Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-06-2011) 25-07-2011, n. 29626 Costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. D.S.A. proponeva ricorso per riesame avverso il decreto di sequestro preventivo emesso il 20-10-2010 dal G.I.P. del Tribunale di Vallo della Lucania per i seguenti reati: a) D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c); 2) D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181; 3) art. 734 c.p.; 4) L. n. 394 del 1991, art. 30; 5) art. 55 – 1161 Cod. Nav. (accertato a (OMISSIS)).

In particolare il difensore del richiedente, dopo aver depositato memoria difensiva e una consulenza tecnica di parte con allegati che avrebbero dimostrato che i manufatti erano stati costruiti da molto tempo con conseguente prescrizione dei reati edilizi e paesaggistici contestati, chiedeva l’annullamento del provvedimento impugnato con restituzione al richiedente dei manufatti sequestratigli.

L’adito tribunale di Salerno, con ordinanza del 15 novembre – 2 dicembre 2010, rigettava la richiesta di riesame confermando il provvedimento impugnato.

Osservava il tribunale che il decreto di sequestro preventivo impugnato aveva avuto ad oggetto cinque manufatti (di cui tre destinati a case per vacanze e due a locali servizi) ed è stato emesso per il reato di lottizzazione abusiva di un’ampia zona del comune di Centola, frazione Palinuro (occupata inizialmente dal Club Mediterranee dal 1954 fino al 1980) sottoposta a vari vincoli che, secondo la prospettazione accusatoria, dal 1980 al 2010 era stata fatta oggetto di interventi edificatoli non solo privi dei previsti atti di assenso (permessi di costruire, autorizzazione paesaggistica, autorizzazione dell’Ente parco e autorizzazione della Capitaneria di porto per gli interventi edilizi realizzati in area privata posta a meno di trenta metri dal confine con il demanio marittimo), ma che ne avrebbero anche trasformato la destinazione urbanistica.

Sempre secondo la prospettazione accusatoria i 40 indagati, proprietari (o aventi causa dagli stessi) dei terreni loro restituiti nel 1980 dal Club Med, avevano nell’arco di 30 anni ciascuno per proprio conto realizzato nuove costruzioni e ristrutturazioni dei manufatti esistenti sempre senza permesso di costruire e senza l’autorizzazione paesaggistica così commettendo: a) il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c, che punisce la realizzazione di nuove costruzioni o la realizzazione di ristrutturazioni edilizie senza permesso di costruire in zona vincolata paesaggisticamente; b) il reato di cui all’art. 181 D.Lgs. n. 42 del 2004 che punisce chi esegue gli interventi edilizi di cui sopra senza munirsi della autorizzazione paesaggistica.

Osservava ancora il tribunale che, ancorchè – diversamente da quanto ritenuto dal g.i.p. – la permanenza del reato di lottizzazione abusiva si interrompe con la cessazione dell’attività edificatoria – comunque erano integrati sia l’ordinario reato edilizio di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b), giacchè le opere realizzate andavano assentite con permesso di costruire o con "superdia" di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3, sia l’ordinario reato paesaggistico di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 per l’assenza della autorizzazione paesaggistica.

In ordine al periculum in mora osservava il tribunale che dagli atti emergeva che due manufatti non sono ancora completati (e quindi andava inibito al D.S. di poterli finire) e che comunque andava impedito al richiedente di poter usare i manufatti abusivi ultimati per l’incidenza sull’assetto urbanistico del territorio.

2. Avverso questa pronuncia l’indagato propone ricorso per cassazione con due motivi.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in due motivi.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 324 e 309 c.p.p.. Deduce in particolare che l’ordinanza del tribunale del riesame è stata depositata oltre il termine di 10 giorni dalla ricezione degli atti.

Con un secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 324 e 125 nonchè dell’art. 649 c.p.p.. Deduce che egli ricorrente era stato sottoposto a procedimento penale dal pretore di Vallo della Lucania in data 18 novembre 1995 e dallo stesso era stato condannato per abusi edilizi con sentenza che poi la corte d’appello di Salerno aveva riformato annullandola. Sostiene pertanto che operi il divieto dell’art. 649 c.p.p. che non consente un secondo procedimento penale per lo stesso fatto. Analoga argomentazione svolge anche con riferimento agli altri manufatti.

2. Il ricorso è infondato.

2.1. Tale è il primo motivo di ricorso atteso che l’applicazione dell’art. 309, comma 9, che viene richiamato dall’art. 324 c.p.p. in tema di sequestro, fa riferimento alla data di adozione della decisione e non già a quella di deposito della motivazione l’ordinanza. Nella specie l’ordinanza del tribunale è stata adottata il 15 novembre 2010 (v. dispositivo depositato in pari data che integra il verbale da cui risulta che il collegio riservava la decisione, che veniva adottata lo stesso giorno all’esito della camera di consiglio) e quindi nel termine di 10 giorni dalla trasmissione degli atti, avvenuta in data 4 novembre 2010, termine che è stato rispettato perchè il giorno 14 novembre 2010 era domenica sicchè il termine veniva in scadenza proprio il 15 novembre, giorno in cui il provvedimento è stato adottato. Non rileva invece a tal fine il giorno (nella specie, 2 dicembre 2010) in cui è stato depositato il provvedimento recante la motivazione della decisione adottata.

2.2. Inammissibile è poi il secondo motivo.

Il ricorrente, in riferimento ai manufatti abusivamente realizzati, secondo la prospettazione accusatoria, deduce la violazione del principio del ne bis in idem previsto dall’art. 649 c.p.p.. Trattasi di censura nuova che non risulta dal provvedimento impugnato da cui invece emerge che la difesa dell’indagato si fondava sull’eccepita prescrizione del reato. Nel motivo di ricorso il ricorrente neppure allega di aver dedotto questa censura in ordine alla quale nulla dice il tribunale.

La regola della devoluzione, propria del giudizio di gravame nel processo di cognizione ed applicabile anche all’appello nelle misure cautelari (Cass., sez. 1, 26 febbraio 1998 – 4 aprile 1998, n. 1219), è operante nel giudizio di legittimità promosso, come nella specie, con ricorso avverso l’ordinanza emessa dal tribunale in sede di riesame della misura cautelare reale sicchè – in disparte la fattispecie di nullità assoluta rilevabile d’ufficio – è precluso l’esame di questioni che, per non essere state dibattute in quella sede e per non aver costituito oggetto di tale decisione, sono "nuove".

E’ vero che il riesame attribuisce alle parti ed al tribunale un più ampio potere rispetto all’appello, non essendo la decisione vincolata ai motivi di gravame, sicchè il tribunale può annullare il provvedimento impugnato o riformarlo in senso favorevole all’imputato anche per motivi diversi da quelli enunciati ovvero può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso. Mentre per l’appello vigono le regole, in quanto applicabili, proprie dell’istituto, ivi compresa la previsione dell’effetto devolutivo proprio di tale mezzo d’impugnazione, secondo cui la cognizione del tribunale rimane limitata ai punti della decisione ai quali i motivi si riferiscono. Però, ove in sede di riesame il ricorrente non abbia posto una questione non rilevabile d’ufficio, la quale quindi non sia stata esaminata dal tribunale per il riesame, non può successivamente dedurla come di ricorso per cassazione: la sua novità ne inficia la ammissibilità. 3. Nel complesso pertanto il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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