Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 08-06-2011) 25-07-2011, n. 29809 Prova penale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In parziale riforma della sentenza di primo grado emessa dal giudice monocratico del tribunale di Bologna, la corte di appello nella medesima città condannava D.D. alla pena di mesi sei e giorni 10 di reclusione per il reato di cui all’art. 610 c.p., per tentata violenza privata nei confronti della madre, nonchè per la detenzione, senza denuncia, di armi nella sua camera da letto ( art. 697 c.p.) e per il delitto di cui all’art. 594 c.p. perchè insultava la madre dicendole: "bastarda". Con un unico motivo di doglianza propone ricorso il D. per illogicità della motivazione e per travisamento della prova laddove la Corte ritiene che la condotta posta in essere dall’imputato si sia rivolta alla madre, mentre risulta dalle sommarie informazioni da costei rese che il ventilatore fu lanciato in altra direzione e non con l’intento di colpirla e che non fu mai minacciata di morte. Per tale motivo la difesa del ricorrente chiede l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Rileva preliminarmente questa corte che anche nel capo di imputazione si parla di lancio del ventilatore all’indirizzo della stanza da letto della madre e non contro la stessa, come invece ha affermato la Corte d’appello. Pur tuttavia, deve ritenersi che la Corte di secondo grado non abbia travisato la prova, ma abbia semplicemente esposto in modo improprio i termini della violenza operata dal D. per influire sulla volontà di autodeterminazione della madre; è innegabile, infatti, l’atteggiamento violento e minaccioso del figlio, concretatosi nel lancio del ventilatore, accompagnato dalle minacce. E’ per contro privo di rilevanza determinante il fatto che il ventilatore sia stato lanciato contro la madre o contro la porta della sua stanza, essendo evidente l’attitudine intimidatoria del gesto e l’idoneità ad influire sulla volontà di autodeterminazione della madre.

D’altronde, il travisamento della prova richiede non solo che un dato di essa sia stato letto da parte del giudice di merito in modo tale da condurre all’affermazione dell’esistenza di una specifica circostanza oggettivamente esclusa dal risultato probatorio o alla negazione della sussistenza di una circostanza sicuramente risultante dalla prova, ma deve trattarsi, anche, di un errore che inquini la trama motivazionale dell’intero provvedimento stravolgendola al punto di disarticolarla, con la conseguenza di rendere "ictu oculi" errato il risultato decisorio raggiunto su un punto rilevante e perciò decisivo ai fini della decisione.

Solo in tal caso è possibile al giudice di legittimità esaminare quell’atto e procedere all’annullamento della sentenza (Cassazione penale, sez. 6^, 13 marzo 2009, n. 26149); nel caso in esame, come si è detto, l’erronea indicazione della Corte d’appello, quanto alle modalità dell’azione, non ha affatto influito sul risultato decisorio. L’atteggiamento minaccioso e violento del D., infatti, ai fini della qualificazione del reato di cui all’art. 610 c.p., non muta per il solo effetto di avere scagliato l’oggetto vicino alla madre, e non contro di essa, essendo comunque evidente l’intento intimidatorio.

Va, infine, rilevato che il vizio di "travisamento della prova", che si realizza allorchè si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia, può essere dedotto solo nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronuncia conforme il limite del "devolutum" non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice di appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Cassazione penale, sez. 2^, 28 maggio 2008, n. 25883).

Quanto all’errore in cui, secondo il ricorrente, sarebbe incorsa la corte d’appello di Bologna, ritenendo la sussistenza di minacce di morte o violenza, deve rilevarsi come, al contrario, i giudici del merito abbiano correttamente valorizzato – trattandosi di giudizio con il rito abbreviato – le risultanze istruttorie agli atti, tra cui vi era la denuncia – querela della fiducia, mentre con riferimento alle successive sommarie informazioni rese in data 21 giugno 2006 ed allegate dal ricorrente, quest’ultimo aveva l’onere sia di individuazione precisa della collocazione dell’atto nel fascicolo processuale, non essendo stato riprodotto nel ricorso e non allegato in copia conforme, sia di dimostrazione che tale atto si trovasse nel fascicolo processuale al momento della decisione del giudice del merito (cfr. Cassazione penale, sez. 3^, 06 febbraio 2007, n. 12014).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone l’oscuramento dei dati identificativi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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