Cons. Stato Sez. IV, Sent., 02-08-2011, n. 4600 Condono Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Comune di Scandiano ha impugnato, chiedendone la riforma previa sospensione dell’esecuzione, la sentenza con la quale il T.A.R. dell’Emilia – Romagna, riuniti una pluralità di ricorsi presentati dai signori L. e G. R. avverso le determinazioni comunali di diniego di condono in relazione ad abusi edilizi dagli stessi posti in essere, di dissenso a una D.I.A. postuma presentata in relazione alle medesime opere, nonché avverso gli atti relativi a variante al P.R.G. per la reiterazione di vincolo espropriativo sul suolo interessato dalle medesime opere ed alla successiva procedura di esproprio, li ha in buona parte accolti.

A sostegno dell’appello, l’Amministrazione comunale ha dedotto:

1) violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.; violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato; omessa pronuncia; omessa motivazione sulle eccezioni; erronea motivazione (in relazione all’annullamento del diniego di D.I.A. tardiva presentata dagli istanti);

2) erronea motivazione (in ordine all’incompatibilità delle opere oggetto della D.I.A. anzi detta con la disciplina urbanistica all’epoca esistente sul suolo);

3) erronea motivazione (in ordine all’insussistenza di valide ragioni per l’adozione della variante in via d’urgenza, anche in considerazione della sicura rilevanza pubblica del polo fieristico a realizzarsi);

4) erronea motivazione in ordine ai motivi aggiunti, accolti per illegittimità derivata, relativi agli atti del procedimento espropriativo conseguenti alla reiterazione del vincolo;

5) conseguente erroneità della condanna dell’Amministrazione comunale al risarcimento del danno.

Si sono costituiti gli appellati, signori G. e L. R., i quali, oltre a opporsi con diffuse argomentazioni all’accoglimento dell’appello, hanno impugnato in via incidentale la sentenza per la parte che li ha visti soccombenti, articolando le seguenti censure:

I) violazione e/o erronea applicazione delle norme e dei principi in tema di espropriazione; contraddittorietà tra strumentazione urbanistica e progetto definitivo; in ogni caso, non compatibilità di quest’ultimo con le previsioni del P.R.G. vigente; illogicità; travisamento; difetto di motivazione (in relazione alla reiezione dei terzi motivi aggiunti depositati nel giudizio nr. 137/2005);

II) violazione e/o erronea applicazione degli artt. 21 e 22 della legge regionale 7 dicembre 1978, nr. 47; violazione e/o erronea applicazione dell’art. 15.6 delle norme di attuazione del P.R.G.; di nuovo travisamento e difetto di motivazione (ancora in relazione alla reiezione dei terzi motivi aggiunti);

III) violazione e/o erronea applicazione dell’art. 23 del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327; illogicità; travisamento; difetto di motivazione (in relazione alla reiezione dei quarti motivi aggiunti).

Inoltre, con la memoria di costituzione gli appellati hanno anche riproposto come segue le censure rimaste assorbite nella sentenza impugnata:

i) violazione e/o erronea applicazione delle norme e dei principi che regolano le spese degli Enti locali, con particolare riferimento agli artt. 191 segg. del decreto legislativo 18 agosto 2000, nr. 267; violazione e/o erronea applicazione dell’art. 49, comma 1, del d.lgs. nr. 267 del 2000; travisamento; contraddittorietà;

ii) violazione e/o mancato rispetto delle indicazioni – prescrizioni contenute nella deliberazione di reiterazione del vincolo espropriativo; contraddittorietà estrinseca; illogicità; travisamento; violazione e/o erronea applicazione delle norme e dei principi in tema di effettuazione delle spese da parte degli Enti locali, con particolare riguardo a quanto previsto dall’art. 191 del d.lgs. nr. 267 del 2000 e norme richiamate e/o correlate;

iii) ancora violazione e/o erronea applicazione della normativa in tema di finanziamento delle spese "affrontande" dal Comune, con riferimento particolare agli artt. 191 e segg. del d.lgs. nr. 267 del 2000; palese sottovalutazione della indennità di espropriazione; illogicità; sviamento; violazione e/o erronea applicazione dell’art. 38, comma 2, d.P.R. nr. 327 del 2001 nel testo vigente; travisamento;

iv) violazione e/o erronea applicazione dell’art. 3 della legge regionale 25 novembre 2002, nr. 37; incompetenza;

v) violazione e/o erronea applicazione dell’art. 22 del d.P.R. nr. 327 del 2001; illogicità; travisamento; carenza motiva sotto il profilo dell’urgenza; sviamento;

vi) violazione e/o erronea applicazione delle norme e dei principi in tema di determinazione dell’indennità di esproprio; falso presupposto di fatto; difetto di istruttoria e comunque difetto di motivazione; violazione e/o erronea applicazione dell’art. 38 del d.P.R. nr. 327 del 2001 nel testo vigente.

Alla camera di consiglio del 19 aprile 2011, fissata per l’esame della domanda incidentale di sospensiva, questa è stata differita sull’accordo delle parti, per essere abbinata alla trattazione del merito.

All’udienza del 12 luglio 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1. Con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, la Sezione di Parma del T.A.R. dell’Emilia – Romagna ha provveduto, previa loro riunione, su una pluralità di ricorsi – anche integrati da motivi aggiunti – proposti dai signori G. e L. R. nei confronti del Comune di Scandiano.

I primi tre di detti ricorsi (nn. 277/2004, 432/2004 e 30/2007) erano relativi agli atti posti in essere dal Comune in relazione ad abusi edilizi posti in essere dai ricorrenti, in difformità da una D.I.A. loro rilasciata, su un suolo in loro proprietà: in particolare, erano impugnati l’ordine di immediata sospensione dei lavori, l’ordine di non eseguire i lavori di cui a una successiva D.I.A. in sanatoria e il diniego di condono edilizio.

Il quarto ricorso (nr. 137/2005), integrato da vari motivi aggiunti, investiva invece gli atti e i provvedimenti posti in essere dall’Amministrazione comunale in relazione all’esproprio del terreno de quo finalizzato alla realizzazione di un polo fieristico: erano impugnati, nell’ordine, gli atti di adozione e approvazione di variante al P.R.G. reiterativa del vincolo espropriativo, la deliberazione consiliare di approvazione del progetto dell’opera, il decreto di esproprio e l’avviso di immissione in possesso.

Il T.A.R. adito, dopo aver dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse l’impugnativa dell’ordine di sospensione:

– ha accolto il ricorso proposto avverso il diniego di D.I.A. tardiva, conseguentemente annullandolo;

– ha accolto in parte il ricorso proposto avverso il diniego di condono, annullandolo parzialmente;

– ha accolto il ricorso nr. 137/2005, e in parte anche i successivi motivi aggiunti, annullando gli atti della procedura di esproprio e dichiarando invece inammissibili le doglianze ricondotte alla quantificazione dell’indennità di esproprio;

– ha accolto la domanda di risarcimento del danno, ordinando al Comune di offrire una somma alle controparti, ai sensi dell’art. 34, comma 4, cod. proc. amm.

2. Tanto premesso, l’appello del Comune di Scandiano si appalesa solo parzialmente fondato, mentre per la parte residua va in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile.

3. Innanzi tutto, va dichiarata l’inammissibilità dell’appello principale nella parte (pag. 25) in cui ci si limita a richiamare genericamente, dandole per trascritte, le eccezioni sollevate in primo grado e sulle quali il T.A.R. avrebbe omesso di pronunciarsi: tale formula viola il disposto dell’art. 101, comma 2, cod. proc. amm., secondo cui è onere della parte istante riproporre espressamente nell’atto di appello le eccezioni che intende reiterare dinanzi al giudice di secondo grado.

Proprio in virtù della disposizione innanzi richiamata, non può avere alcun valore la trascrizione delle eccezioni de quibus inserita dal Comune in una successiva memoria.

Quanto sopra comporta – come evidenziato dalle parti appellate – il formarsi del giudicato sull’annullamento del diniego di permesso di costruire in sanatoria, in ordine al quale nessuno specifico motivo di censura risulta articolato dall’Amministrazione appellante; tuttavia, è forse il caso di precisare che tale annullamento non comporta affatto, come conseguenza, l’obbligo di rilasciare la sanatoria, ma soltanto il dovere del Comune di riesaminare l’istanza in tal senso avanzata e di riprovvedere su di essa nel rispetto del decisum giurisdizionale.

4. Considerazioni analoghe a quelle da ultimo svolte valgono anche quanto agli effetti dell’annullamento del diniego di D.I.A. ex post in sanatoria, in relazione al quale i motivi d’appello formulati dal Comune sono infondati.

Ed invero, l’Amministrazione fonda il proprio appello sulla sussistenza di una pluralità di ragioni ostative all’assentibilità dell’intervento di cui alla D.I.A. richiamata: l’abusività dell’immobile preesistente su cui insistevano le opere di cui alla nuova D.I.A.; la non conformità delle opere già realizzate rispetto a quelle di cui alla D.I.A. in sanatoria; l’essere all’epoca già in vigore la variante al P.R.G. già adottata con la delibera consiliare nr. 38 del 26 aprile 2004, con conseguente operatività delle misure di salvaguardia di cui all’art. 12, comma 1, della legge regionale 24 marzo 2000, nr. 20.

Al riguardo, la Sezione non può esimersi dal rilevare che nessuna delle circostanze testé richiamate trovasi richiamata nel corpus motivazionale del provvedimento inibitorio impugnato in prime cure, il quale era chiaramente (ed esclusivamente) motivato sic et simpliciter sul ritenuto non ricadere degli interventi di cui alla D.I.A. fra quelli per i quali gli artt. 8 e 9 della legge regionale 25 novembre 2002, nr. 31, consentivano detto titolo abilitativo (motivazione, quest’ultima, a sua volta contestata dagli istanti in prime cure).

Inoltre, la vigenza di variante urbanistica adottata, tale da rendere non assentibile l’intervento, giammai avrebbe potuto legittimare un diniego definitivo, ma unicamente – come ammette lo stesso Comune appellante – un atto soprassessorio destinato a esaurire i propri effetti una volta concluso l’iter della variante.

Ne discende che anche in relazione all’annullamento del diniego di D.I.A. in sanatoria va confermata la sentenza impugnata (ancorché con le precisazioni già fatte quanto al diniego di permesso di costruire in sanatoria).

5. Venendo ora all’esame dei motivi d’appello articolati in relazione all’annullamento degli atti della procedura espropriativa, gli stessi si appalesano fondati e pertanto meritevoli di accoglimento.

Al riguardo, il giudice di prime cure ha ritenuto fondata e assorbente la doglianza di erronea applicazione dell’art. 15, comma 2, della legge regionale 7 dicembre 1978, nr. 47, non ravvisando la sussistenza di validi motivi di urgenza idonei a giustificare il ricorso alla procedura accelerata disciplinata da tale disposizione (oltre tutto in vista della realizzazione di un’opera, il polo fieristico, sul cui interesse pubblico lo stesso T.A.R. ha avanzato perplessità).

Al contrario, ad avviso della Sezione le ragioni di urgenza, tali da autorizzare il ricorso alla procedura di variante accelerata, ben potevano consistere proprio nell’intervenuta scadenza dei vincoli espropriativi già contenuti nel P.R.G. per decorso del termine quinquennale di efficacia, con la conseguente necessità di un’immediata reiterazione dei vincoli medesimi al fine di evitare, per quanto attiene all’area che qui interessa, che su di essa trovasse applicazione il regime transitorio previsto dall’art. 5 della l.r. nr. 31 del 2002, e quindi divenisse possibile l’edificazione privata con correlativa frustrazione del chiaro (e perdurante) intento del Comune di realizzare in loco il polo fieristico previsto dal P.R.G.

Dell’interesse pubblico rivestito da tale intervento non appare lecito dubitare, alla stregua della legislazione sia nazionale che regionale, trattandosi di opera infrastrutturale chiaramente strumentale alle politiche di sviluppo economico e di incentivazione dell’attività mercantile e produttiva a livello locale.

Né può aver pregio l’obiezione di parte odierna appellata, secondo cui l’evidenziata situazione d’urgenza non sarebbe stata giuridicamente idonea, siccome causata dalla stessa Amministrazione comunale, la quale non potrebbe giammai giovarsi della propria inerzia e negligenza: al riguardo, appare apodittico il presupposto da cui muove l’argomentazione in esame, secondo cui il fatto stesso che fossero decorsi i cinque anni di efficacia del vincolo espropriativo, senza che fosse realizzata l’opera a suo tempo prefigurata dal P.R.G., costituirebbe prova dell’asserita inerzia dell’Amministrazione.

Al contrario, resta affidata alla discrezionalità dell’Amministrazione la programmazione e la tempistica degli interventi contemplati dalla programmazione regionale, che può dipendere da una pluralità di variabili (non ultime quelle economicofinanziarie) non sempre predefinibili a priori; inoltre, il fatto stesso che fosse in itinere una più ampia variante urbanistica, tale da costituire il presupposto di applicabilità della rammentata procedura accelerata ex art. 15, comma 2, l.r. nr. 47 del 1978, dimostra che il Comune era rimasto tutt’altro che inerte a fronte dell’imminente scadenza dei vincoli, non potendo poi ascriversi a sua responsabilità i tempi lunghi normalmente connessi a una variante generale.

Né può trovare accoglimento l’ulteriore rilievo di parte appellata, secondo cui l’applicabilità del citato comma 2 dell’art. 15, che è circoscritto ai vincoli finalizzati alle opere comunali, sarebbe esclusa dall’essere il polo fieristico intervento dichiaratamente "sovracomunale": infatti, nella citata previsione legislativa regionale l’aggettivo "comunale" va riferito all’iniziativa dell’intervento, e non alla sua dimensione territoriale (e non è contestato che il polo fieristico è opera destinata a essere realizzata direttamente a iniziativa del Comune di Scandiano).

Inoltre, nella delibera approvativa della variante reiterativa del vincolo vi è un’ampia motivazione che dà conto di "un’accurata ricognizione di tutte le destinazioni urbanistiche previste dal P.R.G. vigente finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche e per le quali non sia stata dichiarata la pubblica utilità nell’arco dei cinque anni", dell’attualità delle esigenze collettive sottese alla prevista realizzazione del polo fieristico e della perdurante necessità di localizzazione dell’opera nell’area originariamente stabilita, ritenuta argomentatamente preferibile ad altre aree astrattamente utilizzabili: di modo che risulta correttamente assolto anche il più pregnante obbligo motivazionale che, per giurisprudenza, s’impone all’Amministrazione nell’ipotesi di reiterazione di vincolo espropriativo scaduto.

D’altronde, costituisce consolidato indirizzo della Sezione che la variante al piano regolatore generale di reiterazione dei vincoli urbanistici a contenuto espropriativo non richieda una motivazione specifica in relazione alla destinazione delle singole aree, essendo sufficiente che venga evidenziata la sussistenza della attualità e della persistenza delle esigenze urbanistiche ovvero i criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione del piano (Cons. Stato, sez. IV, 8 giugno 2007, nr. 2999), e che la reiterazione a mezzo di variante generale dei vincoli urbanistici decaduti preordinati alla espropriazione che comportino la inedificabilità, non richiede una motivazione specifica (c.d. polverizzata) circa la destinazione impressa alle singole aree, ma soltanto una motivazione in ordine alle esigenze urbanistiche che sono a fondamento della variante medesima, motivazione ben evincibile dai criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione dello strumento (Cons. Stato, sez. IV, 5 febbraio 2009, nr. 676; id., 31 maggio 2007, nr. 2863).

6. L’acclarata fondatezza in parte qua dell’appello comunale comporta la necessità di esaminare le doglianze di parte ricorrente rimaste assorbite in primo grado, riproposte nel presente grado con la memoria di costituzione degli appellati.

Tali censure, peraltro, risultano tutte infondate.

6.1. Principiando dalla doglianza inerente alla asserita mancanza di copertura della spesa implicata dalla variante, ed alla conseguente carenza del parere di regolarità contabile di cui all’art. 49 del decreto legislativo 18 agosto 2000, nr. 267, giova richiamare la pregressa giurisprudenza in materia di relazione economica e finanziaria, la cui carenza pacificamente non costituisce vizio di legittimità della variante impositiva di un vincolo preordinato all’esproprio, non costituendone elemento essenziale e ben potendo il finanziamento sopravvenire in un momento successivo, e cioè quando il Comune deve deliberare sull’espropriazione delle aree private (cfr. Cons. Stato, ad. plen., 22 dicembre 1999, nr. 24; Cons. Stato, sez. IV, 3 marzo 2009, nr. 1214; id., 31 gennaio 2005, nr. 259; id., 18 ottobre 2002, nr. 5715).

Da tale indirizzo, ad avviso della Sezione, può ricavarsi un principio generale nel senso della non necessità, in occasione dell’adozione e della successiva approvazione di una variante urbanistica che imponga o reiteri un vincolo espropriativo, di un’assunzione precisa e puntuale dell’impegno di spesa, essendo sufficiente che l’Amministrazione si rappresenti e preveda la necessità che l’ablazione della proprietà sia accompagnata dalla corresponsione di un indennizzo.

Ne discende che nella specie non era necessario il parere di regolarità contabile ex art. 49, d.lgs. nr. 267/2000 (la cui mancanza comunque, per altrettanto pacifica giurisprudenza, non inciderebbe sulla legittimità del provvedimento, ma esclusivamente sul piano delle eventuali responsabilità amministrative e contabili: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2006, nr. 3888; Cons. Stato, sez. V, 7 agosto 1996, nr. 884).

6.2. Del pari prive di pregio sono le successive censure, con le quali viene contestata la coerenza e l’affidabilità del quadro economico e finanziario che accompagna le delibere di variante, sempre con riguardo all’asserita mancata copertura della spesa connessa all’intervento.

Al riguardo, oltre a quanto già sottolineato al punto che precede, può aggiungersi che laddove le ridette censure si risolvono in una sostanziale contestazione dell’ammontare dell’indennità di esproprio (sia pure nella quantificazione di massima contenuta nel citato quadro economico), queste chiaramente fuoriescono dalla giurisdizione del giudice amministrativo e sono pertanto inammissibili.

6.3. Infondata è anche la censura di incompetenza della delibera di approvazione del progetto definitivo dell’opera, incentrata sulla affermazione che nella specie si tratterebbe di atto gestionale, come tale rientrante nella competenza dirigenziale.

Al contrario, deve ribadirsi il principio per cui le delibere di approvazione di progetti di opere pubbliche comportanti la dichiarazione di pubblica utilità dell’intervento fuoriescono dalla sfera degli atti gestionali, e pertanto rientrano nella competenza residuale della Giunta ai sensi dell’art. 42, comma 2, lettera b), del d.lgs. nr. 267 del 2000.

6.4. Miglior sorte non merita l’ulteriore censura di illegittimità del decreto di occupazione per violazione dell’art. 22 del d.P.R. nr. 327/2001, a cagione dell’asserita carenza di idonea motivazione in ordine all’urgenza legittimante l’immissione nella proprietà degli istanti.

Al contrario, nel censurato decreto di occupazione si fa espresso riferimento a una triplice urgenza: la "urgenza di dare avvio alle opere previste nel cantiere" nei tempi prefissati, la "necessità di realizzare interventi propedeutici alla costruzione" e la "necessità di trasferire le attività fieristiche in nuove strutture"; di modo che risulta assolto l’onere motivazionale incombente sull’Amministrazione, scarsa rilevanza avendo gli opposti rilievi di parte appellata (i quali, ancora una volta si fondano sull’apodittica e già confutata assunzione di una pregressa inerzia e negligenza del Comune).

7. I rilievi fin qui svolti, inducendo a concludere nel senso della piena legittimità degli atti di adozione e approvazione della variante urbanistica, rendono fondata anche l’ulteriore motivo d’impugnazione articolato dal Comune avverso le determinazioni del primo giudice in punto di risarcimento del danno (che, in effetti, sono espressamente ricollegate alla ritenuta illegittimità della reiterazione del vincolo perordinato all’esproprio).

8. Al di là, poi, di quanto esposto circa la fondatezza in parte qua dell’appello dell’Amministrazione comunale, va aggiunto che l’appello incidentale autonomo proposto dai sig.ri Rabboni si appalesa infondato e quindi meritevole di reiezione.

8.1. Con un primo ordine di doglianze, viene lamentata l’erroneità della declaratoria di inammissibilità, per difetto di giurisdizione, dei terzi motivi aggiunti, contestando che con questi siano state articolate censure afferenti alla quantificazione dell’indennità di esproprio.

In effetti, gli originari ricorrenti hanno evidenziato che il compendio oggetto di esproprio sarebbe solo in parte, alla stregua della vigente pianificazione urbanistica, assoggettato a destinazione fieristica F6, mentre per la parte residua ricadrebbe in zona G2, "verde pubblico urbano e di quartiere": dal che la parte appellante incidentale desume che la procedura espropriativa sarebbe finalizzata alla realizzazione di un’opera (il polo fieristico) almeno in parte diversa da quelle consentite dalla strumentazione urbanistica.

Per vero, la stessa parte istante si rappresenta la possibilità che nell’ambito del polo fieristico possano essere comprese anche aree attrezzate a verde, a uso pertinenziale e accessorio rispetto a quelle destinate alle strutture della fiera, invocando però per tale ipotesi la perequazione dei carichi in sede di determinazione dell’indennizzo, in modo da evitare discriminazioni tra i proprietari espropriati in ragione della destinazione dei suoli (e, quindi, del loro valore).

Così formulata, la censura per un verso risente di una sorta di "processo alle intenzioni", essendo invero basata soltanto sulla prospettazione di una possibile illegittima condotta futura del Comune all’esito del perfezionamento della procedura espropriativa; per altro verso – ed è ciò che più conta – si risolve nella sostanza, come correttamente evidenziato dal primo giudice, in una contestazione anticipata dei criteri che l’Amministrazione applicherà per il computo dell’indennità di esproprio, e in quanto tale non può che prefigurare un contenzioso che, se e in quanto verrà in essere, dovrà essere devoluto alla cognizione del giudice ordinario.

8.2. Con un secondo ordine di censure, è riproposta la doglianza di violazione dell’art. 15.6 delle norme di attuazione del P.R.G., nella parte in cui la realizzazione del polo fieristico è subordinata alla previa adozione di un piano particolareggiato d’iniziativa pubblica.

Così come formulata, la censura è inammissibile per difetto di interesse.

Infatti, da una piana lettura della disposizione testé citata si ricava che l’adozione del piano particolareggiato è incombenza imposta al Comune nella fase prodromica alla realizzazione del polo fieristico; ne discende da un lato che tale incombenza non doveva necessariamente precedere l’avvio della procedura di esproprio (che è attività finalizzata alla preliminare acquisizione dei suoli su cui realizzare l’opera pubblica), per altro verso che la parte privata, una volta legittimamente espropriata delle aree in questione, non ha alcun titolo per dolersi delle modalità con le quali l’Amministrazione in concreto procederà alla realizzazione dell’opera medesima.

8.3. Infine, è priva di pregio anche la censura di violazione dell’art. 23 del d.P.R. nr. 327/2001, per non essere stata nel decreto di esproprio inserita l’indicazione dell’avvenuto deposito dell’indennità provvisoria presso la Cassa Depositi e Prestiti.

Infatti, dal tenore complessivo della norma emerge chiaramente che è causa di illegittimità del decreto di esproprio soltanto l’omessa offerta dell’indennità provvisoria, anche nella forma del deposito suindicato, e non già la mera omessa menzione di tale adempimento.

Nel caso di specie, pur evincendosi chiaramente dalle doglianze attoree che le parti private non hanno accettato l’indennità provvisoria (come ricavabile dalle numerose censure che sono state sostanzialmente ricondotte all’entità di essa), le stesse non hanno esplicitamente contestato la circostanza che l’indennità sia stata in fatto depositata, limitandosi – come detto – a lamentare la mera omessa indicazione di tale adempimento nel decreto di esproprio.

9. In conclusione, alla luce dei rilievi fin qui svolti, s’impone una decisione di reiezione dell’appello incidentale e di solo parziale accoglimento dell’appello dell’Amministrazione, che per la parte residua va in parte dichiarato inammissibile e in parte respinto.

10. In considerazione della parziale soccombenza reciproca, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:

– accoglie in parte l’appello del Comune di Scandiano, in parte lo respinge e in parte lo dichiara inammissibile, come precisato in motivazione;

– respinge l’appello incidentale proposto dai signori G. e L. R.;

– per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado nr. 137/2005 ed i primi e secondi motivi aggiunti allo stesso, confermando per il resto la sentenza medesima.

Compensa tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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