T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 02-08-2011, n. 6915 Compensi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso in epigrafe l’istante espone di essere magistrato ordinario a riposo a far data dal 29 ottobre 1981 e di aver ottenuto, giusta sentenza di questo Tribunale amministrativo regionale n. 245 del 1984, confermata in sede d’appello dal Consiglio di Stato con decisione n. 781 del 1990, la dichiarazione dell’obbligo dell’amministrazione di corrispondergli le differenze retributive conseguenti agli aumenti periodici di cui all’art. 5, ultimo comma, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080, con gli interessi e la rivalutazione monetaria.

In attuazione di detto giudicato il Ministero di Grazia e Giustizia, con decreto 29 gennaio 1991, attribuiva al ricorrente i benefici economici di cui al giudicato, disponendo però nel contempo che le somme erogate in forza di questo per differenze di stipendio relative al periodo 1/1/197928/19/1981 e per conseguente rivalutazione monetaria e interessi corrispettivi, sarebbero state recuperate ai sensi e con le modalità previste dall’art. 10, comma secondo, ultima parte della legge n. 425 del 1984.

Successivamente lo stesso Ministero inviava all’ENPAS nell’aprile 1992 una nota con la quale indicava la somma da recuperare al titolo predetto sulla indennità di buonuscita ai sensi della norma citata.

Avverso tali provvedimenti l’interessato ha dedotto i seguenti motivi di gravame:

1) Violazione dell’art. 10, comma secondo, della legge 6 agosto 1984, n. 425. Eccesso di potere.

La previsione di recupero contemplata dall’art. 10, comma 2, della legge n. 425 del 1984 è applicabile nei soli riguardi del personale in servizio alla data di decorrenza della nuova disciplina sul trattamento economico di magistratura, fissata al 1° luglio 1983. Erroneamente, pertanto, se ne è ritenuta l’operatività rispetto all’istante, il quale è stato collocato in quiescenza (il 29 ottobre 1981) antecedentemente a detta data;

2) In via subordinata: illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma secondo, della legge 6 agosto 1984, n. 425.

Ove la norma in questione venisse ritenuta applicabile nel caso in esame, ne conseguirebbe la sua illegittimità costituzionale, in quanto comporterebbe la violazione per via legislativa di un giudicato. Ne risulterebbe così violato il principio cardine della Carta costituzionale che esclude qualsiasi confusione tra la funzione legislativa e quella giudiziaria.

L’istante ha quindi concluso per l’annullamento dei provvedimenti impugnati, anche a seguito, se ritenuto necessario, di denuncia di incostituzionalità dell’art. 10, comma secondo, della legge n. 425 del 1984, con ogni conseguenza di legge e vittoria di spese, competenze ed onorari del giudizio.

Per il Ministero di Grazia e Giustizia e per l’ENPAS si è costituita l’Avvocatura Generale dello Stato, dichiarando di resistere al ricorso.

Alla udienza del 13 luglio 2011 la causa è stata ritenuta in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere respinto.

Come è noto, nel quadro della complessiva nuova definizione del trattamento retributivo del personale di magistratura ed assimilato operata dalla legge n. 425 del 1984, è stato disposto, all’art. 9, il venir meno di ogni difforme valutazione, giusta la normativa pregressa, dell’anzianità ai fini della progressione economica, tra cui, in particolare, del beneficio contemplato dall’art. 5, ultimo comma, del d.P.R. n. 1080 del 1970.

In coerenza con tale previsione, l’art. 10 della medesima legge n. 425 ha a sua volta disposto che gli importi a qualsiasi titolo erogati o da erogare al personale previsto dal precedente art. 3 in esecuzione di provvedimenti giudiziali passati in giudicato e relativi, tra l’altro, all’applicazione del citato art. 5, ultimo comma, del d.P.R. n. 1080 del 1970 "rimangono attribuiti a titolo personale e sono riassorbiti con la normale progressione economica e nelle funzioni ed inoltre, se necessario, operando le conseguenti detrazioni a conguaglio a carico dell’indennità di buonuscita".

Ciò stante, infondato si palesa il primo motivo dedotto, con il quale l’istante sostiene che detta norma non è applicabile nei riguardi di chi, come l’istante medesimo, sia stato collocato in quiescenza antecedentemente alla data di decorrenza (1° luglio 1983) della nuova disciplina del trattamento retributivo dei magistrati.

Invero, da un lato, ciò che costituisce presupposto di applicazione della norma è il fatto di avere i suoi destinatari fruito del ricordato beneficio di cui all’art. 5 del d.P.R. n. 1080 del 1970, in virtù di provvedimenti giudiziali passati in giudicato. D’altro lato, scopo della stessa è quello di sterilizzare gli effetti del beneficio nell’ottica di perequazione tra gli appartenenti alle categorie interessate.

In tale contesto non può che essere irrilevante la circostanza che il magistrato sia stato collocato in quiescenza antecedentemente all’entrata in vigore della legge n. 425 cit., perché, una volta che egli abbia fruito del beneficio predetto, si realizza comunque in suo capo l’esigenza voluta dalla norma di ricondurre la sua posizione ad una situazione di uguaglianza rispetto agli altri appartenenti alla categoria.

Quanto poi alla questione di legittimità costituzionale sollevata con il secondo motivo dedotto, va ricordato che la stessa Corte costituzionale, con sentenza n. 413 del 7 aprile 1988, ha riconosciuto la legittimità costituzionale della norma in esame, in quanto "mira ad eliminare, con il meccanismo della gradualità temporale proprio del riassorbimento nella progressione economica, esiti privilegiati di trattamento economico riproduttivi di disparità non tollerabili nel quadro di intenti costituzionalmente legittimi della volontà legislativa". In tale ottica la Corte ha anche aggiunto che eventuali detrazioni a conguaglio, a carico dell’indennità di buonuscita, per il loro carattere di succedaneità necessaria alla impossibilità del verificarsi del normale riassorbimento per conclusione della durata del servizio non valgono a mutare la fattispecie perequativa in quella della ripetizione di indebito.

Sussistono giustificate ragioni per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Dispone l’integrale compensazione fra le parti delle spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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