Cons. Stato Sez. III, Sent., 02-08-2011, n. 4603 Contratti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con l’atto in epigrafe lo studio legale B., in proprio e quale mandatario dell’a.t.i. con studio legale prof. avv. C. G. e con studio B., P., R. e D. V., ha esposto che detta a.t.i. partecipava alla gara bandita dal Ministero delle politiche agricole per l’affidamento D. "fornitura di servizi legali relativi alla protezione delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche", che si classificava seconda in graduatoria, dopo l’a.t.i. studio G. e Associati e "Avvocati Associati F. D. N. P. S.", e che poi conseguiva l’aggiudicazione a seguito dell’esclusione di quest’ultima. Tuttavia, il Ministero revocava il bando e tutti gli atti D. procedura per violazione dell’art. 1 del t.u. n. 1611 del 1933, secondo cui il patrocinio e la difesa in giudizio delle amministrazioni statali spettano all’Avvocatura dello Stato, salvo deroghe che necessitano di specifica autorizzazione governativa.

Sia l’a.t.i. studio G. e Associati sia l’a.t.i. B. proponevano ricorso avverso l’esclusione e, rispettivamente, la revoca D. procedura, nonché per il risarcimento del danno.

I ricorsi erano respinti quanto alla domanda annullatoria ed accolti quanto alla domanda risarcitoria.

Appellate le relative pronunce di primo grado da parte del Ministero delle politiche agricole, con sentenza 3 febbraio 2011 n. 780 il Consiglio di Stato, sezione sesta, riuniti gli appelli, li ha accolti, condannando entrambe le a.t.i. al pagamento delle spese del doppio grado.

Tanto premesso, ha lamentato che tale condanna, basata sulla "poca diligenza" e addirittura sulla "colpa professionale" delle a.t.i. appellate, in quanto compagini professionali di indubitabile valore a cui non poteva sfuggire il fatto che la gara fosse stata bandita in una situazione di manifesto contrasto col citato testo unico, sia frutto di abbaglio dei sensi, poiché i servizi legali oggetto D. procedura avevano contenuto di natura tecnicogiuridica assolutamente speciale, consistevano principalmente in attività stragiudiziale di assistenza e consulenza in uno specifico ambito e riguardavano anche il sostegno alle azioni legali intraprese dai consorzi di tutela, i quali non sono amministrazioni dello Stato né possono esservi equiparati; inoltre, a detta procedura hanno partecipato molteplici studi legali e nel triennio precedente lo stesso Ministero aveva bandito altra gara ed affidato i medesimi servizi. Di qui la richiesta di revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. e dell’art. 106 c.p.a. D. predetta sentenza, nel capo relativo alla condanna alle spese.

Il Ministero delle politiche agricole si è costituito in giudizio ed ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, trattandosi semmai di violazione di norma di diritto.

Anche lo studio legale G. e Associati, in proprio e quale mandatario dell’a.t.i., si è costituito in giudizio ed ha svolto considerazioni a sostegno D. domanda di revocazione.

Il ricorso è stato introitato in decisione all’odierna udienza pubblica.

Ciò posto, in via generale la Sezione ricorda che, com’è noto, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per revocazione per errore di fatto idoneo a costituire il vizio previsto dal citato art. 395, n. 4, c.p.c., l’errore deve consistere in un’errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente e immediatamente rilevabile e tale da aver indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; non cadere su un punto controverso, sul quale il giudice si sia pronunciato; presentare i caratteri dell’evidenza e dell’obiettività, cosicché il suo apprezzamento non richieda lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; non deve consistere in un’erronea valutazione e interpretazione del fatto.

Pertanto, va ritenuto inammissibile il rimedio revocatorio in relazione ad errori privi degli indicati caratteri, in particolare non rilevabili in modo obiettivo e con assoluta immediatezza per cui necessitino, ai fini della loro dimostrazione, delle predette argomentazioni induttive ed indagini ermeneutiche; ovvero consistano in vizi non di assunzione del fatto (tali da comportare che il giudice non statuisca su quello effettivamente controverso), bensì di criterio nella valutazione del fatto, tanto che la decisione non derivi dall’ignoranza di atti e documenti di causa, ma dall’erronea interpretazione di essi.

Con riguardo alla fattispecie in esame, non è ravvisabile alcun errore di tal genere nella contestata condanna al pagamento delle spese di causa.

In primo luogo, va notato che la condanna D. parte soccombente al pagamento delle spese alla controparte vittoriosa segue di diritto, salvo che il giudice ritenga, eccezionalmente, di poterle compensare in tutto o in parte. Il giudice deve motivare la scelta di avvalersi della facoltà di compensare, ma non ha bisogno di motivare la scelta di non avvalersene.

Ora, nel caso in esame l’invocato errore di fatto si rileverebbe dalla motivazione della decisione di condannare i soccombenti alle spese; ma quand’anche tale motivazione risultasse palesemente errata, non per questo quel capo della sentenza dovrebbe essere modificato, trattandosi di motivazione irrilevante ai fini della legittimità della decisione. (altro si direbbe ovviamente ove l’errore consistesse nell’aver consideraato soccombente una parte che non lo era, ovvero nell’aver considerato costituita una parte che non lo era, e simili).

In secondo luogo, la questione ha richiesto alla parte ricorrente in revocazione un’ampia ed articolata trattazione, tesa a comprovare l’insussistenza dell’addebitatale poca diligenza o colpa professionale sia sotto il profilo oggettivo, in relazione agli effettivi contenuti dei servizi oggetto della proceduta, sia sotto quello soggettivo, in relazione all’indizione anche pregressa della procedura da parte dell’Amministrazione ed alla partecipazione alla stessa di altri professionisti.

Peraltro, quel che più rileva, e decisivamente, è che alla stregua della stessa prospettazione dell’istante l’errore denunciato consiste non già nell’erronea percezione da parte del giudice dell’esistenza di fatti la cui verità è incontrastabilmente esclusa dagli atti di causa, oppure nella supposizione dell’inesistenza di fatti la cui verità è ivi positivamente stabilita, bensì al più in errori sul criterio di valutazione dei quei fatti; ed è evidente che siffatti, pretesi errori costituirebbero, in ipotesi, vizi logici ed interpretativi dell’affermazione concernente la responsabilità degli appellati, come tali non rilevanti ai fini revocatori in quanto errori di diritto.

Pertanto il ricorso non può che essere dichiarato inammissibile.

Ne consegue che, secondo la regola dianzi accennata, parte ricorrente va condannata al pagamento in favore del Ministero resistente delle spese relative al presente giudizio revocatorio, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna parte ricorrente al pagamento, in favore del Ministero delle politiche agricole e forestali, delle spese di causa che liquida in complessivi Euro 3.000,00 (tremila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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