T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 02-08-2011, n. 6917 Agricoltura e alimenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Espone il Consorzio ricorrente come al medesimo sia stato conferito, con decreto interministeriale del 23 marzo 1957, l’incarico di vigilare sulla produzione e sul commercio del formaggio per il quale è consentito l’uso della denominazione di origine "G.P.".

Con decreto del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali del 14 dicembre 1981 veniva imposto ai Consorzi (fra i quali l’odierno ricorrente) di predisporre un progetto di piano produttivo con cadenza annuale, con riferimento alla prevedibile situazione produttiva di mercato e con l’indicazione degli obiettivi di produzione.

Nello stesso decreto veniva indicata la possibilità che, al ricorrere di particolari condizioni di mercato, il Consorzio potesse fissare un limite massimo di produzione del formaggio a denominazione di origine tipica.

Nel sottolineare come la registrazione del prodotto di che trattasi come denominazione di origine protetta sia stata disposta con Regolamento della Commissione Europea 12 giugno 1996 n. 1107/96, evidenzia parte ricorrente come, con comunicazione del 9 novembre 1995, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato abbia aperto un procedimento per presunta infrazione all’art. 2, comma 2, della legge 287/1990 (intese restrittive della concorrenza).

L’anzidetto procedimento si concludeva con l’individuazione di condotte asseritamente restrittive della concorrenza, rappresentate dalla delibere consortili relative alla programmazione 19911995, dai regolamenti di autodisciplina adottati nel 1994 e nel 1995 e dagli atti costituenti attuazione degli stessi; riscontrandosi tale valenza anche nel Protocollo d’intesa stipulato dal Consorzio ricorrente e dal Consorzio del ParmigianoReggiano del 24 marzo 1994.

Queste le doglianze articolate avverso l’impugnata determinazione dell’Autorità:

1) Violazione (per errata applicazione) dell’art. 2 della legge 287/1990. Violazione (per mancata applicazione) degli artt. 7 e 8 della legge 10 aprile 1954 n. 125, del decreto interministeriale 23 marzo 1957 e del D.M. 14 dicembre 1981. Carenza di motivazione, ovvero motivazione incongrua, illogica ed erronea. Eccesso di potere per contraddittorietà.

Fermo il quadro primario ( legge 125 del 1994) ed esecutivo ( D.P.R. 5 agosto 1955 n. 667) di riferimento, espone il Consorzio ricorrente che sullo svolgimento delle relative attribuzioni è prevista la vigilanza del Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali: il quale, come precedentemente indicato, ha investito la parte della predisposizione di piani produttivo, con accessiva individuazione del limite massimo di produzione del formaggio.

Non troverebbe quindi applicazione la legge 287/1990, vertendosi in ambito di esercizio di compiti pubblicistici da parte di un soggetto privato; in ogni caso, sottolineandosi il carattere doveroso dell’emanazione delle determinazioni oggetto di attenzione da parte dell’Autorità, alla luce delle direttive impartite dalla vigilante Autorità ministeriale.

2) Violazione dell’art. 2 del Regolamento 26/62 del Consiglio CEE in data 4 aprile 1962, nonché dell’art. 1 della legge 10 ottobre 1990 n. 287. Eccesso di potere per carenza, incongruità ed assertorietà della motivazione.

La norma regolamentare europea indicata in epigrafe esclude dal relativo ambito di applicazione gli accordi, le decisioni e le pratiche di associazioni di imprenditori agricoli, a meno che essi non determino una compromissione della concorrenza.

Nel confutare le argomentazioni con le quali AGCM ha escluso l’operatività della suindicata normativa comunitaria, parte ricorrente rileva, ulteriormente, che la stessa Autorità abbia errato nel ritenere esclusivamente applicabile la disciplina nazionale.

3) Violazione degli artt. 2 e 31 della legge 287/1990, in relazione all’art. 4 della legge 24 novembre 1981 n. 689. Violazione, sotto altro profilo, dell’art. 7 della legge 125 del 1994 e del D.M. 14 dicembre 1981. Eccesso di potere per contraddittorietà e per travisamento dei fatti. Motivazione insufficiente ed incongrua.

Rileva poi il Consorzio ricorrente che i piani produttivi concernenti gli anni 1991 e 1992 sono stati formalmente autorizzati dal Ministero vigilante (operando, per essi, la scriminante di cui all’art. 4, comma 1, della legge 689/1981); mentre, per quanto concerne i piani relativi agli anni 1993, 1994 e 1995, la relativa predisposizione troverebbe idoneo fondamento giustificativo nell’epigrafato D.M. 14 dicembre 1981.

Sulla base di tale decreto, inoltre, si dimostrerebbe illegittima la valutazione di anticoncorrenzialità dall’Autorità formulata quanto ai regolamenti di autodisciplina ed al Protocollo d’intesa con il Consorzio ParmigianoReggiano.

4) Violazione dell’art. 4 e dell’art. 2 – in relazione all’art. 4 – della legge 287/1990. Violazione dell’art. 5 della legge 18 marzo 1968 n. 249. Eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà e travisamento.

Nell’evidenziare di aver chiesto – quantunque subordinatamente – l’autorizzazione in deroga ex art. 4 della legge 287/1990 per il periodo 19911995, sottolinea il ricorrente Consorzio che il provvedimento impugnato (nella parte in cui ha escluso la possibilità di pronunziarsi sulle istanze di autorizzazione in deroga relativamente a periodi pregressi) sia illegittimo, in quanto:

– se il provvedimento autorizzatorio, in linea di principio, può sortire effetti retroattivi;

– in ogni caso, la consentita autorizzabilità in deroga a fronte di condotte future, avrebbe potuto consentire una diversa valutazione in ordine alla illiceità (anche) di attività pregresse.

5) In estremo subordine. Violazione dell’art. 2 della legge 287/1990 in relazione all’art. 3 della legge 689/1981. Eccesso di potere per difetto di motivazione e contraddittorietà.

Rileva da ultimo parte ricorrente come l’inapplicabilità della disciplina sanzionatoria dettata dalla legge 689/1981 conseguirebbe all’assenza dell’elemento soggettivo (dolo o colpa) in capo al Consorzio G.P..

Conclude parte ricorrente insistendo per l’accoglimento del gravame, con conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.

L’Autorità intimata, costituitasi in giudizio, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte dalla parte ricorrente, conclusivamente insistendo per la reiezione del gravame.

Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 13 luglio 2011.

Motivi della decisione

1. Con il mezzo di tutela all’esame, il Consorzio per la tutela del formaggio G.P. ha censurato la legittimità della determinazione in data 24 ottobre 1996, con la quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha ritenuto che:

– "le delibere consortili del Consorzio per la Tutela del Formaggio G.P. relative alla programmazione 19911995, i regolamenti di autodisciplina adottati nel 1994 e 1995, e gli atti che ne costituiscono l’attuazione, costituiscono intese restrittive della concorrenza, in quanto attività consistenti nell’impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico ecc. (art. 2, comma 2, lettera b), della legge n. 287/90";

– "il Protocollo d’intesa stipulato dai due consorzi il 24 marzo 1994 costituisce un’intesa restrittiva della concorrenza, in quanto attività consistente nell’impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico ai sensi dell’art. 2, comma 2, lettera b), della legge n. 287/90";

– "è pregiudizialmente preclusa all’Autorità la possibilità di pronunciarsi sulle istanze di autorizzazione in deroga presentate dalle parti ai sensi dell’art. 4 della legge n. 287/90, per quanto riguarda i comportamenti relativi alle annate casearie 19911995";

– "non sussistono allo stato i presupposti per una valutazione delle istanze di autorizzazione in deroga avanzate dalle parti con riferimento alle modifiche che esse hanno intenzione di apportare ai piani produttivi";

– "entrambi i consorzi presentino entro 90 giorni dalla notifica del presente provvedimento una relazione illustrativa delle modalità con cui sono state poste in essere le modifiche ai criteri di definizione dei futuri piani produttivi".

1.1 Il procedimento conclusosi con l’adozione della gravata determinazione era stato avviato da AGCM in data 9 novembre 1995, sulla base di una richiesta alla stessa rivolta dal Ministero dell’Industria, Commercio ed Artigianato, nei confronti del Consorzio del Formaggio "ParmigianoReggiano" e del Consorzio per la Tutela del Formaggio G.P., al fine di verificare se i regolamenti di autodisciplina, i piani di programmazione della produzione tutelata posti in essere dagli stessi dal 1990 al 1995, nonché il protocollo d’intesa stipulato congiuntamente nel marzo 1994, potessero dare luogo a intese restrittive della concorrenza ai sensi dell’art. 2, comma 2, della legge n. 287/1990.

La ricognizione del quadro normativo di riferimento consente di apprezzare che la produzione dei formaggi in questione, in quanto derivati del latte, è sottoposta all’organizzazione comune dei prodotti lattierocaseari di cui al Regolamento (CEE) n. 804/68 del Consiglio del 27 giugno 1968 e successive modifiche.

Disposizioni comunitarie e nazionali hanno disciplinato il contingentamento della produzione di latte (Regolamento del Consiglio n. 856/84 del 31 marzo 1984, e successive modifiche; legge 26 novembre 1992 n. 468) e la fissazione del relativo prezzo, rimessa agli accordi interprofessionali di cui alla legge 16 marzo 1988 n. 88.

Con specifico riferimento ai prodotti in esame, rileva anche il regime di aiuti concessi ai produttori di cui ai Regolamenti CE n. 1880/94 del 27 luglio 1994 del Consiglio e n. 2659/94 del 31 ottobre 1994 della Commissione, che hanno abolito il regime di intervento di cui al Regolamento del Consiglio n. 971/68 del 15 luglio 1968 e modificato il regime d’aiuti all’ammasso privato.

Le attività di produzione e commercializzazione dei formaggi parmigiano reggiano e grana padano sono inoltre soggette al regime di vigilanza di cui alla legge 10 aprile 1954 n. 125, sulla tutela delle denominazioni d’origine e tipiche dei formaggi, le cui disposizioni sono state rese esecutive dal D.P.R. 5 agosto 1955 n. 667.

Ai prodotti in esame è stata riconosciuta la denominazione d’origine col D.P.R. 30 ottobre 1955 n. 1269, con il quale sono altresì stati fissati i metodi di lavorazione, le caratteristiche merceologiche e le zone di produzione.

La vigilanza sulla produzione dei formaggi in questione, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 125/1954, è stata affidata al Consorzio Parmigiano Reggiano e al Consorzio G.P., rispettivamente mediante i Decreti Interministeriali 17 giugno 1957 e 23 marzo 1957.

Ai sensi di tali decreti, è stato attribuito ai Consorzi l’incarico di vigilare sulla produzione e sul commercio del formaggio per il quale è consentito l’uso della denominazione d’origine "parmigianoreggiano" e "grana padano"; nell’ambito della suddetta attività di vigilanza, ciascun Consorzio provvede all’apposizione delle marchiature e di altri contrassegni, secondo le norme stabilite nel disciplinare da esso stesso predisposto.

I Consorzi sono sottoposti alla vigilanza del Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali, al quale è, fra l’altro, rimessa l’approvazione delle modificazioni statutarie (art. 8 della legge n. 125/1954), nonché la facoltà di revocare l’incarico di vigilanza affidato ai consorzi volontari qualora lo richiedano motivi di interesse pubblico.

Con Decreto Ministeriale 14 dicembre 1981 del Ministro dell’Agricoltura e Foreste di concerto con il Ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato è stata introdotta la possibilità per i Consorzi di fissare un quantitativo massimo di produzione e di determinare la ripartizione del quantitativo tra le ditte produttrici, al fine di ristabilire l’equilibrio tra produzione e consumo (art. 1).

Nell’ambito delle prerogative rimesse alla vigilante Autorità ministeriale, rientrano lo svolgimento di accertamenti e l’esercizio della potestà autorizzatoria, relativamente all’attuazione dei piani presentati dai consorzi, sentito il Comitato Nazionale Formaggi.

1.2 Per quanto specificamente attiene alla posizione del ricorrente Consorzio, dal 1982 l’attività di programmazione quantitativa è stata svolta mediante l’adozione di piani produttivi; e, dal 1994, dopo la stipula del Protocollo d’intesa con il Consorzio Parmigiano Reggiano, di regolamenti di autodisciplina (delibere del Consiglio di Amministrazione del 19 maggio 1994 e del 20 dicembre 1994).

Tutti i piani sono stati presentati all’approvazione della Giunta per il Coordinamento per l’Autodisciplina ai sensi dell’art. 1 del D.M. 1981 e al Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali ai sensi dell’art. 2 del D.M. 1981.

I piani produttivi adottati dal Consorzio e presentati al MIRAAF prevedono la quantità massima di produzione, che non coincide necessariamente con l’obiettivo produttivo assegnato ai produttori all’inizio dell’annata casearia.

La determinazione delle quote individuali è avvenuta, caso per caso, sulla base della storia produttiva delle aziende.

Dal 1994, i regolamenti di autodisciplina hanno previsto che l’attribuzione delle quote individuali di produzione avvenga "nel rispetto delle diverse aree produttive e delle esigenze economicogeograficheterritoriali, cercando di mantenere la proporzione di appartenenza dei singoli caseifici, dando priorità alla titolarità della produzione di ciascun caseificio e alla statistica degli stessi".

Nei confronti dell’azienda che abbia superato il proprio piano produttivo globale, ovvero non segnalato fedelmente la produzione mensile, è stata prevista l’applicazione dei provvedimenti previsti nello Statuto, nonché le misure deliberate ogni anno per il rispetto dell’autodisciplina.

Nell’ambito dei poteri il cui esercizio è rimesso al Consiglio di Amministrazione del Consorzio, rientra la concessione del benestare alla cessione di quote produttive e la concessione di aumenti produttivi aggiuntivi rispetto al programma, con corrispettiva richiesta, nei confronti dell’impresa alla quale siano attribuiti detti aumenti, di un contributo aggiuntivo nella misura determinata dallo stesso CdA.

Il rispetto della programmazione risulta, inoltre, garantito anche attraverso alcune facoltà previste nel regolamento di marchiatura, nel quale si stabilisce che il Consorzio consegni le fascere, necessarie per l’applicazione del marchio di origine, in proporzione al piano produttivo di ogni singola azienda, accordi i marchi consortili ai caseifici che siano in regola con il D.M. 14 dicembre 1981 e possa escludere dai marchi consortili le forme prodotte in eccedenza rispetto al piano produttivo (artt. 3, 9 e 14 del regolamento di marchiatura).

1.3 Quanto all’attuazione della programmazione, dal 1992 il Consorzio G.P. non risulta aver conseguito la prevista autorizzazione ministeriale.

Ai fini dell’elaborazione del piano per l’annata casearia successiva, il Consorzio ha inviato alle aziende consorziate lettere circolari in cui, invitando i consorziati al rispetto dei piani produttivi in corso, ha richiesto la previsione di produzione per l’annata successiva.

Nelle stesse lettere, giusta quanto osservato dall’Autorità, risulta essere costantemente ribadito che il piano produttivo per ciascun caseificio sarebbe stato determinato dagli organi consortili.

All’inizio dell’annata casearia di riferimento, il Consorzio ha inviato a tutti i consorziati lettere standard, in cui ha comunicato l’obiettivo di produzione assegnato, senza fare alcun riferimento a eventuali accertamenti della qualità del latte disponibile, ma semplicemente invitando i consorziati a usare il latte migliore.

Il Consorzio, sempre alla luce delle risultanze acquisite da AGCM, avrebbe inoltre controllato i trasferimenti di quota tra i consociati e vigilato costantemente sul rispetto della programmazione.

A tal fine, il Consorzio ha invitato le aziende ad assumere esplicitamente l’impegno al rispetto del piano consortile e ad inviare denunce mensili di produzione, indicando anche le giacenze; ed ha, altresì, previsto delle penali per il mancato rispetto dei limiti di produzione.

Nel corso delle annate casearie, il Consorzio ha, poi, notificato ai consorziati le misure amministrative deliberate dagli organi consortili per le produzioni eccedentarie e inviato loro lettere in cui veniva minacciata l’applicazione di sanzioni o il ritiro delle fascere in caso di superamento delle quantità di produzione autorizzata.

Oltre alle iniziative sopra descritte, il Consorzio ha intrapreso azioni direttamente nei confronti dei consorziati i quali, nel corso dell’annata casearia, risultavano aver prodotto in eccedenza rispetto al programma previsto, inviando loro lettere in cui essi venivano invitati a rispettare il loro obiettivo e a comunicare il termine entro cui la produzione sarebbe stata adeguata all’obiettivo suddetto.

Nell’ambito delle iniziative assunte dal Consorzio, AGCM ha sottolineato anche il diniego da quest’ultimo opposto alle richieste dei consorziati di aumenti di quota produttiva (annata casearia 1995: nella quale, a fronte della domanda crescente e del prezzo remunerativo, le imprese chiedevano di poter adeguare la propria produzione all’andamento del mercato.

In particolare, il Consorzio è risultato aver inviato lettere di risposta standard alle richieste di aumento produttivo, in cui non si fa riferimento all’esito di eventuali controlli circa la qualità del latte da utilizzare, ma piuttosto alla necessità di rispettare i piani produttivi.

Nei piani produttivi, risultano inoltre essere state predisposte misure per assicurare il rispetto della programmazione produttiva (ancorché il Consorzio abbia dichiarato di non aver "mai, quanto meno successivamente al 1990, adottato alcuna misura sanzionatoria nei confronti dei produttori che non si sono attenuti alle indicazioni di programmazione").

1.4 Quanto ai poteri rimessi al MIRAAF ai sensi del D.M. 1981 (controllo sull’attività di programmazione dei Consorzi; autorizzazione all’attuazione dei piani), è stato rilevato che esso, di concerto con il Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, ha autorizzato l’attuazione dei piani per l’annata casearia 1991, mediante due decreti di pari data per entrambi i Consorzi (Decreti Interministeriali 20 dicembre 1990).

Successivamente, dall’annata casearia 1992, il Ministero non ha più autorizzato l’attuazione dei piani.

Lo stesso Ministero ha negato la configurabilità di un meccanismo di silenzioassenso per quanto riguarda l’autorizzazione suddetta e ha rilevato che, successivamente all’annata casearia 1991, l’istruttoria sui piani presentati dai consorzi è stata limitata.

Dalle risultanze istruttorie non è emerso che il MIRAAF abbia mai chiesto modifiche relativamente ai progetti di piani presentati dai consorzi.

Quanto alla stipula del Protocollo del 1994, il MIRAAF ha affermato che l’iniziativa è da attribuire ai Consorzi e che il Ministro ha partecipato a essa solo come supervisore della loro attività.

1.5 Le conclusioni alle quali è pervenuta la procedente Autorità possono essere sintetizzate alla luce di quanto infra riportato.

AGCM ha preliminarmente osservato che il Consorzio G.P. e il Consorzio Parmigiano Reggiano sono consorzi volontari di imprese, costituiti per la promozione e la tutela dei prodotti tipici.

Nel rilevare come ad essi sia rimessa la disciplina di alcuni aspetti dell’attività dei propri aderenti, tra cui la determinazione dell’ammontare del prodotto da essi offerto sul mercato, coordinandone in tal modo le scelte produttive, l’Autorità ha ritenuto che la loro attività assuma diretto e immediato rilievo ai fini dell’applicazione delle regole di concorrenza: escludendo, ex adverso, la rilevanza dello svolgimento di un’attività strumentale al raggiungimento di finalità generali in collaborazione con le autorità comunitarie e nazionali, ovvero di altri compiti di interesse generale.

I piani di programmazione e i regolamenti di autodisciplina, in quanto frutto di deliberazioni di organi consortili, rappresenterebbero quindi, ad avviso di AGCM, intese ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge n. 287/1990, così come il Protocollo del 1994 stipulato tra i due Consorzi.

AGCM ha, quindi, escluso che le restrizioni della concorrenza poste in essere dai Consorzi siano state rese obbligatorie da alcun disposto normativo, né di livello nazionale, né di livello comunitario, rilevando come "né la normativa relativa ai prodotti lattiero caseari, né i più recenti regolamenti concernenti le produzioni di origine protette, prevedono alcun tipo di restrizione quantitativa, essendo piuttosto orientati a favorire una più incisiva vigilanza qualitativa".

Diversamente rispetto a quanto sostenuto da entrambi i consorzi, l’Autorità ha osservato come "gli atti di contingentamento oggetto del presente procedimento non possono trovare giustificazione nella normativa comunitaria sopra richiamata, né appare che l’applicazione a essi delle regole di concorrenza nazionali sia preclusa ai sensi del Regolamento n. 26/62 del Consiglio del 4 aprile 1962".

Quanto alla normativa nazionale, l’attività di programmazione quantitativa della produzione svolta dai consorzi non è stata ritenuta rientrare tra i compiti a essi affidati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 125/1954, sulla tutela delle denominazioni d’origine e tipiche, atteso che tali attività consistono, secondo il dettato normativo, nella "vigilanza sulla produzione e sul commercio dei formaggi a denominazione d’origine o tipica".

Nell’osservare come l’attività di controllo quantitativo, attraverso la predisposizione di piani produttivi da parte di ciascun Consorzio, è prevista solo nel D.M. 1981 (atto con cui è stato affidato ai consorzi "il controllo sulla produzione dei rispettivi formaggi a denominazione d’origine e tipica, onde assicurare nell’ambito di detti formaggi l’equilibrio tra produzione e consumo"), AGCM ha rilevato come la programmazione non solo sia disciplinata in un atto diverso dalla legge n. 125/1954, ma si atteggi, ulteriormente, quale "strumento per realizzare un fine ulteriore rispetto a quello della tutela e vigilanza della qualità" (in quanto il relativo fondamento sarebbe rinvenibile nell’"opportunità, in presenza di situazione pregiudizievoli per lo sviluppo produttivo ed economico del settore zootecnico, di favorire iniziative che saranno poste in essere da detti consorzi volontari di produzione, atte ad assicurare l’equilibrio tra produzione e consumo dei formaggi a denominazione d’origine e tipica").

Se l’art. 1, comma 1, del D.M. 1981 ha imposto ai consorzi l’obbligo di presentare annualmente un progetto di piano in cui, con riferimento alla prevedibile situazione del mercato, vengano indicati anche gli obiettivi produttivi (art. 1, comma 1), tale obbligo non si estenderebbe, tuttavia, alla fissazione di tetti massimi di produzione, né alla determinazione delle quote individuali tra consorziati.

Solo subordinatamente all’individuazione o alla previsione di una situazione pregiudizievole per l’equilibrio del mercato, sulla base di obiettive valutazioni che tengano conto anche degli interessi generali, è rimessa ai consorzi, attraverso il progetto di piano, l’indicazione degli adempimenti preordinati a ristabilire l’equilibrio tra produzione e offerta, con particolare riguardo alla fissazione di un limite massimo di produzione (art. 1, comma 2).

Benché il suddetto D.M. definisca il contenuto della programmazione in caso di squilibrio tra domanda e offerta, imponendo ai consorzi di fissare, nel piano, un limite di produzione, l’Autorità ha ritenuto che, "in relazione a tale eventualità, sussista comunque un ambito di discrezionalità per i consorzi nell’individuazione delle circostanze che giustificano la misura stessa, ovverosia dell’individuazione dell’esistenza o del possibile verificarsi di situazioni pregiudizievoli" (a conferma di questo assunto, rilevando la mancata previsione di alcuna sanzione a carico dei consorzi per la mancata attuazione della programmazione quantitativa).

Si atteggia, inoltre, quale conseguenza dell’autonoma valutazione dei consorzi "anche la determinazione del contenuto concreto dei piani produttivi e, in particolare, dell’ammontare del limite produttivo, nonché delle quote individuali che vengono concretamente attribuite ai singoli consorziati solo dopo la presentazione dei piani, che contengono in genere solo i criteri di ripartizione".

Nel dare atto della natura negoziale dei piani in esame, AGCM ha escluso che il MIRAAF abbia mai sostituito la propria valutazione a quella dei consorzi, in particolare per quanto riguarda la fissazione dei livelli di produzione massima e le misure per attuare il contingentamento.

Relativamente, poi, alla configurazione precettiva delle disposizioni recate dal D.M. 1981, se tale fonte normativa fosse suscettibile di interpretazione nel senso dell’introduzione di un obbligo generalizzato e continuativo di adottare misure di contingentamento della produzione a carico delle parti, l’illegittimità del decreto stesso è stata dall’Autorità affermata in ragione (non soltanto del mancato rinvenimento di fondamento alcuno sulla base delle indicazioni dettate dalla legge n. 125/1954, ma anche) della introduzione di limitazioni alla libertà d’iniziativa economica in palese violazione della riserva di legge di cui al terzo comma dell’art. 41 della Costituzione.

Se, come precedentemente posto in evidenza, dal 1992 il MIRAAF non ha più autorizzato i piani di produzione (peraltro comunque attuati dai consorzi), AGCM ha osservato che l’assenza di intervento ministeriale, in difetto di espressa previsione, è insuscettibile di essere interpretata quale autorizzazione all’attuazione dei piani, secondo i principi del meccanismo del silenzioassenso; né l’autorizzazione dei piani per l’annata casearia 1991, è stata ritenuta idonea a garantire ai Consorzi l’immunità dall’applicazione delle regole di concorrenza.

L’insieme degli elementi in precedenza esposti ha indotto l’Autorità a confermare l’assunto che la predisposizione di regolamenti di autodisciplina e di piani di programmazione intraconsortili sia riconducibile all’autonoma volontà dei consorzi, poiché questi organismi godono di discrezionalità nell’individuazione dei presupposti per il contingentamento e nella definizione del suo contenuto.

Se, per quanto riguarda la programmazione interconsortile, il D.M. 1981 non prevede la conclusione di accordi tra consorzi (ribadita, in ogni caso, l’irrilevanza ai fini dell’applicazione delle regole di concorrenza della partecipazione del Ministro dell’Agricoltura, peraltro intervenuto alla stipula degli accordi solo quale supervisore dell’attività dei consorzi), AGCM ha concluso che l’intesa è imputabile esclusivamente alla volontà dei Consorzi: e, pertanto, assoggettabile a scrutinio secondo le disposizioni della legge 287/1990.

1.6 L’Autorità ha ritenuto che le delibere consortili relative alla programmazione 19911995, i regolamenti di autodisciplina adottati nel 1994 e 1995, e gli atti che ne costituiscono l’attuazione, integrino la presenza di intese restrittive della concorrenza ai sensi dell’art. 2 della legge 287/1990, in quanto "il loro oggetto è la limitazione della concorrenza tra i consorziati, mediante la fissazione di un obiettivo massimo di produzione, nonché di quote produttive tra gli stessi consorziati, e la predisposizione di misure per l’attuazione della programmazione così predisposta".

Nell’osservare come "il contenuto delle intese risulta espressamente ricompreso nel novero delle fattispecie di cui all’art. 2 della legge n. 287/90, considerate restrittive della concorrenza in quanto attività consistenti nell’impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico ecc. (art. 2 comma 2, lettera b)", AGCM ha rilevato che "nel corso dell’istruttoria è emerso che, nel periodo di riferimento, la programmazione è stata attuata in base a criteri storici e non risulta che abbia esercitato un ruolo di rilievo il riferimento alla quantità di materia prima di qualità disponibile".

In palese contrasto con quanto dal Consorzio sostenuto nel corso dell’istruttoria condotta da AGCM, si porrebbe l’invio ai consorziati, nel corso delle annate casearie in questione, di lettere di rifiuto delle richieste di aumento produttivo, nelle quali non viene operato alcun riferimento a controlli sulla qualità del latte; quanto, piuttosto, "alla possibilità di rivedere le quote in caso di aumento dei consumi".

Il Consorzio avrebbe, poi, "continuativamente intrapreso iniziative per incentivare il rispetto degli obiettivi individuali e dare attuazione alla programmazione; sulla base delle disposizioni statutarie e dei regolamenti di autodisciplina e di marchiatura, esso ha avuto a disposizione mezzi per incentivare le imprese a rispettare la programmazione suddetta".

Le restrizioni introdotte attraverso l’attività di programmazione sono state, quindi, ritenute "consistenti ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287/90, in ragione dell’importante posizione di mercato detenuta complessivamente dalle imprese soggette ai vincoli produttivi".

2. Le indicazioni sinteticamente riportati ai punti che precedono – nell’ambito della necessaria ricognizione degli aspetti qualificanti del percorso logico che ha condotto AGCM all’adozione della gravata determinazione – persuadono dell’infondatezza delle censure articolate con il presente ricorso.

2.1 Va in primo luogo osservato che, ai sensi della legge 287/1990 (art. 8, comma 1), le norme in tema di concorrenza, ed in particolare il divieto di intese restrittive e di abuso di posizione dominante (sancito dagli artt. 2 e 3 della legge stessa), trovano applicazione nei confronti sia delle imprese private che di quelle pubbliche.

La disciplina dettata dalla legge 287/1990, in tema di intese, abuso di posizione dominante e concentrazione, costituendo attuazione dei principi sanciti dall’ordinamento comunitario in materia di concorrenza, deve infatti essere interpretata alla luce dei principi dettati da tale ordinamento (in particolare, dagli artt. 8182, già artt. 8586, del Trattato).

Nell’interpretazione dell’art. 8, comma 1, della legge 287/1990, va pertanto adottata l’ampia accezione di impresa ormai consolidata nella giurisprudenza formatasi sugli artt. 81 e 82 (ex artt. 85 e 86) del Trattato.

In particolare, la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea ha costantemente insegnato che la nozione di impresa ricomprende qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, indipendentemente dal suo statuto giuridico e dalle sue modalità di finanziamento (cfr. ex multis, Corte di Giustizia, 23 aprile 1991, causa C41/90, Hofner e Elser, punto 21; Corte di Giustizia, 11 dicembre 1997, Job Centre coop.r.l.; Corte di Giustizia, 21 settembre 1999, causa C- 67/96, Albany, punto 77; Corte di Giustizia, 12 settembre 2000, cause riunite da C180/98 a C184/98, Pavlov e a., punto 74; Corte di Giustizia, 10 gennaio 2006, causa C222/04, Cassa di Risparmio di Firenze e a., punto 107).

Se costituisce attività economica qualunque attività consistente nell’offerta di beni o di servizi su un mercato determinato (Corte di Giustizia 16 giugno 1987, causa 118/85, Commissione/Italia, punto 7; Corte di Giustizia 18 giugno 1998, causa C35/96, Commissione Italia, punto 36; Corte di Giustizia Pavlov e a., cit., punto 75; Corte di Giustizia, Cassa di Risparmio di Firenze e a., cit., punto 108), ai fini dell’applicazione delle norme del Trattato in materia di concorrenza, è necessario tuttavia distinguere tra l’ipotesi in cui lo Stato agisca esercitando il potere d’imperio e quella in cui svolga attività economiche di natura industriale o commerciale consistenti nell’offrire beni o servizi sul mercato (cfr., in tal senso, Corte di Giustizia, sentenza 16 giugno 1987, causa 118/85, Commissione/Italia, punto 7; Corte di Giustizia, 18 marzo 1997, causa C – 343/95; Diego Cali & Figli Srl contro Servizi ecologici porto di Genova SpA).

A questo proposito, non ha rilevanza il fatto che lo Stato agisca direttamente tramite un organo che fa parte della Pubblica Amministrazione, ovvero tramite un ente cui abbia conferito diritti speciali o esclusivi: piuttosto occorrendo esaminare l’indole delle attività svolte dalla pubblica impresa o dall’ente al quale lo Stato ha conferito diritti speciali o esclusivi.

Né la circostanza che ad un soggetto siano attribuiti taluni compiti di interesse generale può impedire che le attività di cui trattasi siano considerate attività economiche (cfr., in tal senso, Corte di Giustizia 25 ottobre 2001, causa C475/99, Ambulanz Glockner, Racc. pag. 18089, punto 21; Corte di Giustizia, 23 marzo 2006, causa C237/04, Enirisorse, punto 34).

L’articolo 86, paragrafo 2, del trattato CE sancisce infatti che i servizi d’interesse economico generale sono sottoposti "alle norme di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata".

In tal senso, va letta la disposizione di cui all’art. 8, comma 2, della legge 287/1990, che limita l’esonero dall’applicazione della disciplina dettata dagli artt. 2 e 3 della legge medesima a tutto quanto strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti loro affidati.

2.2 L’art. 53, comma 1, della legge 128/1998, ha attribuito al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali la funzione di autorità nazionale preposta al coordinamento dell’attività di controllo, responsabile della vigilanza sullo stesso.

Il comma 15 dello stesso art. 53 ha conferito ai Consorzi di tutela delle D.O.P. la funzione di predisporre "programmi recanti misure di carattere strutturale e di adeguamento tecnico finalizzate al miglioramento qualitativo delle produzioni in termini di sicurezza igienico- sanitaria, caratteristiche chimiche, fisiche, organolettiche e nutrizionali del prodotto commercializzato"; e di collaborare, secondo le direttive impartite dal Ministero delle politiche agricole e forestali, alla vigilanza, alla tutela e alla salvaguardia della D.O.P., della IGP o della attestazione di specificità da abusi, atti di concorrenza sleale, contraffazioni, uso improprio delle denominazioni tutelate e comportamenti comunque vietati dalla legge.

Ai consorzi, lo stesso art. 53, comma 15, attribuisce "funzioni di tutela, di promozione, di valorizzazione, di informazione del consumatore e di cura generale degli interessi relativi alle denominazioni", che debbono essere svolte in modo distinto dall’attività di controllo.

Nello stesso quadro, si inseriscono le funzioni attribuite agli organismi di controllo privati, cui è demandata l’attività di controllo prevista dall’art. 10 del Regolamento 2081/1992.

Le attività di controllo rimesse al Consorzio ai fini del rispetto del disciplinare della D.O.P. G.P., così come definite dal Regolamento comunitario e dall’art. 53 della legge 128/1998, sono dirette alla tutela della qualità del prodotto nell’interesse del consumatore: venendo in considerazione quindi, al di là della pur corretta qualificazione dei soggetti preposti al controllo quali privati incaricati di pubbliche funzioni, l’esercizio di un’attività di interesse generale che rientra nei compiti essenziali dello Stato in materia di tutela dell’alimentazione.

La Corte di Giustizia ha osservato, con riferimento ad una fattispecie analoga, relativa a società di diritto privato incaricata della sorveglianza antinquinamento in un porto, che quando un’attività di sorveglianza, per la sua natura, per il suo oggetto e per le norme alle quali è assoggettata, si ricollega all’esercizio di prerogative inerenti alla tutela di interessi collettivi che sono tipiche prerogative dei pubblici poteri, essa non presenta carattere economico che giustifichi l’applicazione delle regole di concorrenza previste dal Trattato (Corte CEE, 19 gennaio 1994, causa C364/92, SAT Fluggesellschaft, punto 30; Corte CEE, 18 marzo 1997, Diego Cali & Figli Srl contro Servizi ecologici porto di Genova SpA SEPG, punto 23).

La stessa Corte di Giustizia europea ha peraltro osservato che le disposizioni del Trattato in materia di concorrenza sono applicabili alle attività di un ente separabili da quelle che esso svolge in quanto pubblica autorità (sentenza della Corte 11 luglio 1985, causa 107/84, Commissione/Germania, punti 14 e 15, e del Tribunale 12 dicembre 2000, causa T128/98, Aeroports de Paris/Commissione, punto 108; Tribunale C.E., 12 dicembre 2006, causa T – 155/04, Selex Sistemi Integrati c. Commissione e Eurocontrol, punto 54).

Le differenti attività di un ente vanno, infatti, esaminate individualmente; né si può dedurre dall’assimilazione di talune di esse a prerogative di poteri pubblici che le altre non possano avere carattere economico (v., in tal senso, sentenza Aeroports de Paris/Commissione, cit., punto 109; Trib. C.E., 12 dicembre 2006, causa T – 155/04, Selex Sistemi Integrati c. Commissione e Eurocontrol, cit.).

2.3 Tale principio, riferito nella giurisprudenza comunitaria alle singole attività svolte da un soggetto che per talune di esse operi jure imperii e quindi non svolga attività economica soggetta alla disciplina della concorrenza, ben può trovare applicazione al caso in esame.

Se il ricorrente Consorzio ricorrente è qualificabile non soltanto come soggetto di diritto privato investito dell’esercizio di pubbliche funzioni, ma anche quale soggetto imprenditoriale operante sul mercato, va rammentato come, secondo la giurisprudenza comunitaria, l’art. 81, n. 1, del Trattato trovi applicazione nei confronti delle associazioni, qualora la loro attività (o quella delle imprese che vi aderiscano) tenda a produrre gli effetti che tale disposizione mira a reprimere (Corte di Giustizia 29 ottobre 1980, cause riunite da 209/78 a 215/78 e 218/78, Van Landewyck e a./Commissione, punto 88; Trib. C.E., 13 dicembre 2006, nei procedimenti riuniti T217/03 e T245/03, Federation nationale de la cooperation betail et vivande e altri c. Commissione, punto 49; Cass. S.U., 27.4.2006, n. 27619): non potendo, in proposito, pretermettersi di rammentare come il Consorzio G.P. sia, come s’è detto, un consorzio di produttori.

L’attività svolta dal soggetto privato incaricato di pubbliche funzioni deve essere sempre valutata in concreto e non in astratto, con riferimento soltanto ai fini istituzionali che dovrebbero essere perseguiti: con la conseguenza che, laddove tale attività devii dallo scopo istituzionale per cui le pubbliche funzioni sono state conferite, viene meno il nesso funzionale tra lo svolgimento delle pubbliche funzioni ed il carattere non economico dell’attività posta in essere, si che quest’ultima deve essere valutata nella sua obiettività, rimanendo soggetta alla disciplina in tema di concorrenza.

Quand’anche le attività svolte dal Consorzio vengano assunte quale esercizio privato di pubbliche funzioni, nondimeno esse non possono discostarsi dai parametri normativi previsti dal Regolamento comunitario.

Se è vero, infatti, che la legge 128/1998 (art. 53, comma 15, lett. b) affida ai Consorzi di tutela delle D.O.P. il compito di "definire programmi recanti misure di carattere strutturale e di adeguamento tecnico finalizzate al miglioramento qualitativo delle produzioni in termini di sicurezza igienicosanitaria, caratteristiche chimiche, fisiche, organolettiche e nutrizionali del prodotto commercializzato" e di collaborare, "secondo le direttive impartite dal Ministero delle politiche agricole e forestali, alla vigilanza, alla tutela e alla salvaguardia della D.O.P…. da abusi, atti di concorrenza sleale, contraffazioni, uso improprio delle denominazioni tutelate e comportamenti comunque vietati dalla legge" (lett. d), tali attività vanno sempre poste in essere nell’ambito del quadro normativo delineato dalla disciplina comunitaria.

In presenza del disciplinare comunitario relativo alla D.O.P. "G.P.", è necessario valutare se le prescrizioni contenute nelle Linee Guida e nel Piano dei controlli, nonché i conseguenti atti attuativi si atteggino come esercizio jure imperii dell’attività di controllo prevista dalla disciplina comunitaria; o se invece tali attività, discostandosi dal parametro normativo previsto, vengano a costituire attività economica rientrante nella previsione della legge 287/1990 (artt. 2 e 3), in quanto posta in essere da enti che, soggettivamente considerati, sono certamente qualificabili come imprenditori, con effetti diretti sul mercato nei confronti di tutti i produttori di G.P. nello stesso operanti.

In proposito, occorre osservare che l’art. 8, comma 2, della legge 287/1990 stabilisce che le "disposizioni di cui ai precedenti articoli" – e, quindi, il divieto di intese e di abuso di posizione dominante sancito dagli artt. 2 e 3 – "non si applicano alle imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, per tutto quanto strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti loro affidati".

Tale norma va letta, in forza del criterio interpretativo dettato dall’art. 1 della legge 287/1990, con riferimento a quanto stabilito dall’art. 86 del Trattato UE: il quale stabilisce che "le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata".

Tale interpretazione è stata confermata anche dalla Suprema Corte di Cassazione (16 maggio 2007 n. 11312), la quale, sia pur con riferimento all’abuso di posizione dominante, ha ritenuto che "in tema di concorrenza, ai sensi della L. 10 ottobre 1990, n. 287, art. 8 l’esclusione dell’applicazione delle norme contenute nella stessa legge – e, quindi, anche dell’art. 3, sull’abuso di posizione dominante – per le imprese che, per disposizione di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, sussiste solo per quanto strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti loro affidati".

In proposito, la Corte di Giustizia ha affermato, con riferimento all’art. 86 del Trattato, che l’esenzione sussiste soltanto limitatamente a quanto rende impossibile l’adempimento della missione di interesse pubblico affidata all’impresa (17 dicembre 1981, NavewaAnseau).

Va poi ulteriormente osservato come la deroga prevista dall’art. 90, comma 2 del Trattato (ora art. 86, comma 2) ai fini dell’applicazione della disciplina in materia di concorrenza, è di stretta interpretazione e non può operare che alla duplice condizione che l’impresa sia stata investita dai poteri pubblici della gestione di un servizio economico d’interesse generale e che l’applicazione della disciplina in materia di concorrenza impedisca l’adempimento del compito particolare affidato all’impresa (TPG, 13 giugno 2000, Epac c. Commissione, nei procedimenti riuniti T204/97 e T270/97, punti 125126; Aeroporti di Parigi c. Commissione, causa T128/98).

L’art. 8, comma 2, della legge 287/1990 limita la deroga all’applicazione della disciplina in tema di concorrenza "per tutto quanto strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti… affidati": l’esenzione di che trattasi operando soltanto nella misura in cui il comportamento in esame "nella sua specifica manifestazione ed in rapporto alla concreta fattispecie", "risulti l’unico e comprovato mezzo per conseguire le finalità istituzionali dell’ente".

L’affermazione di tale principio merita condivisione, atteso che tiene conto che la norma, in quanto derogatoria della disciplina generale, è di stretta interpretazione; e perché, nel consentire di porre in essere comportamenti altrimenti vietati, postula che essi siano "strettamente connessi" all’adempimento dei fini istituzionali: criterio che va applicato alla luce della disciplina comunitaria in virtù del già ricordato criterio interpretativo dettato dalla legge 287/1990, art. 1, ultimo comma.

3. Le considerazioni in precedenza diffusamente esposte persuadono che attività astrattamente riferibili ai compiti di controllo del prodotto, ma che non siano indispensabili per assicurare la conformità del prodotto al disciplinare comunitario, non possono beneficiare dell’esenzione dall’applicazione della disciplina antitrust: occorrendo, conseguentemente, verificare se integrino gli estremi di una pratica non ammessa ai sensi della legge 287/1990, artt. 2 e 3.

3.1 In punto di fatto, non è controverso che le delibere di contingentamento adottate dal Consorzio avevano per oggetto ed effetto la limitazione della concorrenza tra i consorziati, identificabili con la quasi totalità dei produttori, veicolata anche dalla predisposizione di misure per l’attuazione della programmazione così imposta.

Tali iniziative del Consorzio, di conseguenza, impedivano o limitavano la produzione, gli sbocchi e gli accessi al mercato, gli investimenti e lo sviluppo tecnico e costituivano – come correttamente osservato dall’Autorità – intese vietate ai sensi dell’art. 2 della legge 287/1990.

Nell’affermare che tali intese potevano ritenersi autorizzate dal D.M. 14 dicembre 1981 del Ministero dell’Agricoltura, emanato ai sensi degli artt. 7 e 8 della legge 125/1954, il Consorzio ricorrente ha omesso di considerare che tali atti normativi erano stati incisi dall’entrata in vigore della disciplina in materia di concorrenza.

Come si è detto, la deroga prevista dall’art. 8, comma 2, è di stretta interpretazione e va limitata ai soli casi in cui l’adozione della pratica vietata impedisca il perseguimento dei fini istituzionali del soggetto incaricato dell’attività di controllo.

Il sistema dei controlli attribuiti al Consorzio era stato profondamente modificato dal Regolamento comunitario 2081/92, anche se, alla data in cui furono poste in essere le attività di contingentamento, ancora non era stata adottata la D.O.P. G.P., registrata dalla Commissione europea con Regolamento CE n. 1107/96.

Anche ritenendo, pertanto, che la disciplina in vigore fosse ancora quella dettata dalla legge 125/1954 sulla tutela delle denominazioni d’origine e tipiche, va osservato che, contrariamente all’assunto di parte ricorrente, tale legge non prevede espressamente tra i compiti affidati ai Consorzi volontari di produzione ai sensi dell’art. 7, l’attività di programmazione quantitativa della produzione.

I compiti demandati ai Consorzi consistono piuttosto, secondo il dettato normativo, nella "vigilanza sulla produzione e sul commercio dei formaggi a denominazione d’origine o tipica", da intendersi nei limiti e nei sensi previsti dal Regolamento comunitario.

Diversamente, l’attività di contingentamento della produzione rivela intrinseca potenzialità decettiva rispetto all’ordinario funzionamento delle dinamiche di mercato e, conseguentemente, sulla fisiologica dialettica tra domanda e offerta, sì da integrare un’intesa vietata ai sensi della disposizione precedentemente citata.

Intanto tale attività potrebbe essere ritenuta lecita, in quanto ai sensi dell’art. 8, comma 2, della legge 287/1990, essa possa essere considerata strettamente connessa all’adempimento degli specifici compiti di vigilanza attribuiti ai Consorzi.

Ma la legge 125/1954, nell’attribuire l’attività di vigilanza ai Consorzi, non fa parola dell’attività di contingentamento: né tale attività appare, altrimenti, direttamente strumentale – o, addirittura, indispensabile – ai fini dell’assolvimento della funzione di vigilanza sulla produzione e il commercio del formaggio.

Va, anzi, sottolineato che l’art. 2 della ripetuta disciplina antitrust, nel definire i requisiti delle "denominazioni di origine" e delle denominazioni tipiche", fa riferimento alla produzione secondo "usi leali e costanti"; e, per le sole denominazioni tipiche, a particolari metodi della tecnica di produzione.

Il contingentamento della produzione è del tutto estraneo alla vigilanza sulla produzione e commercio del formaggio, dovendo garantire il rispetto degli usi leali e costanti e, se del caso, il rispetto di particolari tecniche di produzione.

3.2 Parte ricorrente assume che i vari atti con cui fu posto in essere il contingentamento (delibere consortili relative alla programmazione 19911995, regolamenti di autodisciplina, atti attuativi degli stessi) sarebbero stati assunti in esecuzione del D.M. Agricoltura 14 dicembre 1981.

Il D.M. in parola è l’atto con cui è stato affidato ai Consorzi "il controllo sulla produzione dei rispettivi formaggi a denominazione d’origine e tipica onde assicurare nell’ambito di detti formaggi l’equilibrio tra produzione e consumo".

La ratio di tale controllo è individuata dal Ministero nell’"opportunità, in presenza di situazione pregiudizievoli per lo sviluppo produttivo ed economico del settore zootecnico di favorire iniziative che saranno poste in essere da detti consorzi volontari di produzione, atte ad assicurare l’equilibrio tra produzione e consumo dei formaggi a denominazione d’origine e tipica".

Contrariamente a quanto sostenuto dal Consorzio G.P., si tratta quindi di uno strumento per realizzare un fine ulteriore rispetto a quello della tutela e vigilanza della qualità, previsto dal Regolamento comunitario e dalla legge 125/1954, art. 7.

Né, quand’anche si assuma la natura di "proposta" delle iniziative del Consorzio come conseguenza del regime normativo stabilito dal D.M. 14 dicembre 1981, il carattere di illegittimità dell’attività di contingentamento, come si è detto del tutto estranea al controllo di qualità sul prodotto, non viene certo depotenziato dall’intervento dell’autorizzazione ministeriale (successiva all’elaborazione dei piani e alla loro approvazione da parte degli organi decisionali del Consorzio), con ogni evidenza inidonea a far venir meno il contrasto dei piani stessi con la normativa in tema di concorrenza.

Va sottolineato che il D.M. 14 dicembre 1981, art. 1, comma 1, impone ai consorzi l’obbligo di presentare annualmente un progetto di piano in cui, con riferimento alla prevedibile situazione del mercato, vengano indicati anche gli obiettivi produttivi.

Non è prevista, tuttavia, né la fissazione di tetti massimi di produzione, né la determinazione delle quote individuali tra consorziati.

I consorzi, dunque, conservano un ampio margine discrezionale in ordine al contenuto dei piani, in rapporto alla situazione di mercato.

Solo subordinatamente all’individuazione o alla previsione di una situazione pregiudizievole per l’equilibrio del mercato, sulla base di obiettive valutazioni che tengano conto anche degli interessi generali, i consorzi, evidenziando ciò nel progetto di piano, dovranno indicare gli adempimenti che intendono porre in essere al fine di ristabilire l’equilibrio tra produzione e offerta, con particolare riguardo alla fissazione di un limite massimo di produzione (art. 1, comma 2).

Il D.M. 14 dicembre 1981 precisa (art. 2) che il progetto di piano produttivo presentato al Ministero deve contenere indicazioni non solo circa la proposta del limite massimo, ma anche relativamente al piano di riparto tra le ditte produttrici della quantità da produrre, precisando i criteri informatori delle scelte operate.

Quantunque il suddetto D.M. preveda che, in caso di squilibrio tra domanda e offerta, i consorzi fissino nel piano un limite di produzione, rimane tuttavia un ampio margine di discrezionalità nell’individuazione dell’esistenza o del possibile verificarsi di situazioni pregiudizievoli.

Ne deriva che la delibera di contingentamento è direttamente riferibile al consorzio, sì da integrare gli estremi – in ragione del non corretto uso dell’apprezzamento discrezionale sopra indicato (piegato a finalità di contingentamento della produzione dei consorziati) – di una pratica anticoncorrenziale illecita.

3.3 Ad omogenee conclusioni è dato pervenire anche con riferimento alle previsioni di cui al Regolamento comunitario n. 29/1962 (ratione temporis operante), il cui art. 2 esclude(va) l’applicabilità dell’art. 85 del Trattato agli accordi fra imprenditori agricoli, o associazioni fra detti imprenditori, nella misura in cui, senza che ne derivi l’obbligo di praticare un prezzo determinato, concernano la produzione e/o la vendita di prodotti agricoli, purché non diretti ad eludere lo svolgimento della dinamica concorrenziale o, altrimenti, idonei a compromettere il raggiungimento degli obiettivi di cui all’art. 39 dello stesso Trattato.

L’operatività della suindicata clausola derogatoria – richiamata da parte ricorrente – accede, infatti, all’esistenza di un rapporto di preordinazione funzionale dell’intesa al perseguimento degli obiettivi propri della politica agricola.

Se è vero che, come osservato dall’Autorità, il settore in questione risultava regolamentato a livello comunitario soltanto sotto particolari aspetti (si confronti, in proposito, il Regolamento CE del Consiglio n. 804/68 del 27 giugno 1968, riguardante l’organizzazione comune dei prodotti lattierocaseari), va escluso che nel novero di questi ultimi rientrasse anche l’attività di contingentamento della produzione del formaggio, conseguente – nella fattispecie all’esame – all’adozione delle delibere consortili oggetto di indagine da parte di AGCM.

Consegue a quanto osservato che la mancata ricomprensione degli effetti propri delle deliberazioni di che trattasi nel quadro di "copertura" derogatoria rende pienamente operante ad esse la generale disciplina anticoncorrenziale stabilita a livello comunitario: per l’effetto dovendo disattendersi, anche sotto tale profilo, le argomentazioni articolati dal Consorzio G.P., in ragione della già ravvisata eccedenza della portata contenutistica degli obblighi imposti ai produttori (quanto al contingentamento) rispetto non soltanto al quadro normativo vigente, ma anche al raggiungimento delle finalità (di vigilanza sulla produzione del formaggio) alle quali il Consorzio stesso risulta essere stato preposto.

4. Se le considerazioni sopra rassegnate ricevono immediata evidenza con riferimento alle delibere consortili riguardanti la programmazione 19911995 ed i regolamenti di autodisciplina adottati nel 1994 e nel 1995, separata attenzione merita il protocollo di intesa stipulato dal ricorrente Consorzio con il Consorzio Parmigiano Reggiano nel 1994.

Fermo il carattere di vincolatività assunto dalle indicazioni da esso promananti per la quasi totalità degli operatori presenti sul mercato, non è invero disconoscibile che l’oggetto di tale intesa risieda, come da AGCM rilevato, non soltanto nel rafforzamento degli accordi intraconsortili, ma in una vera e propria "ripartizione" del mercato mediante individuazione, a livello complessivo, delle quote produttive ascrivibili alle imprese aderenti.

Se tale effetto risulta confermato sulla base delle evidenze documentali dall’Autorità acquisite nel corso del procedimento, va ulteriormente osservato come l’accordo all’esame abbia ulteriormente introdotto, fra i Consorzi stipulanti, un sistematico scambio di informazioni preordinato a ridurre, reciprocamente, l’incertezza sulle condotte assunte dalla controparte e dai consorziati, con evidente restrizione del libero sviluppo delle ordinarie dinamiche concorrenziali.

5. Quanto, poi, alla lamentata illegittimità dell’avversata determinazione AGCM in ragione del mancato accoglimento della richiesta di autorizzazione in deroga ai sensi dell’art. 4 della legge 287/1990 (dal ricorrente Consorzio avanzata nel corso del procedimento conclusosi poi con l’adozione del provvedimento all’esame), si osserva quanto segue.

La norma citata prevede, all’art. 1, che "l’Autorità può autorizzare, con proprio provvedimento, per un periodo limitato, intese o categorie di intese vietate ai sensi dell’articolo 2, che diano luogo a miglioramenti nelle condizioni di offerta sul mercato i quali abbiano effetti tali da comportare un sostanziale beneficio per i consumatori e che siano individuati anche tenendo conto della necessità di assicurare alle imprese la necessaria concorrenzialità sul piano internazionale e connessi in particolare con l’aumento della produzione, o con il miglioramento qualitativo della produzione stessa o della distribuzione ovvero con il progresso tecnico o tecnologico. L’autorizzazione non può comunque consentire restrizioni non strettamente necessarie al raggiungimento delle finalità di cui al presente comma né può consentire che risulti eliminata la concorrenza da una parte sostanziale del mercato".

In primo luogo, lo stesso tenore letterale della norma riconduce l’esercizio del potere derogatorio rimesso all’Autorità in un ambito di discrezionalità, il cui svolgimento:

– se, da un lato, può trovare espansione laddove l’intesa sia suscettibile di comportare miglioramenti nelle condizioni di offerta sul mercato con beneficio per i consumatori, purché vengano preservati i livelli di necessaria concorrenzialità fra le imprese presenti sul mercato (ed al ricorrere degli ulteriori presupposti che le ricadute dell’intesa medesima siano connesse "con l’aumento della produzione, o con il miglioramento qualitativo della produzione stessa o della distribuzione ovvero con il progresso tecnico o tecnologico");

– d’altro canto, l’autorizzazione di che trattasi non può, comunque, intervenire laddove ad essa conseguano "restrizioni non strettamente necessarie al raggiungimento delle finalità" indicate dallo stesso comma 1; ovvero che, diversamente, "risulti eliminata la concorrenza da una parte sostanziale del mercato".

Nell’escludere che, quanto al caso di specie, ricorresse la compresenza degli elementi sopra indicati, va ulteriormente osservato come la fisiologica operatività della disposizione non appare suscettibile di espansione anche con riferimento alle intese i cui effetti si siano esauriti.

Milita in tal senso, oltre che l’interpretazione logica delle riportate previsioni normative (la cui preordinazione funzionale alla tutela delle dinamiche procompetitive, oltre che dei consumatori, esclude con ogni evidenza che tali finalità possano essere conseguite in presenza di comportamenti i cui effetti siano esauriti), anche il disposto dell’art. 4, comma 7, del D.P.R. 30 aprile 1998 n. 217, a tenore del quale "l’autorizzazione, di cui all’articolo 4 della legge non produce effetti anteriori alla data della richiesta".

Deve quindi escludersi che la richiesta di autorizzazione in deroga, formulata dalla parte ricorrente nel corso dello svolgimento del procedimento, fosse suscettibile di accoglimento, atteso che una favorevole considerazione di tale domanda risultava comunque preclusa – come correttamente osservato dall’Autorità – dall’esaurimento delle condotte a fronte delle quali è stata sollecitata la deroga di che trattasi.

6. Viene, da ultimo, in considerazione la censura con la quale il ricorrente Consorzio ha escluso la legittimità dell’impugnato provvedimento per carenza, in capo al medesimo, dell’elemento soggettivo dell’illecito contestato.

Come correttamente osservato dalla difesa erariale nella memoria depositata in giudizio il 27 giugno 2011, la sussistenza e la consistenza del suindicato elemento assume rilevanza unicamente ai fini della commisurazione della sanzione applicabile a fattispecie per le quali sia stata riscontrata la violazione della disciplina di tutela della concorrenza.

Secondo un costante insegnamento giurisprudenziale (richiamato anche da Cons. Stato, sez. VI, 30 agosto 2002 n. 4362), affinché un’infrazione alle norme del Trattato sulla concorrenza possa essere considerata intenzionale, non è necessario che l’impresa sia stata conscia di trasgredire tali norme, ma è sufficiente che essa non potesse ignorare che il suo comportamento aveva come scopo la restrizione della concorrenza (Corte Giust. CE, 8 novembre 1983, cause riunite da 96/82 a 102/82, 104/82, 105/82, 108/82 e 110/82 – IAZ, punto 45; Trib. CE, 6 aprile 1995, causa T141/89 – Trefileurope, punto 176, e 14 maggio 1998, causa T310/94 – Gruber + Weber, punto 259; 12 luglio 2001 – British Sugar, punto 127).

Ne consegue che, ai sensi dell’art. 3 della legge 689/1981 – al quale rinvia l’art. 31 della legge n. 287/1990 – il principio secondo cui per le violazioni colpite da sanzione amministrativa è richiesta la coscienza e volontà della condotta attiva o omissiva sia essa dolosa o colposa, deve essere inteso nel senso della sufficienza dei suddetti estremi, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, atteso che la norma pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, riservando poi a questi l’onere di provare di aver agito senza colpa.

Nell’osservare, conclusivamente sul punto, come la mancata irrogazione di sanzione amministrativa pecuniaria a fronte delle condotte oggetto di esame escluda, con ogni evidenza, la rilevanza dell’elemento soggettivo ai fini della graduazione della misura afflittiva astrattamente applicabile, deve quindi disattendersi la censura all’esame.

7. La riscontrata infondatezza delle esaminate doglianze impone la reiezione del gravame.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) respinge il ricorso indicato in epigrafe.

Condanna il ricorrente Consorzio per la tutela del formaggio G.P., in persona del legale rappresentante, al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per complessivi Euro 3.000,00 (euro tremila(00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *