Cons. Stato Sez. IV, Sent., 02-08-2011, n. 4592 Commissione giudicatrice

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il dottor F. A. B. ha impugnato, chiedendone la riforma, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio ha respinto il ricorso da lui proposto avverso il provvedimento di non ammissione alle prove orali del concorso a 230 posti di notaio indetto con D.D.G. del 10 luglio 2006.

A sostegno dell’appello, ha dedotto l’erroneità della sentenza impugnata:

– quanto all’assunto teorico di fondo, con cui è stata esclusa la sindacabilità giurisdizionale delle valutazioni compiute dalla Commissione sulle prove d’esame;

– quanto alla qualificazione di "grave errore di diritto" attribuita a talune soluzioni sviluppate dal candidato nel secondo elaborato (atto societario), oltre tutto in difformità da quanto avvenuto con riguardo ad altri candidati;

– quanto alla non incidenza sul giudizio di inidoneità dell’istante del mutamento di indirizzo intervenuto nella Commissione esaminatrice durante le operazioni di correzione con riferimento alla portata di taluni errori (come reso pubblico da uno dei commissari).

Si sono costituiti il Ministero della Giustizia e la Commissione esaminatrice, assumendo l’infondatezza dell’appello e concludendo per la sua reiezione.

All’udienza del 21 giugno 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1. Il dottor F. A. B. ha partecipato al concorso a 230 posti di notaio indetto dal Ministero della Giustizia con decreto dirigenziale del 10 luglio 2006, venendo giudicato non idoneo all’ammissione alle prove orali all’esito della correzione dell’elaborato riguardante l’atto societario.

Il ricorso dallo stesso proposto avverso il predetto giudizio di non idoneità e la mancata ammissione alle prove orali è stato respinto dal T.A.R. del Lazio con la sentenza qui impugnata.

2. Prima ancora di esaminare l’appello, è opportuno richiamare sinteticamente il quadro normativo di riferimento del concorso per cui è causa, nonché alcune vicende verificatesi nel corso di esso, rilevanti ai fini del giudizio.

In particolare, giova premettere che il concorso che qui interessa è stato il primo a svolgersi in applicazione dell’innovativa disciplina introdotta dal decreto legislativo 24 aprile 2006, nr. 166, il quale – tra l’altro – all’art. 7 prevede due distinte modalità con le quali ciascuna delle sottocommissioni incaricate della correzione degli scritti può pervenire a un giudizio di non idoneità: in generale, ciò avviene all’esito della lettura dei tre elaborati relativi alle prove scritte (comma 2), ma il predetto giudizio negativo può essere espresso anche all’esito della lettura del primo o del secondo elaborato (e, quindi, omettendo di completare la lettura delle tre prove), qualora da tale lettura emergano "nullità o gravi insufficienze, secondo i criteri definiti dalla commissione" (comma 7).

Nel caso di specie, la Commissione ha preliminarmente proceduto, ai sensi dell’art. 10 dello stesso decreto, a stabilire sia i criteri generali per la valutazione delle prove scritte sia quelli specifici per l’individuazione delle ipotesi di nullità o di grave insufficienza suscettibili di determinare l’immediata esclusione ai sensi del ricordato comma 7.

La vicenda chiamata in causa dal presente appello, divenuta pubblica a seguito di un esposto presentato da uno dei componenti la Commissione, concerne l’operazione di "aggiustamento" che la stessa Commissione ha ritenuto di compiere durante le correzioni: in particolare, è accaduto che taluni errori, inizialmente ritenuti di gravità tale da giustificare l’immediato giudizio di non idoneità ai sensi del comma 7 dell’art. 11, a seguito di più approfondita riflessione sono stati giudicati invece non tali da comportare tale rigorosa conseguenza, e pertanto per i concorrenti che in tali errori erano incorsi si è proceduto a completare la lettura dei tre elaborati con espressione del giudizio solo all’esito di tale lettura.

Al riguardo il primo giudice, se per un verso ha sottolineato come il mutamento in itinere dei criteri di valutazione avrebbe correttamente comportato il dovere della Commissione di rinnovare la correzione per quei concorrenti i quali prima di detto mutamento fossero stati esclusi ai sensi del comma 7 dell’art. 11 per taluno degli errori in questione, ha però rilevato che il giudizio di inidoneità espresso nei confronti del ricorrente, essendo stato indotto da errori e lacune concernenti profili diversi da quelli interessati dal predetto mutamento dei criteri, non era in nulla toccato da tale vicenda ed era dunque destinato a restare fermo in ogni caso.

3. Ciò premesso, l’appello è infondato e pertanto meritevole di reiezione.

4. Con un unico, articolato motivo di gravame, la parte appellante reitera le doglianze svolte in primo grado – censurando le contrarie statuizioni del T.A.R. capitolino – con riguardo a tre profili ben distinti e segnatamente:

a) alla asserita erroneità dell’affermazione del primo giudice in ordine all’esistenza di limiti al sindacato giurisdizionale sui giudizi della Commissione esaminatrice;

b) ai vizi pretesamente inficianti il giudizio di "non idoneità" formulato sulla prova relativa all’atto societario, che ha determinato l’immediata esclusione dell’istante dalla procedura per cui è causa;

c) all’incidenza dell’evidenziato révirement della Commissione in ordine a taluni errori ed alla loro rilevanza in sede di correzione.

4.1. Principiando dal primo aspetto, l’appellante stigmatizza la sentenza impugnata laddove si afferma che le censure articolate nel ricorso e nei motivi aggiunti avrebbero comportato un vero e proprio riesame nel merito da parte del giudice sulla prova sostenuta dal ricorrente, con successiva rinnovazione del giudizio su di essa: ciò che, comportando una sostanziale sostituzione dell’organo giudicante alla Commissione esaminatrice, certamente esorbiterebbe i limiti del sindacato giurisdizionale consentito in subiecta materia.

Tuttavia, la pur argomentata critica di parte appellante non appare suscettibile di indurre a un abbandono del tradizionale indirizzo, circa i limiti al sindacato giurisdizionale sulle valutazioni delle commissioni esaminatrici nelle prove concorsuali, che il primo giudice ha seguito.

Da tale consolidato orientamento la Sezione non ravvisa ragione per discostarsi, non risultando decisivo in tal senso neanche il richiamo a quanto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza nr. 14893 del 21 giugno 2010, richiamata da parte appellante: tale pronuncia, infatti, non contraddice affatto i generali principi testé richiamati in ordine alla riserva all’amministrazione procedente delle valutazioni squisitamente tecnicodiscrezionali ricomprese nelle procedure concorsuali, ed ai conseguenti limiti al relativo sindacato giurisdizionale.

Dette valutazioni, seppure qualificabili quali analisi di fatti (correzione dell’elaborato del candidato con attribuzione di punteggio o giudizio), e non come ponderazione di interessi, costituiscono pur sempre l’espressione di ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l’idoneità tecnica e/o culturale, ovvero attitudinale dei candidati, con la conseguenza che le stesse valutazioni non sono sindacabili dal giudice amministrativo, se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico od un errore di fatto o, ancora, una contraddittorietà ictu oculi rilevabile (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez.. IV, 3 dicembre 2010, nr. 8504; id., 29 febbraio 2008, nr. 774; id., 22 gennaio 2007, nr. 179).

4.2. I rilievi che precedono aiutano a comprendere anche l’infondatezza della seconda subcensura, con la quale l’appellante critica la parte della sentenza impugnata relativa alla reiezione delle doglianze mosse avverso il giudizio di inidoneità formulato in ordine alla prova scritta dell’atto societario: in particolare, viene recisamente contestato che possa essere qualificata come "grave errore di diritto" l’apposizione nel verbale di una condizione risolutiva avente a oggetto il mancato rilascio del certificato di abitabilità del bene da conferire, assumendo – anche con l’ausilio di un parere pro veritate- che ciò non determinerebbe affatto "incertezza sulla reale composizione del capitale sociale" (come ritenuto dalla Commissione).

Innanzi tutto, non appare condivisibile l’approccio "atomistico" con il quale nell’appello si isola, anche al fine di denunciare la disparità di trattamento con altri candidati, un singolo aspetto fra quelli oggetto di attenzione della Commissione, per poi assumere l’insussistenza di errori, in un’ottica parcellizzata che smarrisce la necessità di un’analisi globale degli elaborati (essendo pacifico che il maggiore o minor pregio della prova discende anche dall’equilibrio argomentativo complessivo e dalla logica interna generale che sorregge l’elaborato nella sua interezza).

Inoltre, ad avviso della Sezione nel caso che qui occupa non ricorre alcuna delle ipotesi di erroneità o irragionevolezza riscontrabile ictu oculi dalla sola lettura degli atti, in presenza solo delle quali si è visto essere ammissibile il sindacato del giudice in subiecta materia.

Più specificamente, è proprio in applicazione del rigoroso orientamento sopra richiamato che non vi è spazio per una disamina approfondita delle censure con le quali l’appellante, anche corredando i propri assunti col richiamo a un autorevole parere dottrinale, tende a contestare la giustezza dei giudizi espressi dalla Commissione in relazione alla prova d’esame (e cioè, alla correttezza di talune soluzioni giuridiche proposte, che la sottocommissione incaricata della correzione ha ritenuto invece di stigmatizzare come errori o inesattezze).

Con ogni evidenza, si tratta di aspetti la cui valutazione rientra nella sfera rimessa alla piena discrezionalità della Commissione e rispetto ai quali non è in alcun modo ammissibile una "sostituzione" dell’organo giurisdizionale, come sembra quasi pretendere la parte odierna appellante.

In altri termini il fatto stesso che al giudicante si richieda, al fine di apprezzare l’asserita erroneità dei giudizi espressi dalla Commissione sui singoli punti oggetto di sfavorevole delibazione, di seguire l’appellante in un complesso percorso logicogiuridico indirizzato all’analisi della traccia ed all’individuazione delle varie soluzioni astrattamente possibili, consente di escludere che nella specie possano sussistere quei manifesti profili di erroneità e irragionevolezza, soltanto in presenza dei quali – come si è visto – è consentito l’intervento censorio in sede giurisdizionale.

4.3. Infine, va disattesa l’ulteriore censura con la quale si lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui, con riferimento al mutamento d’indirizzo intervenuto nel corso dell’attività della Commissione circa taluni errori originariamente giudicati gravi ai sensi del comma 7 dell’art. 11 (come reso pubblico da uno dei commissari), ha escluso che tale vicenda abbia avuto alcuna incidenza sul giudizio di inidoneità formulato nei confronti del dottor B..

Infatti, contrariamente a quanto sembra ritenere l’istante, non esiste un interesse giuridicamente qualificato del partecipante a una procedura concorsuale all’omogeneità dei criteri valutativi che sia sganciato da qualsivoglia considerazione della concreta incidenza che l’eventuale disomogenità abbia avuto sul giudizio espresso sul candidato stesso; in altri termini, il fatto che la disomogeneità di giudizio emersa in corso di correzione abbia pregiudicato altri candidati non ha alcun riflesso sulla posizione dell’odierno appellante, qualora questi non dimostri (ciò che non ha fatto) che tale anomalia procedimentale abbia in concreto inciso anche sulla valutazione della sua prova scritta.

Né può parlarsi di discriminazione tra l’appellante e i concorrenti per i quali il T.A.R. del Lazio, ritenendo che il revirement della Commissione avrebbe comportato il dovere di ripetere la correzione dei loro elaborati, ha accolto i ricorsi: per costoro, lungi dall’essersi tributato un beneficio o un privilegio in virtù di circostanze meramente casuali, semplicemente si è ritenuto – con sentenze non impugnate dall’Amministrazione – che dalla lettura dei rispettivi elaborati emergesse in modo manifesto che la ragione unica o comunque decisiva della loro esclusione, ai sensi del più volte citato art. 11, comma 7, d.lgs. nr. 166/2006, fosse stata individuata in errori o mende per i quali, in seguito, la stessa Commissione ha mutato orientamento, non assumendo analoghe determinazioni per altri candidati in situazioni analoghe.

Insomma, si trattava di ipotesilimite nelle quali, malgrado l’evidenziata necessità di tener conto delle prove nella loro interezza senza "isolare" i singoli profili di erroneità e carenza, emergeva ictu oculi che la ragione sostanzialmente unica dell’esclusione riposava nel ricadersi in un’ipotesi, dapprima ricondotta a quelle di gravi carenze e insufficienze astrattamente delineate dalla Commissione, e successivamente escluse da tale novero (senza che ciò inducesse la Commissione al doveroso riesame delle prove dei concorrenti esclusi prima di tale modifica del parametro valutativo).

5. In conclusione, l’acclarata infondatezza di tutti i motivi d’appello impone una decisione di reiezione del gravame, con la conferma della sentenza impugnata.

6. La peculiarità della vicenda e la complessità delle questioni esaminate (coinvolgenti anche problemi interpretativi di una disciplina innovativa) giustificano l’integrale compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Compensa tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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