Cons. Stato Sez. IV, Sent., 02-08-2011, n. 4590 Espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Comune di Rodi Garganico ha impugnato la sentenza con la quale il T.A.R. della Puglia, investito di azione risarcitoria proposta dal signor A. P. S. D. per l’illegittima occupazione di due suoli in sua proprietà, corrispondenti alle particelle catastali nn. 371 e 409 del foglio 5, ha sospeso il giudizio in relazione alla prima di esse, mentre per la seconda ha accolto il ricorso e ordinato la restituzione del suolo illegittimamente occupato, condannando altresì il Comune al risarcimento del danno da illegittima occupazione.

A sostegno dell’appello, l’Amministrazione comunale ha dedotto:

1) l’inammissibilità della domanda di restituzione per indebita mutatio libelli (atteso che, come eccepito dinanzi al primo giudice, il ricorso al T.A.R. era stato preceduto da un’azione dinanzi al giudice ordinario – poi dichiaratosi sfornito di giurisdizione – nell’ambito della quale era stato chiesto soltanto il risarcimento);

2) l’inapplicabilità ratione temporis della disciplina di cui all’art. 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327, ed operatività dell’istituto dell’occupazione acquisitiva (essendosi realizzata l’irreversibile trasformazione dell’immobile occupato in epoca ben anteriore all’entrata in vigore del Testo Unico sugli espropri);

3) erroneità dei criteri di determinazione del risarcimento del danno (dovendosi tener conto della destinazione urbanistica esistente al momento dell’ablazione del suolo, e quindi all’inizio della procedura espropriativa);

4) difetto di istruttoria (avendo il primo giudice, quanto alla quantificazione del danno risarcibile, accolto pedissequamente le risultanze di una consulenza tecnica di parte prodotta dal ricorrente).

Si è costituito l’appellato sig. A. P. S. D., il quale ha analiticamente replicato alle doglianze di parte appellante, assumendone l’infondatezza e chiedendone la reiezione.

La medesima sentenza del T.A.R. pugliese è stata poi appellata in via incidentale dall’Acquedotto Pugliese S.p.a., intimato in primo grado in quanto titolare e gestore dell’impianto di depurazione realizzato sui suoli occupati, il quale ha dedotto l’inesistenza dell’art. 43 del d.P.R. nr. 327 del 2001 per intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale (come da sentenza della Corte Costituzionale nr. 293 dell’8 ottobre 2010; l’art. 43 era stato invocato dai primi Giudici quale strumento per risolvere i problemi del passaggio di proprietà del suolo).

Al riguardo, l’appellato ha eccepito l’inammissibilità di detto appello incidentale, non essendo risultato l’Acquedotto Pugliese S.p.a. soccombente nella sentenza qui impugnata.

Alla camera di consiglio del 25 gennaio 2011, fissata per l’esame della domanda incidentale di sospensiva formulata in una con l’appello incidentale, questa è stata differita sull’accordo delle parti, per essere abbinata alla trattazione del merito.

All’udienza del 12 luglio 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1. Il signor A. P. S. D., proprietario di suoli siti nel territorio del Comune di Rodi Garganico, ha subito l’occupazione di due aree corrispondenti alle particelle catastali nn. 371 e 409 del foglio 5, giusta decreti di occupazione d’urgenza emessi rispettivamente nel 1978 e nel 2000, ai quali tuttavia – pur essendo stato di fatto realizzato l’impianto di depurazione cui la procedura era preordinata – non ha mai fatto seguito l’adozione di un formale decreto di esproprio.

Di conseguenza, egli ha proposto due distinte azioni civili dinanzi al giudice ordinario, intese a ottenere il risarcimento dei danni subiti; mentre per la particella nr. 371 la causa risulta tuttora pendente in grado d’appello davanti al medesimo giudice ordinario, quanto alla particella nr. 409 si è pervenuti a declaratoria di difetto di giurisdizione da parte delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Pertanto, il sig. Dattoli ha reiterato l’azione con ricorso al T.A.R. della Puglia, al quale ha chiesto la restituzione dei suoli illegittimamente occupati e la condanna delle Amministrazioni intimate (Comune di Rodi Garganico e A. P. S.p.a.) al risarcimento del danno.

Con la sentenza qui appellata, il T.A.R. di Bari ha da un lato sospeso il giudizio in relazione alla particella nr. 371, in attesa della definizione del parallelo contenzioso pendente dinanzi al giudice ordinario, e nel contempo, per quanto concerne la particella nr. 409, ne ha ordinato la restituzione all’istante e ha condannato il Comune di Rodi Garganico al risarcimento del danno cagionato dall’occupazione sine titulo.

2. Ciò premesso, va innanzi tutto accolta l’eccezione di inammissibilità dell’appello incidentale proposto dall’Acquedotto Pugliese S.p.a., non essendo revocabile in dubbio che esso è sfornito di legittimazione attiva, non essendo risultato soccombente in primo grado.

E, difatti, se è vero che il T.A.R. nel dispositivo della sentenza qui censurata ha omesso di inserire un’espressa declaratoria di inammissibilità del ricorso nei confronti dell’Acquedotto Pugliese S.p.a. con riguardo all’occupazione della particella nr. 409, risulta palese che lo stesso è rimasto estraneo alle statuizioni al riguardo assunte, alla luce, per un verso, del fatto che condannato al risarcimento del danno è stato il solo Comune di Rodi Garganico e, per altro verso, di quanto si legge a pag. 16 dell’epigrafata sentenza: "…Non è inutile rimarcare che nella specifica vicenda, relativa all’occupazione disposta nel 2000, non risulta che l’Acquedotto Pugliese abbia svolto alcun ruolo, né nel procedimento né nella gestione del bene".

Su tale affermazione la parte originaria ricorrente non risulta aver proposto alcuna impugnazione, di modo che sull’estraneità dell’Acquedotto Pugliese S.p.a. all’occupazione della ridetta particella nr. 409 risulta ormai formatosi il giudicato.

3. Venendo all’esame dell’appello principale, lo stesso si appalesa infondato e pertanto meritevole di reiezione, sia pure con le precisazioni che di seguito verranno svolte.

4. Con un primo motivo di gravame, l’Amministrazione reitera l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per non consentita mutatio libelli, sul presupposto che la domanda di restituzione del suolo illegittimamente occupato (poi accolta dal T.A.R.) costituirebbe domanda nuova rispetto all’azione, meramente risarcitoria, in precedenza esercitata dinanzi al giudice ordinario.

Al riguardo, senza necessità di approfondire le problematiche connesse alla translatio judicii in caso di declaratoria di difetto di giurisdizione, l’eccezione risulta manifestamente infondata.

Per meglio comprendere tale conclusione, che è in linea con quanto affermato sul punto dal primo giudice, occorre muovere dal rilievo che l’azione esercitata in prime cure dal sig. Dattoli – sia quella in precedenza esercitata dinanzi al giudice ordinario, sia quella contenuta nel ricorso poi proposto dinanzi al T.A.R. della Puglia – era incontestabilmente intesa alla tutela di un diritto soggettivo illegittimamente leso, nell’ambito della giurisdizione esclusiva attribuita al giudice amministrativo in materia urbanistica ed espropriativa; di conseguenza, la riproposizione dell’azione risarcitoria dopo una prima sentenza dichiarativa del difetto di giurisdizione, ed anche la proposizione ex novo di un’azione restitutoria non esercitata in precedenza, non incontravano preclusioni e decadenze sul piano processuale, essendo unicamente soggette al rispetto del termine di prescrizione del diritto fatto valere.

Sotto tale ultimo profilo, essendo l’occupazione per cui è causa divenuta illecita in data 15 novembre 2005 (data della scadenza del termine di cinque anni di efficacia dell’originario decreto di occupazione d’urgenza), risultano tranquillamente proposte entro il termine quinquennale di prescrizione sia la prima azione dinanzi al giudice ordinario, che risale al 2007, sia quella successiva dinanzi al T.A.R., essendo stato il ricorso notificato nel 2009.

L’opposto avviso di parte appellante si fonda sull’erroneo presupposto – evidente dall’impostazione complessiva delle difese di primo grado e dello stesso odierno appello – che il dies a quo della prescrizione vada individuato non già alla data suindicata, ma a quella di molto anteriore della irreversibile trasformazione dell’immobile conseguente alla ultimazione dell’opera pubblica: tale impostazione non è però condivisibile, presupponendo l’operatività dell’istituto della "accessione invertita" che oggi non ha più alcuno spazio nel nostro ordinamento, di modo che la realizzazione dell’opera pubblica non produce alcun effetto traslativo della proprietà del suolo, la cui occupazione resta permanentemente illecita, con la conseguenza che il relativo termine prescrizionale riprende a decorrere de die in diem per tutto il periodo di illegittima occupazione (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 2011, nr. 676).

Ne discende che va considerata ammissibile l’azione di restitutio in integrum proposta in primo grado, come pure la consequenziale statuizione con la quale il T.A.R. ha ordinato la retrocessione del suolo illegittimamente occupato.

Con riguardo a quest’ultimo aspetto, le comprensibili difficoltà che osterebbero allo smantellamento del depuratore realizzato in loco, come rappresentate dall’Amministrazione appellante nella propria memoria conclusiva, non possono mutare il giudizio espresso dal primo giudice in ordine alla fondatezza e all’accoglibilità dell’azione restitutoria: infatti, è jus receptum che in caso di occupazione usurpativa, come tale implicante l’obbligo di restituzione del bene al privato, l’amministrazione non può validamente opporre né l’eccessiva onerosità della rimozione delle opere nel frattempo realizzate, né richiamare il principio di cui al comma 2 dell’art. 2933 cod. civ.; invero, da un lato, l’eccessiva onerosità di cui all’art. 2058 cod. civ., non è opponibile nelle azioni intese a far valere un diritto reale, il cui carattere assoluto non lascia margini a modalità di reintegrazione diverse da quella in forma specifica (salva diversa volontà del titolare), dall’altro, la deroga prevista al comma 2 dell’art. 2933 cod. civ., non può trovare applicazione qualora la restituzione inciderebbe comunque su interessi circoscritti alla realtà locale (infatti, il limite di cui all’art. 2933 comma 2, ha carattere eccezionale e trova applicazione nei riguardi della demolizione delle fonti di produzione e di distribuzione della ricchezza: cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 maggio 2005, nr. 2095; Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 2002, nr. 450).

Di conseguenza, nella specie l’unica modalità con la quale l’Amministrazione potrà far valere le esigenze rappresentate consisterà nell’addivenire, in sede esecutiva, a un accordo con l’espropriato in virtù del quale questi consenta a cedere l’immobile previo pagamento del suo controvalore (cfr. Cass. civ., sez. I, 12 dicembre 2001, nr. 15710).

5. Del pari infondato è il secondo mezzo, col quale il Comune assume l’inapplicabilità delle disposizioni del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327, trattandosi nella specie di occupazione risalente a epoca ampiamente anteriore alla sua entrata in vigore.

Sul punto è sufficiente opporre il consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale la Sezione non ravvisa motivo per discostarsi, secondo cui la procedura di acquisizione in sanatoria di un’area occupata sine titulo, per come prevista dall’art. 43 del d.P.R. nr. 327 del 2001, trovava una generale applicazione anche con riguardo alle occupazioni attuate prima dell’entrata in vigore della norma, come testualmente ricavabile anche dal successivo art. 57 dello stesso decreto il quale, richiamando i "procedimenti in corso", ha introdotto norme transitorie unicamente per individuare l’ambito di applicazione della riforma in relazione alle diverse fasi fisiologiche del procedimento sostanziale, mentre l’atto di acquisizione ex art. 43 era emesso ab externo del procedimento espropriativo e non rientrava, pertanto, nell’ambito di operatività della normativa (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 marzo 2010, nr. 1762).

È appena il caso di aggiungere che siffatte conclusioni non mutano per la sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità del menzionato art. 43, dovendosi mantenere fermo il principio dell’estraneità della fase risarcitoria al procedimento espropriativo propriamente detto e cambiando unicamente lo strumento tecnicogiuridico attraverso il quale si realizza l’effetto traslativo della proprietà in favore dell’Amministrazione (nella specie, come meglio appresso si dirà, può trovare applicazione il meccanismo disciplinato dal nuovo art. 42 bis del t.u., introdotto dal decreto legge 6 luglio 2011, nr. 98).

Ciò che certamente non è condivisibile, quand’anche si accedesse alla tesi dell’inapplicabilità del d.P.R. nr. 327 del 2001 (originaria o sopravvenuta che sia), è l’impostazione di parte appellante secondo cui in detta ipotesi dovrebbero tornare a trovare applicazione i principi a suo tempo enunciati dalla giurisprudenza in materia di "accessione invertita", istituto del quale invece in questa sede va ribadita l’incompatibilità con il sistema come più volte affermato dalla Corte europea dei diritti umani (dovendo trovare piena condivisione, sotto tale profilo, gli ampi e argomentati rilievi dell’odierno appellato).

6. Quanto al terzo e al quarto dei motivi di appello, con i quali l’Amministrazione comunale contesta la quantificazione del danno risarcibile come operata dal primo giudice, anche questi vanno disattesi (sia pure con le precisazioni di seguito sviluppate).

Innanzi tutto, dalla lettura della sentenza impugnata risulta evidente che il T.A.R. non ha proceduto a una quantificazione specifica del danno risarcibile, limitandosi a dettare i criteri per la sua determinazione ai sensi dell’art. 35, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, nr. 80 (e quindi, oggi, dell’art. 34, comma 4, cod. proc. amm.).

In secondo luogo, è altrettanto evidente che il primo giudice non si è in alcun modo pronunciato sulla destinazione urbanistica in ragione della quale individuare il valore venale dell’immobile, sulla cui base calcolare il danno risarcibile, limitandosi a enunciare il principio per cui tale valore non va fissato con riferimento al momento dell’inizio dell’occupazione, né a quello di irreversibile trasformazione del bene, bensì avendo riguardo alla destinazione del suolo per ciascun anno di protrazione dell’occupazione sine titulo.

Tale principio va senz’altro confermato in questa sede, l’opposto avviso di parte appellante essendo fondato – ancora una volta – sull’erroneo convincimento che il momento di ultimazione dell’opera pubblica possa avere una qualche rilevanza ai fini della consumazione dell’illecito (e, quindi, della determinazione del danno risarcibile).

Piuttosto, i criteri enunciati dal T.A.R. in questa sede possono essere integrati alla luce di quanto prescritto dal già citato art. 42 bis del d.P.R. nr. 327 del 2001, medio tempore sopravvenuto: e pertanto, ferma restando la necessità di partire dal valore venale del suolo per ciascun anno a partire dall’inizio dell’illegittima occupazione (15 novembre 2005), l’interesse corrispondente al danno da liquidare andrà liquidato nella misura del 5 % annuo sui predetti importi, come prescritto dal comma 3 della menzionata norma, non emergendo in atti la prova di un danno diverso e ulteriore.

Ancora si può aggiungere che, essendo stato nel presente giudizio chiesto il solo risarcimento da illecita occupazione, ed essendo quest’ultima ancora in corso, la determinazione del danno dovrà arrestarsi alla data di erogazione della somma determinata in base ai criteri fissati; tuttavia, dal momento che l’ulteriore protrarsi dell’occupazione sine titulo anche dopo tale data ben potrebbe indurre la parte privata a intentare nuove azioni risarcitorie, in questa sede non ci si può esimere dal rappresentare l’opportunità che l’Amministrazione provveda quanto prima a far cessare la permanenza dell’illecito (o dando esecuzione all’ordine di restituzione del suolo, o con le modalità sopra indicate al punto 4, ovvero attraverso il meccanismo oggi previsto dal citato art. 42 bis del d.P.R. nr. 327 del 2001).

7. In conclusione, per le ragioni e con le precisazioni sopra esposte, s’impone una decisione di reiezione dell’appello e di conferma della sentenza impugnata.

8. In considerazione della peculiarità della vicenda esaminata e dei profili problematici connessi al venir meno di una delle norme applicate dal primo giudice, sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:

– dichiara inammissibile l’appello incidentale proposto dall’Acquedotto Pugliese S.p.a.;

– respinge l’appello del Comune di Rodi Garganico;

– per l’effetto, conferma la sentenza impugnata, nei sensi e con le precisazioni di cui in motivazione.

Compensa tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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