Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-06-2011) 25-07-2011, n. 29607

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. B.M. era imputato: a)del reato di cui all’art. 61 c.s., n. 11 bis, D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 10 e 10 bis per avere senza l’autorizzazione di cui all’art. 17 e fuori dalle ipotesi previste dall’art. 75 stessa legge, venduto, offerto, messo in vendita, ceduto, distribuito, commercializzato, trasportato, procurato ad altri, passato e comunque illecitamente detenuto a fine di farne commercio sostanze stupefacenti di tipo cocaina, nonchè un ovulo che ingurgitava al momento dell’arresto, di cui alla tabella 1 dell’art. 14, per una quantità di gr. 2,2 e che per le modalità di presentazione, avuto riguardo al peso loro complessivo (gr. 2,2), al confezionamento frazionato (nr. 2 involucri a forma di quadratino in cellophane di colore bianco e nr. 1 involucro a forma sferica in cellophane di colore bianco contenenti complessivamente gr. 1,7 di cocaina sequestrati al momento dell’arresto ed un ovulo contenente gr. 0,5 di cocaina defecato il 2/7/09) ovvero per altre circostanze dell’azione (nr. 3 involucri sputati in terra nel tentativo di deglutirli, nonchè visto all’atto del controllo dei Militari ingerire un ovulo defecato successivamente del peso di gr. 0,5 contenente cocaina) appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale. Con l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 bis, in quanto il fatto è stato commesso da soggetto che si trova il legalmente sul territorio nazionale (in (OMISSIS)).

Era altresì imputato: b)del reato di cui all’art. 61 c.p., nr. 11 bis, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, comma 3 perchè a richiesta degli Ufficiali di Pubblica Sicurezza, non esibiva, senza giustificato motivo un documento di identificazione. Con l’aggravante di avere il colpevole commesso il fatto mentre si trovava illegalmente sul territorio dello Stato (in (OMISSIS)).

Il tribunale di Torino con sentenza in data 17/07/2009 dichiarava B.M. responsabile dei reati a lui ascritti, unificati dal vincolo della continuazione, e, concessa l’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 prevalente sull’aggravante, lo condannava alla pena di anni 2 e mesi 2 di reclusione ed Euro 10.000,00 di multa e inoltre al pagamento delle spese processuali, ordinava la confisca e la distruzione dello stupefacente in sequestro e la confisca del denaro in sequestro.

2. Avverso questa pronuncia l’imputato proponeva appello. Chiedeva l’assoluzione dal reato sub b)perchè il fatto non sussiste, assumendo che si era trovato nella oggettiva impossibilità di mostrare a richiesta degli operanti un documento di identità.

Lamentava poi la mancata concessione delle attenuanti generiche, per meglio adeguare la pena al fatto. Lamentava altresì la eccessività della pena, trattandosi di mero spaccio "da strada".

La Corte d’appello di Torino, con sentenza del 20 aprile 2010, in parziale riforma dell’appellata sentenza, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, dichiarate equivalenti alla contestata aggravante, rideterminava la pena inflitta, che, tenuto conto della continuazione tra i due reati, fissava in anni 1 e mesi 4 di reclusione e Euro 6.000 di multa. Confermava nel resto la pronuncia impugnata.

3. Avverso questa pronuncia l’imputato propone ricorso per cassazione con due motivi.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in due motivi.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia difetto di motivazione in ordine alla mancata assoluzione dal reato di cui al capo b)perchè il fatto non sussiste. Sostiene che la condotta contestata era inesigibile non potendo chiedersi l’esibizione di qualcosa che non si possiede; quindi l’incriminazione deve ritenersi diretta esclusivamente nei confronti dei soggetti stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio italiano, laddove l’imputato era invece un immigrato irregolare.

Con il secondo motivo ricorrente censura la mancanza di motivazione per quanto concerne la decisione di prendere come pena base una pena superiore al minimo senza in particolare tener conto del comportamento processuale dell’imputato che aveva reso piena confessione del fatto addebitatogli.

2. Il ricorso è infondato.

2.1. Tale è il primo motivo avendo questa Corte (Cass., sez. un., 29 ottobre 2003 – 27 novembre 2003, n. 45801)già affermato – e qui ribadisce – che integra il reato previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 6, comma 3, (testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) la mancata esibizione, senza giustificato motivo, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, del passaporto o di altro documento di identificazione, da parte del cittadino straniero che si trovi, regolarmente o non, nel territorio dello Stato, a nulla rilevando che egli non ne sia in possesso per non essersene preventivamente munito; mentre non integra nè questa, nè altra ipotesi di reato, l’omessa esibizione, da parte dello straniero immigrato clandestinamente in Italia, del permesso o della carta di soggiorno ovvero del documento di identificazione per stranieri di cui all’art. 6, comma 9, del citato D.Lgs., in quanto il possesso di uno di questi ultimi documenti è inconciliabile con la condizione stessa di "straniero clandestino" e, conseguentemente, ne è inesigibile l’esibizione.

Nella specie è stata contestata all’imputato la mancata esibizione di un documento di identificazione e non già di un documento che giustifichi la sua legittima permanenza nel territorio dello Stato e quindi non si ricade in quell’ipotesi di condotta inesigibile che è esclusa dall’area di punibilità quale prevista dalla citata norma incriminatrice come interpretata dalle Sezioni Unite di questa Corte nella menzionata pronuncia.

2.2. Inammissibile è poi la censura che attiene all’entità della pena.

Infatti la graduazione della pena, anche rispetto agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p. (Cass., sez. 6, 5 dicembre 1991, Lazzari); ne consegue che è inammissibile la censura che nel giudizio di cassazione miri ad una nuova valutazione della congruità della pena.

Mette conto infine notare che all’imputato è stata contestata l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11-bis, che è stata sì dichiarata costituzionalmente illegittima (C. cost. n. 249 del 2010), ma nella specie era già stata neutralizzata dalla ritenuta prevalenza dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 sicchè non sussiste l’interesse dell’imputato all’eliminazione dell’aggravante stessa, eliminazione che in effetti neppure è stata chiesta nel ricorso.

3. Pertanto il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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