Cass. pen., sez. III 29-10-2007 (03-10-2007), n. 39882 Riduzione della pena complessiva da parte del giudice d’Appello – Determinazione della pena da parte del giudice di primo grado in misura inferiore al minimo edittale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 1 ottobre 2003, il Tribunale di Napoli aveva condannato C.L., a seguito di giudizio col rito abbreviato, alla pena di mesi due e giorni venti di reclusione ed Euro 300,00 di multa, dichiarandolo colpevole del reato di cui all’art. 81 cpv. c.p., alla L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 171 ter, lett. a), ed all’art. 171 bis, comma 1, e successive modifiche nonchè art. 648 c.p., per avere in (OMISSIS), come accertato il (OMISSIS), abusivamente duplicato o riprodotto a scopo di lucro n. 76 videocassette di opere destinate al circuito cinematografico o televisivo nonchè detenuto a scopo commerciale e/o posto in vendita o noleggiato programmi per elaboratori, consistenti in n. 91 compact Disk, pur sapendo che si trattava di copie non autorizzate e infine per avere acquistato o comunque ricevuto al fine di procurarsi un profitto i C.D. suddetti pur conoscendone l’illecita provenienza, trattandosi di merce oggetto di precedente contraffazione.
Su appello dell’imputato, la Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 16 marzo 2005, ha assolto l’appellane dal reato di cui all’art. 648 c.p. per insussistenza del fatto, senza peraltro ridurre la pena, essendo quella inflitta in primo grado illegalmente inferiore a quella corrispondente al minimo edittale.
Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione personalmente l’imputato, deducendo:
a) la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione quanto alla pronuncia di conferma, nel resto, della sentenza di primo grado, operata senza enunciare le ragioni che hanno indotto la Corte a ritenere non evidente l’innocenza dell’imputato e quelle a sostegno dell’applicazione della pena conseguente;
b) la violazione di legge per la mancata riduzione della pena in conseguenza dell’assoluzione per uno dei reati attribuiti all’imputato in primo grado;
c) la violazione di legge per il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p. e alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 3.
Il ricorrente chiede pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è generico, limitandosi a illustrare i principi vigenti nel nostro Ordinamento in ordine all’obbligo di motivare adeguatamente le sentenze di condanna.
Ma anche a ripercorrere le censure svolte nell’atto d’appello, oltre quella accolta con l’assoluzione dal reato di cui all’art. 648 c.p., si rileva comunque dalla sentenza impugnata una presa di posizione esplicita o implicita in ordine ad esse, con le ragioni per le quali la Corte territoriale ha ritenuto non fondate le relative doglianze.
L’appellante aveva ad es. affermato che in giudizio era mancata la prova del fatto che egli fosse il gestore dell’esercizio commerciale ove erano stati rinvenuti i supporti sequestrati e la Corte territoriale ha nel corpo della sentenza impugnata rilevato che la circostanza era stata accertata sulla base delle dichiarazioni rese dallo stesso imputato.
E ancora, l’appellante aveva chiesto l’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, delle attenuanti generiche nonchè la riduzione della pena ai minimi, richieste che hanno ricevuto una implicita ma chiara risposta (oltre che nelle osservazioni contenute nella sentenza di primo grado, evidentemente fatte proprie dalla Corte, ad es. quanto alla non ricorrenza delle attenuanti generiche) nel rilievo della illegalità della pena, in quanto, come si dirà, irrogata in misura inferiore al minimo edittale e quindi ritenuta non ulteriormente riducibile.
Passando così all’esame del secondo motivo di ricorso, si rileva che il giudice di prime cure, nel determinare la pena per il reato continuato accertato, aveva individuato, ai sensi dell’art. 81 c.p., la violazione più grave in quella riferita alla fattispecie di cui all’art. 648 c.p., comma 2, stabilendo la relativa pena base in mesi tre di reclusione ed Euro 350,00 di multa, quindi incrementata a 4 mesi di reclusione ed Euro 450,00 di multa in relazione agli altri due reati e infine ridotta di un terzo per il rito prescelto.
Determinando nella misura indicata la pena base, il Tribunale aveva peraltro violato i minimi edittali previsti per le altre due fattispecie criminose e stabiliti per ciascuna di esse in almeno sei mesi di reclusione ed Euro 2.582,00 di multa dalla L. n. 248 del 2000.
Preso atto di ciò, la Corte territoriale ha ritenuto, nel momento in cui ha assolto l’appellante dal reato più grave, di non dover ridurre ulteriormente la pena stabilita dal giudice di primo grado, in quanto inferiore al minimo edittale.
Tale decisione è censurata dal ricorrente, il quale deduce che l’art. 597 c.p.p., comma 4, obbliga il giudice di appello a ridurre "in ogni caso" la pena complessivamente irrogata allorchè in sede di appello promosso dall’imputato vengano escluse aggravanti o reati concorrenti (nel medesimo senso cfr., Cass. sez. 3^, ud. 7 febbraio 2007, Riccadonna).
La censura è infondata.
A giudizio del Collegio, l’art. 597 c.p.p., comma 4, che impone una riduzione della pena complessiva quando è accolto l’appello dell’imputato per le ragioni indicate presuppone infatti che la pena da ridurre sia stata determinata in maniera legale, e quindi in misura eguale o superiore al minimo edittale previsto per il reato per il quale la condanna viene confermata in appello.
Qualora viceversa la pena sia inferiore al minimo edittale e quindi illegalmente determinata, essa non può essere ulteriormente ridotta giacchè la mancata impugnazione della sentenza da parte del Pubblico Ministero per ricondurre la pena alla misura legale, se impedisce secondo i principi la reformatio in pejus, non legittima peraltro la perpetuazione di un errore nella determinazione della pena legale (cfr., nel medesimo senso, Cass. sez. 3^, 22 febbraio 2007 n. 7306).
Devesi pertanto concludere che correttamente la Corte d’appello di Napoli, pur assolvendo l’imputato, su appello dello stesso, dal reato di cui all’art. 648 c.p., comma 2, non ha ulteriormente ridotto la pena inflitta in primo grado in misura inferiore al minimo edittale previsto per il più grave dei residui reati.
Il secondo motivo di ricorso ne risulta infondato.
Infine, anche l’ultimo motivo di ricorso, col quale l’imputato lamenta il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 171 ter, comma 3 della legge, relativa alla particolare tenuità del fatto, appare superato dal rilievo della illegalità della pena determinata al di sotto del minimo di legge.
Concludendo, sulla base delle considerazioni svolte il ricorso va respinto e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese di giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *