Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-06-2011) 25-07-2011, n. 29609 Diritti d’autore

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Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 12.2.2008 del tribunale di Napoli M.J., originario del (OMISSIS) era stato condannato per il reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. C) e comma 2, lett. A) per aver detenuto 76 C.D. Play station e 213 DVD e 250 C.D. privi del marchio SIAE e per il reato di resistenza aggravata dall’art. 61 c.p., n. 2, unificati tali reati dal vincolo della continuazione, con le attenuanti generiche, alla pena – sospesa -di mesi 9 di reclusione ed Euro 2.500 di multa.

2. Avverso la predetta sentenza di condanna ha proposto appello il difensore del M. richiedendo l’assoluzione dello stesso, anche ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, ritenuta l’irrilevanza penale della mera detenzione della merce in oggetto di imputazione, rilevando la sussistenza dello stato di necessità desumibile, come fatto notorio, dalla condizione di assoluta indigenza per mancanza di lavoro, con richiesta subordinata di riduzione della pena con esclusione dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 2 e giudizio di prevalenza delle concesse attenuanti generiche.

3. La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 9 febbraio 2010, rigettava l’appello confermando la pronuncia di primo grado.

Osservava la Corte che risultavano accertati i reati in questione sulla base degli elementi probatori indicati dal Giudice di primo grado anche con riferimento al verbale d’arresto ed agli atti allegati, avendo l’imputato acconsentito all’utilizzazione probatoria di tali atti per aver scelto il giudizio con rito abbreviato, non condizionato da alcuna richiesta di integrazione istruttoria.

L’imputato, in sede di convalida dell’arresto, non aveva fornito alcuna giustificazione della propria condotta per essersi avvalso della facoltà di non rispondere.

I fatti risultavano pertanto – osservava ancora la Corte d’appello – quelli descritti nel verbale di arresto, e nella conseguente relazione orale resa dall’appuntato D.F.V. dal quale si desumeva che l’imputato, sorpreso "intento a vendere supporti magnetici", appena accortosi della presenza degli operanti, avvicinatisi "in abiti civili" ma "qualificatisi" come carabinieri, aveva tentato la fuga e una volta bloccato, aveva tentato di "divincolarsi", "con calci", dando anche un "cazzotto". Ne conseguiva la prova della responsabilità dell’imputato, non ritenendosi con figurabile uno stato di necessità desumibile per presunzione congetturale. La violenza esercitata sui verbalizzanti era stata posta in essere per sfuggire al controllo ed assicurarsi l’impunità per il reato di detenzione per la vendita della merce sequestratagli.

In ogni caso -proseguiva la Corte d’appello – tale aggravante, pur consistente, indicativa di una particolare pericolosità dell’imputato, sì da non potersi ritenere "soccombente" è stata neutralizzata per la incidenza delle attenuanti generiche concesse per l’incensuratezza e per la "complessiva modestia del fatto". 4. Avverso questa pronuncia l’imputato propone ricorso per cassazione con due motivi.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in due motivi.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione della L. n. 633 del 1941, art. 171 ter. Si duole il ricorrente che la corte d’appello trascura le recenti pronunce in materia di opponibilità del contrassegno siae. La giurisprudenza della corte di giustizia ha affermato che l’obbligo di apporre sui supporti il contrassegno siae costituisce una regola tecnica che ove non notificata alla commissione è in opponibile al privato. A seguito di tale decisione della corte di giustizia il giudice nazionale è tenuto disapplicare la normativa italiana fino al momento in cui sarà perfezionata la procedura di notifica della regola tecnica che impone l’obbligo di apporre sui supporti il contrassegno siae in vista della loro commercializzazione. La conseguenza è che in tutte le fattispecie delittuose che prevedono come elemento tipico essenziale l’assenza del contrassegno siae la mancanza dello stesso da sola non può avere valore di prova della illecita riproduzione o duplicazione. Ossia il carattere abusivo della riproduzione dei supporti non puoi evincersi dall’assenza sugli stessi del contrassegno siae e non può essere considerata neppure un semplice indizio della illecita riproduzione o duplicazione.

Con il secondo motivo ricorrente censurando la violazione della L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 2, lett. a), deduce che non è sufficiente la mera detenzione sia pure a fini di commercio di più di 50 copie dei supporti contraffatti ma è necessario che vi sia un effettivo atto di vendita.

2. Il ricorso, che riguarda soltanto il reato di cui all’art. 171 ter (capo 1 della rubrica) e non anche quello di resistenza a pubblico ufficiale (capo 2 della rubrica), è in tale parte fondato.

Infatti questa corte (Cass., sez. 3, 28 maggio 2008 – 4 luglio 2008, n. 27109) ha affermato che, relativamente ai reati aventi ad oggetto supporti illecitamente duplicati o riprodotti, la sola mancanza del contrassegno Siae, che non sia stato comunicato dallo Stato Italiano alla Commissione Europea in adempimento della normativa comunitaria relativa alle "regole tecniche", nel senso affermato dalla Corte di giustizia CE, non può valere neppure come mero indizio della illecita duplicazione o riproduzione, essendo l’inopponibilità ai privati dell’obbligo di apposizione del predetto contrassegno sino ad avvenuta comunicazione tale da privare il contrassegno del valore, ordinariamente attribuibile, di garanzia della originalità dell’opera. Cfr. anche Cass., sez. 3, 19 novembre 2009 – 13 gennaio 2010, n. 1073), che ha ribadito che l’inopponibilità nei confronti dei privati dell’obbligo di apposizione del contrassegno Siae, quale effetto della mancata comunicazione alla Commissione dell’Unione Europea di tale "regola tecnica" in adempimento della direttiva Europea 83/189/CE, comporta l’assoluzione del soggetto agente con la formula "il fatto non sussiste", oltre che dalle condotte illecite di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. d), riguardanti i supporti audio e video privi di contrassegno Siae, anche dalle condotte di distribuzione, vendita e detenzione a scopo commerciale e imprenditoriale dei programmi per elaboratore contenuti in supporti non contrassegnati di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 bis, comma 1. 3. Pertanto va annullata la sentenza impugnata quanto all’imputazione di cui al capo 1) perchè il fatto non sussiste con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Napoli limitatamente alla determinazione della pena per il reato residuo.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto all’imputazione di cui al capo 1) perchè il fatto non sussiste e con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Napoli limitatamente alla determinazione della pena per il reato residuo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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