considerare che i documenti nell’archivio di Stato sono milioni e manca un loro catalogo e che documenti analoghi a quelli per cui è processo circolano liberamente e vengono venduti per corrispondenza o nei mercatini specializzati.

Inoltre, la sentenza impugnata avrebbe trascurato le dichiarazioni rilasciate da altri funzionari dell’archivio di Stato di (OMISSIS), che avrebbero dovuto condurre alla conclusione che l’attribuzione di un documento ad un fondo dell’Archivio solo perchè questo contiene documentazione dello stesso tipo del documento o perchè si inserisce, completandola, in una serie di documenti di quel tipo può essere un criterio valido dal punto di vista archivistico ma non sufficiente per una condanna.

Il ricorrente, poi, contesta l’affermazione contenuta nella sentenza di primo grado, secondo la quale tutti i documenti provenienti dallo Stato o dagli Stati preunitari sono beni demaniali; lamenta, poi, che non sia stata accolta la richiesta di una perizia.

2) vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c), e) in relazione all’art. 648 c.p. e art. 533 c.p.p. in relazione all’elemento soggettivo del reato.

Il ricorrente afferma che la motivazione del giudice di merito si traduce in una inversione dell’onere della prova, poichè, se si riconosce che documenti identici a quelli per cui è processo possono circolare liberamente e lecitamente, deve essere l’accusa a provare, in termini di certezza, non solo che quel singolo documento ha provenienza illecita, ma anche che l’imputato di tale illecita provenienza aveva all’atto dell’acquisto piena consapevolezza.

Il ricorrente, inoltre, sottolinea di avere indicato la provenienza della maggior parte dei documenti dal coimputato P., commerciante in documenti antichi e, in subordine, chiede la derubricazione del reato nella contravvenzione di incauto acquisto.

3) vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), in relazione agli artt. 178, 180 e 486 c.p.p., art. 604 c.p.p., comma 4.

Il ricorrente denuncia che il Tribunale aveva rigettato la richiesta dell’imputato di rinvio dell’udienza del 6 giugno 2007, nonostante avesse documentato di essere stato convocato presso una casa di cura per essere ricoverato per un trattamento che avrebbe dovuto prolungarsi per 15 giorni.

Motivi della decisione

Il ricorso, in larga misura riproduttivo di questioni tutte già ampiamente scandagliate dai giudici a quibus, sottende una critica motivazionale tutt’altro che perspicua alla luce del più che puntuale ed esauriente ordito argomentativo in forza del quale i giudici del gravame hanno disatteso le censure poste a base della impugnazione sui singoli profili, oggettivi e soggettivi, ora nuovamente rievocati dal ricorrente. La sentenza impugnata ha infatti del tutto coerentemente spiegato le ragioni per le quali l’enorme massa di documentazione, di interesse storico-archivistico, oggetto della – necessariamente diffusa – rubrica, al di là dei connotati di intrinseca demanialità, che in sè non ne avrebbero ostacolato, in ipotesi, la astratta possibilità, attraverso l’adozione delle prescritte cautele, di un loro ingresso nel libero mercato, dovesse ritenersi in concreto, e per ogni documento, di provenienza delittuosa. In particolare, i giudici del merito si sono soffermati sull’ineludibile rilievo che a tal proposito doveva essere assegnato alla testimonianza degli esperti, i quali hanno puntualmente ricostruito – attraverso una metodologia di tipo "archivistico", in virtù del quale l’appartenenza di un documento ad una "serie" coordinata di un corpo organico relativo ad una "storia" documentale ordinata all’interno di uno specifico fondo – la provenienza dei documenti stessi, risultati appartenere, e come tali denunciati rubati, da vari enti pubblici, quali, nella gran parte dei casi, l’Archivio di Stato di (OMISSIS) e quelli di (OMISSIS).

L’assunto del ricorrente, secondo il quale la "metodologia" di accertamento della provenienza dei documenti non sarebbe di per sè probante, si rivela del tutto infondato, giacchè è del tutto evidente che nessun fondo archivistico si priverebbe, senza mantenerne adeguata documentazione, di un documento facente parte di una "serie," in tal modo depauperando le stesse connotazioni documentaristiche della "collezione". Il tutto, ovviamente, non senza sottolineare i vincoli a cui sarebbe comunque sottoposta la dismissione del documento dal novero dei beni assoggettati allo specifico regime di tutela. Del tutto correttamente, quindi, i giudici del gravame hanno ritenuto congruamente provata la sussistenza del delitto presupposto alla luce delle affidabili e convergenti dichiarazioni rese dai testimoni esperti, non rivestendo fra l’altro alcun rilievo la circostanza che le denunce di furto fossero state successive ai sequestri, essendo stata soltanto a quel momento riscontrata la sparizione dei documenti. Va infatti ribadito, a tal proposito, che in ordine al delitto di ricettazione, per la affermazione della responsabilità non è necessario l’accertamento giudiziale della commissione del delitto presupposto, nè dei suoi autori, nè dell’esatta tipologia del reato, potendo il giudice affermarne l’esistenza anche attraverso il ricorso a prove logiche (Casss., Sez. 2, 15 gennaio 2009, Longo; Cass., Sez. 4, 7 novembre 1997, Bernasconi). La provenienza da delitto della res, infatti, al pari di qualsiasi elemento strutturale della fattispecie – non richiedendosi uno specifico nomen iuris che qualifichi l’origine del bene, così come non rilevando neppure la imputabilità o la punibilità del relativo autore ovvero (a seguito della novella introdotta dalla L. n. 328 del 1993) la stessa procedibilità del delitto presupposto – forma oggetto di prova secondo gli ordinari criteri di accertamento, che ben può fondarsi, dunque, anche su indizi e, pertanto, sulla stessa prova logica. Quanto, poi, all’assunto che tende a screditare l’apporto dei testimoni-esperti, lamentando il mancato espletamento di una perizia – mezzo di prova in sè neutro, e che, come è noto, può disporsi in appello solo se il giudice lo ritenga assolutamente indispensabile, posto che alla parte è comunque consentita la facoltà di valersi di consulenti tecnici – va rilevato che questa Corte ha in più occasioni avuto modo di sottolineare, proprio sul tema che viene qui in discorso, che, in tema di prova testimoniale, il divieto di esprimere apprezzamenti personali non si applica nel caso in cui il testimone sia, come nella specie, persona particolarmente qualificata, in conseguenza della sua preparazione professionale, quando i fatti in ordine ai quali viene esaminato siano inerenti alla sua attività, giacchè l’apprezzamento diventa inscuidibile dal fatto, dal momento che quest’ultimo è stato necessariamente percepito attraverso il filtro delle conoscenze tecniche e professionali del teste (cfr., ex multis, Cass., Sez. 5, 29 settembre 2004, Comberlato). D’altra parte, a dimostrazione del margine di opinabilità secondo il quale è possibile distingue fra loro il momento attestativo da quello valutativo di chi è chiamato a rendere dichiarazioni su fatti che coinvolgono specifiche conoscenze tecniche, non è senza significato rammentare come, nei sistemi di common law, la figura del perito sia assunta proprio dal testimone- esperto (expert witness).

Quanto, poi, all’elemento soggettivo del reato, i più che puntuali rilievi svolti dalla Corte territoriale rendono del tutto sterili le doglianze del ricorrente, sul punto del prive di qualsiasi specificità, in quanto r iterative di quelle proposte in appello e che la sentenza ha più che motivatamente disatteso, non senza sottolineare, da un lato, l’assenza di elementi realmente deponenti per una supposta buona fede dell’imputato, e dall’altro, la notevole qualificazione del medesimo, esperto in archivistica e paleografia e con specifica esperienza maturata anche presso gli Archivi di Stato.

L’ultimo motivo di ricorso è anch’esso destituito di fondamento, in quanto più che correttamente è stata disattesa la sussistenza di una impossibilità assoluta di comparire per legittimo impedimento motivata dalle esigenze di cura di una dedotta sciatalgia cronica, posto che a proposito di tali esigenze non poteva in alcun modo ravvisarsi la necessità di un intervento terapeutico che presentasse i connotati di urgenza ed indifferibilità, e che la natura stessa della dedotta patologia precludesse in modo assoluto la possibilità di comparire in udienza.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con la conseguente condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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