Cons. Stato Sez. III, Sent., 02-08-2011, n. 4604 Aggiudicazione dei lavori

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La G. C. s.r.l., che ora ricorre per revocazione, era risultata aggiudicataria della gara per l’affidamento di lavori stradali indetta con determinazione dirigenziale 31 dicembre 2007 dalla Provincia di Caserta, Successivamente l’aggiudicazione era stata revocata in conseguenza del provvedimento interdittivo emesso, ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 490 del 1994, dalla Prefettura di Caserta il 5 novembre 2009. La società interessata aveva allora impugnato la revoca dell’aggiudicazione, il provvedimento del Prefetto e gli atti presupposti, connessi e conseguenti, tra cui le note del Comando Carabinieri di Caserta contenenti informazioni antimafia. Il ricorso era stato respinto dalla sentenza n. 7148/2010 del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, sezione prima. Anche l’appello è stato respinto con sentenza 10 marzo 2011 n. 1542 del Consiglio di Stato, sezione sesta. Di quest’ultima sentenza la socieyà interessata chiede ora la revocazione.

Più in dettaglio, la ricorrente premette di operare da anni nel campo dei lavori pubblici su tutto il territorio nazionale con apprezzamento delle stazioni appaltanti. Tuttavia, in relazione all’aggiudicazione di una gara indetta dal Comune di Afragola in data 25 luglio 2008 l’Ente pronunciava la risoluzione automatica del contratto poiché la Prefettura di Caserta aveva comunicato l’emissione in data 30 aprile 2008 di un provvedimento interdittivo antimafia. Insorta davanti al TAR per la Campania, con sentenza 26 marzo 2009 n. 1613 la risoluzione del contratto ed il provvedimento interdittivo sono stati annullati. Inoltre, aggiudicatasi l’altra, predetta gara indetta dalla Provincia di Caserta, con provvedimento del 23 aprile 2009 l’Ente revocava l’aggiudicazione per sussistenza di cause interdittive antimafia comunicate con prefettizia del 24 novembre 2008. Anche in tal caso detti atti sono stati annullati con sentenza 31 luglio 2009 n. 4616 dello stesso TAR, sicché la Provincia disponeva l’aggiudicazione definitiva con riserva di richiedere ulteriori informazioni antimafia ai fini della stipula del contratto. Peraltro, con nota dell’11 novembre 2009 la stazione appaltante comunicava l’avvio del procedimento di revoca in relazione ad una nuova interdittiva. Di qui il suo ricorso, seguito da motivi aggiunti aventi ad oggetto le sottostanti note del Comando carabinieri in cui si evidenziava l’esistenza di un’assunta colleganza commerciale con la C. Costruzioni s.r.l., colpita a sua volta da interdittiva. Tale ultimo ricorso è stato respinto dal TAR Campania con l’indicata sentenza n. 7148/2010, il cui appello è stato respinto con la revocanda sentenza n. 1542/2011 nonostante l’intervenuto annullamento, nel more dell’appello stesso, della interdittiva a carico della C. pronunciato con sentenza 15 dicembre 2010 n. 27500 del medesimo TAR Campania, da ella depositata in atti il 17 gennaio 2011, richiamata e nuovamente esibita in sede di discussione all’udienza pubblica del 25 gennaio 2011.

A sostegno della domanda di revocazione ha perciò lamentato che la sentenza n. 1542/2011 della sezione sesta, in cui non v’è alcun richiamo alla sentenza n. 27500/2010 del TAR Campania, sia inficiata da un chiaro e rilevante errore di fatto, caduto sull’esistenza e sul contenuto di un documento processuale; errore che avrebbe determinato un’evidente omissione di pronuncia e che ricadrebbe, dunque, nella fattispecie di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c., dal momento che l’unico elemento di novità rispetto alle annullate (con sentenze passate in giudicato) precedenti interdittive sarebbe appunto costituito dall’assunta esistenza di un vincolo con la C., cedente di ramo d’azienda alla G. C., e della rispettiva interdittiva però allo stato appunto annullata con la ripetuta sentenza n. 27500/2010. Venuto a mancare tale elemento, la nuova interdittiva a carico di G. C. neppure potrebbe trovare giustificazione nei rapporti intrattenuti dal coniuge del legale rappresentante, già valutati come ininfluenti nelle menzionate, definitive decisioni n. 1613 e 4616 del 2009. Anche sotto questo aspetto, dunque, si verterebbe in un errore di fatto revocatorio, avendo il secondo giudice adito ritenuto esistenti vicende considerate, invece, inesistenti da precedenti statuizioni passate in giudicato.

L’Amministrazione dell’interno si è costituita in giudizio, ma non ha depositato scritti difensivi.

All’odierna udienza pubblica il ricorso è stato introitato in decisione.

Ciò posto, in via generale la Sezione ricorda che, com’è noto, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per revocazione per errore di fatto idoneo a costituire il vizio previsto dal citato art. 395, n. 4, c.p.c., l’errore deve consistere in un’errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente e immediatamente rilevabile e tale da aver indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; non cadere su di un punto controverso, sul quale il giudice si sia pronunciato; presentare i caratteri dell’evidenza e dell’obiettività, cosicché il suo apprezzamento non richieda lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; infine, non deve consistere in un’erronea valutazione e interpretazione del fatto.

Nella fattispecie in esame non è ravvisabile alcun errore di tal genere.

Tanto per il decisivo aspetto dell’irrilevanza della mancata considerazione della sopravvenuta sentenza n. 27500/2010 del TAR Campania, stante l’impossibilità di ricondurre la sua esistenza a validi motivi di gravame, sicché la decisione non sarebbe mutata anche ove l’indicata pronuncia fosse stata considerata espressamente.

Invero, alla stregua della prospettazione della ricorrente la circostanza pretermessa comproverebbe l’insussistenza dell’elemento di novità costituito dalla colleganza con l’altra impresa interdetta, o meglio, dell’elemento di novità costituito dalla esistenza dell’interdittiva nei confronti dell’impresa collegata. Ma in nessun motivo d’appello si deduce che tale interdittiva fosse stata impugnata dall’interessata, anzi a pagina 10 del rispettivo ricorso si espone che G. C. non avrebbe avuto cognizione della permeabilità mafiosa di C. nel momento in cui, l’anno prima dell’emissione dell’interdittiva, è intervenuto l’atto di fitto/comodato; ed a pagina 12 si contesta l’affermazione del TAR secondo cui l’interdittiva della C. non era stata in qualche modo annullata né aveva costituito oggetto di impugnazione, allegando non che invece C. ne avesse fatto oggetto di impugnazione ed il relativo giudizio fosse in atto pendente, ma che G. C. non avesse interesse ad impugnarla essa stessa né avrebbe potuto ciò imporre a C..

Ancora, alle pagine 12 e seguenti si lamenta che il TAR non avesse considerato come l’interdizione di C. scaturisse dalle medesime circostanze di fatto valutate nei confronti di G. C., ritenute inidonee a giustificare il rispettivo provvedimento di interdizione, così censurandosi, in sostanza, la sufficienza delle cennate circostanze a sorreggere l’interdittiva a carico di C. (e solo mediamente l’interdittiva a carico di G. C.), in tal modo introducendo deduzioni inammissibili in quanto riferite ad un atto appunto non impugnato dalla deducente.

Quanto sin qui esposto è già sufficiente a determinare l’inammissibilità del ricorso.

Peraltro, l’irrilevanza della mancata considerazione della sopravvenuta sentenza n. 27500/2010 del TAR Campania emerge evidente anche sotto altro profilo.

Detta sentenza, non diversamente dalle precedenti sentenze nn. 1613 e 4616/2009 dello stesso TAR, si basa sulle circostanze evidenziate nella nota in data 21 aprile 2008 del Comando provinciale dei Carabinieri di Caserta. In particolare, con essa, come con quelle, è stato ritenuto come da tali circostanze possa solo evincersi che G. R. (amministratore della C. e coniuge di F. G.) sia amministratore di fatto di G. C., ma non che tale società sia collegata a interessi della locale consorteria criminale, stante l’insufficienza in proposito di meri rapporti di parentela. Né apparirebbe chiara la rilevanza attribuita al contratto con il Comune di Lusciano ed ai rapporti con L. G. "difettando qualsiasi riferimento ad ambienti criminali o addirittura alla commissione di illeciti, oltremodo comunque riferibili a diversa società". Infine, non rileverebbero neppure i meri rapporti parentali di F. G. (amministratore di diritto di G. C.), privi di legami con presunti soggetti vicini ad ambienti mafiosi, col padre di per sé labili e col fratello non sintomatici di contiguità mafiosa.

Di contro, la revocanda pronuncia n. 1542 della sezione sesta, oltre a sottolineare come i fatti posti a base della nuova interdittiva del 5 novembre 2009 e della successiva nota prefettizia esplicativa del 22 dicembre seguente fossero integrati, rispetto a quelli già esaminati dal TAR con le sentenze nn. 1613 e 4616/2009, dall’elemento di novità costituito dalla colleganza commerciale tra G. C. e C. (fitto/comodato intervenuto il 25 maggio 2007), ha messo in luce come "nella complessiva valutazione posta a fondamento dei provvedimenti impugnati, assume rilevanza anche quanto comunicato dal Comando dei Carabinieri il 24 ottobre 2009" in ordine, tra l’altro, ai rapporti intrattenuti da R. G. con G. L. "sottoposto a decreto di fermo quale indiziato di delitto e sequestro preventivo d’urgenza emesso dalla Procura della Repubblica di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia nell’ambito dell’inchiesta riguardante il clan camorristico cosiddetto dei Casalesi e genero di Bidognetti Francesco, detenuto sottoposto al regime previsto dall’art. 41bis l. 26 luglio 1975, n. 354, sull’ordinamento penitenziario".

Circostanze, queste ultime, non espressamente menzionate e tanto meno confutate nella ridetta sentenza sopravvenuta, d’altra parte non indicate neppure nella nota 21 aprile 2008 del Comando provinciale dei Carabinieri di Caserta, sopra citata, come detto posta a base dell’interdittiva di cui ivi si discuteva.

Ne deriva l’inconsistenza della tesi che, secondo la sentenza n. 1542/2011 della sezione sesta, l’interdizione antimafia della C. giustificherebbe da sola, a fronte delle precedenti statuizioni, la legittimità del provvedimento interdittivo in danno della G. C.; e di conseguenza, che l’annullamento della prima ad opera della sentenza n. 27500/10 del TAR sarebbe evento assolutamente determinante l’esito dell’appello.

In altri termini, fermo l’incontestato collegamento tra GF Costruzione e C., come preannunciato anche per questo aspetto va esclusa la rilevanza della circostanza in parola.

Pertanto il ricorso non può che essere dichiarato inammissibile.

Tuttavia, la peculiarità del caso consiglia la compensazione delle spese di causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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