Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 23-06-2011) 25-07-2011, n. 29718

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 9.11.2010, il Tribunale di Sorveglianza di Venezia rigettava le istanze di revoca della misura degli arresti domiciliari esecutivi formulata dal magistrato di sorveglianza e di affidamento in prova al servizio sociale o di detenzione domiciliare interposta da P.L., in espiazione di pena ad anni cinque di reclusione, per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, e di ricettazione. La misura degli arresti domiciliari esecutivi non veniva revocata, poichè non risultava esser stato posto a carico del prevenuto il divieto di incontro con persone estranee al nucleo familiare, con il che la accertata presenza del cugino, ancorchè latitante, nel luogo di abitazione, non poteva ridondare a carico del prevenuto. Cionondimeno, il Tribunale riteneva che l’accertata presenza nella casa del prevenuto di pistola giocattolo priva di tappo rosso, nonchè le insane frequentazioni accertate, davano conto della inaffidabilità del prevenuto, non sufficientemente responsabilizzato per gestire in maniera appropriata la misura alternativa richiesta, poichè secondo il tribunale la visione del mondo strettamente legata ai valori familistici, più che familiari, poteva essere causa del compimento di atti di devianza, cosicchè venivano ritenute insussistenti le condizioni soggettive per ammettere il prevenuto ai benefici richiesti dell’affidamento in prova al servizio sociale, o della detenzione domiciliare ordinaria.

2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per Cassazione l’interessato, per dedurre manifesta illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 47 O.P., art. 47 ter O.P., comma 1 bis, e art. 50 O.P..

Sarebbe illogica intrinsecamente la valutazione operata dal tribunale, poichè da un lato la condotta del P. è stata considerata corretta e tale da non portare a revocare la misura degli arresti domiciliari esecutivi, dall’altro non lo si è ritenuto in grado di gestire la detenzione domiciliare. E’ stato sottolineato che lo stesso è stato collocato in arresti domiciliari nel luglio 2009 e la misura gli venne sospesa solo nel novembre 2010, quindi dopo più di un anno. Gli episodi segnalati furono solo due in questo lungo periodo, di sicura marginalità, e non incidenti sulla valutazione della persona, tanto che il Procuratore Generale all’udienza per deliberare sul reclamo avverso l’ordinanza di rigetto della liberazione anticipata, aveva dato parere favorevole, con ciò ammettendo una partecipazione del ricorrente all’opera di rieducazione. Non potevano quindi essere presi a motivo della reiezione delle istanze di benefici avanzata dall’interessato.

3. Il Procuratore Generale ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

Nel provvedimento impugnato non sono apprezzabili profili di contraddittorietà, poichè il tribunale di sorveglianza non ha inteso aderire alla proposta del magistrato di sorveglianza di revocare gli arresti domiciliari esecutivi, sul presupposto che non era stata posta in essere una condotta formalmente in violazione delle prescrizioni. Tale condotta (detenzione di pistola priva del tappo rosso, incontro con un cugino latitante) peraltro è stata doverosamente valorizzata quale segno di inaffidabilità del soggetto, preclusivo dell’ accoglimento della richiesta di benefici penitenziari, che presuppongono un grado di responsabilità dell’interessato che le emergenze disponibili portavano ad escludere.

Il precorso logico argomentativo del Tribunale di sorveglianza è assolutamente corretto, aderente ai dati disponibili, modulato sui diversi parametri a cui va ancorata la revoca della misura degli arresti domiciliari esecutivi in atto, rispetto a quelli a cui va legata la concessione di benefici carcerari e quindi è assolutamente rispettoso del dettato normativo.

Si impone quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; a tale declaratoria, riconducibile a colpa del ricorrente, consegue la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *