Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 10-06-2011) 25-07-2011, n. 29818 Relazione tra la sentenza e l’accusa contestata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.M. è imputato per avere reso, in concorso con terza persona, false dichiarazioni sulle proprie disponibilità economiche nella dichiarazione resa ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio: il capo d’accusa gli addebitò la violazione dell’art. 485 c.p. Egli venne condannato a tale titolo dal Tribunale di Paola il 16.9.2008. La Corte d’Appello di Catanzaro, in data 21.10.2010, nel confermare la condanna, rilevò che sarebbe stato possibile riscontrare anche la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95.

Ricorre la difesa del P. ed eccepisce la violazione dell’art. 522 c.p.p., per violazione dell’art. 521 c.p.p., poichè l’addebito mosso al P. non risulta ancorato all’effettiva contestazione mossagli. Dapprima egli – così sostiene – si ritenne imputato ai sensi dell’art. 485 c.p. e, poi invece, condannato per falsità rilevante ai sensi del D.P.R. n. 102 del 2002, art. 95 in tal modo risultando leso il diritto alla certezza dell’accusa, attesa l’equivocità del capo di imputazione, e la possibilità di adeguata difesa, trattandosi di ipotesi incriminatrici, assai diverse tra loro, in un contesto normativo fitto di precetti tra loro assai prossimi, quale il capitolo delle falsità documentali.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e non viene accolto.

Il caso in esame non pertiene, infatti, alla rilevata diversità del fatto accertato rispetto a quello contestato, bensì ad una difforme qualificazione giuridica assegnata dal giudice del medesimo fatto storico.

Orbene, mentre l’immutazione del fatto è oggetto di doverosa contestazione nei confronti dell’imputato, e l’omesso apprestamento dell’incombente è sanzionato a pena di nullità (in forza dell’art. 521 c.p.p., comma 2, in relazione all’art. 522 c.p.p.), l’erronea qualificazione giuridica del fatto deve, invece, sempre essere fatta oggetto di correzione da parte del giudice, essendo egli tenuto a dare al fatto contestato la esatta definizione giuridica (in virtù dell’art. 521 c.p.p., comma 1, per il giudizio di primo grado, e dell’art. 597 c.p.p. per l’appello.

I giudici della Corte catanzarese hanno puntualmente adempiuto all’onere di esatta qualificazione, segnalando la corretta indicazione del D.P.R. n. 102 del 2002, art. 95 (in linea con Cass. SS.UU., 27 novembre 2008, Infanti, CED Cass. 242152), ma hanno – del pari irreprensibilmente – opinato che la maggior severità sanzionatoria di quest’ultima disposizione, rispetto a quella contestata, non consentiva la condanna al più congruente precetto normativo. Essi, pertanto, non diedero vita neppure al possibile sospetto di patologia processuale, quale quella affacciata dal ricorrente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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