Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 08-06-2011) 25-07-2011, n. 29805

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L.R.G. è stato condannato dal tribunale di Ragusa alla pena sospesa di mesi due di reclusione per il reato di cui agli artt. 477 e 482 c.p., per aver alterato un’autorizzazione amministrativa concessa dal Comune di Ragusa per l’anno 2004.

La corte d’appello di Catania, con sentenza del 16 marzo 2010, depositata il 18 marzo 2010, ha confermato la pronuncia di primo grado.

Contro la predetta sentenza propone impugnazione L.R.G. evidenziando tre motivi del ricorso:

1. Nullità della sentenza di appello per mancanza di motivazione sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato;

2. nullità della sentenza per manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione su un elemento essenziale della decisione (portata esimente della circostanza per cui fu un ausiliare del traffico ad indicare al L.R. di integrare il permesso con una annotazione manoscritta a penna);

3. nullità della sentenza per violazione di legge in relazione agli artt. 477, 482 e 42 c.p., per avere la corte ritenuto sussistente il dolo, pur in presenza dell’induzione in errore da parte di un terzo qualificato. In particolare, secondo la difesa, la corte avrebbe attribuito all’imputato la responsabilità di non aver attinto alle proprie potenzialità culturali per rendersi conto del disvalore penale dell’azione, così attribuendo a titolo di dolo ciò che invece doveva rientrare nel concetto di colpa.

Per i suddetti motivi il ricorrente chiede l’annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

Posto che il ricorso contiene quasi esclusivamente censure relative alla motivazione, va premesso che, nel controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia logica e compatibile con il senso comune;

l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev’essere, inoltre, percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze. In secondo luogo, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio di motivazione, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione anche implicita della deduzione difensiva e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (cfr. Cassazione penale, sez. 2, 05 maggio 2009, n. 24847). In più, deve ricordarsi che non sussiste mancanza o vizio della motivazione allorquando i giudici di secondo grado, in conseguenza della completezza e della correttezza dell’indagine svolta in primo grado, nonchè della corrispondente motivazione, seguano le grandi linee del discorso del primo giudice, poichè le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione (Cassazione penale, sez. 2, 15 maggio 2008, n. 19947).

Ciò premesso, molto sinteticamente si rileva, con riferimento agli asseriti vizi di motivazione – perchè altro non sono quelli evidenziati dal ricorrente nei tre motivi del ricorso, tutti attinenti all’elemento soggettivo dell’imputato ed alla sussistenza della pretesa esimente – che la sentenza della Corte di Appello di Catania (che costituisce doppia conforme), letta in sintonia ed integrata con le motivazioni di primo grado risulta motivata in modo più che sufficiente ed affronta in modo specifico, sebbene molto concisamente, proprio il problema della grossolanità e del dolo;

alla pagina tre della sentenza, infatti, la corte afferma che l’annotazione fu apposta con l’uso di caratteri che richiamavano quelli originari del documento, per cui andava esclusa la grossolanità del falso, non riconoscibile facilmente. Trattasi di valutazione di merito sottratta al controllo di legittimità, in quanto adeguatamente motivata.

Quanto all’elemento soggettivo del reato, che deve essere caratterizzato da un dolo generico, la corte non solo esclude la portata esimente del suggerimento attuato da un ausiliario del traffico (ed è ovvio che tale soggetto non ha alcun potere autorizzativo), ma espone anche qualche dubbio sulla stessa sussistenza del fatto allegato dalla difesa, il quale risulta unicamente dalla dichiarazione dell’imputato, senza che l’ausiliario del traffico sia stato individuato e quindi assunto in qualità di testimone.

Quanto, poi, alla circostanza per cui il falso sarebbe imputabile a mera leggerezza del ricorrente, che escluderebbe il dolo, si rileva che le pronunce richiamate con il terzo motivo di ricorso non sono affatto conferenti: la prima, emessa dalla sesta sezione e non dalla quinta, si riferiva ad un caso in cui il soggetto ometteva di attestare fatti relativi ad un’impresa di cui non era certa la sua conoscenza (Cassazione penale, sez. 6, 24 marzo 2009, n. 15485); nel secondo caso, in cui si escluse l’esistenza di una semplice leggerezza, (Cassazione penale, sez. 5, 15 marzo 2005, n. 15255), venne invece affermato il principio – perfettamente adattabile alla presente fattispecie – che ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo è sufficiente, proprio come affermato nella sentenza impugnata, il dolo generico, e cioè la volontarietà e la consapevolezza della falsa attestazione, mentre non è richiesto l’"animus nocendi" nè l’"animus decipiendi", con la conseguenza che il delitto sussiste non solo quando la falsità sia compiuta senza l’intenzione di nuocere ma anche quando la sua commissione sia accompagnata dalla convinzione di non produrre alcun danno. Nella terza sentenza citata (Cassazione penale, sez. 5, 13 gennaio 1999, n. 3004) si trattava del ben diverso caso di un’insegnante che aveva corretto sul proprio giornale un giudizio relativo ad uno studente, senza seguire il procedimento di correzione previsto; in tal caso la corte aveva ritenuto che il giornale del professore, la cui funzione primaria è quella di costituire un promemoria per il docente delle attività svolte nell’anno scolastico e dei processi di maturazione degli alunni, non fosse atto che si inseriva in modo essenziale nella formazione dello scrutinio e pertanto non poteva essere considerato un atto pubblico ai fini della legge penale.

Nel caso oggi in esame, invece, la condotta di alterazione fu volontaria e consapevole, senza che l’eventuale – non provato – suggerimento in tal senso di un mero ausiliario al traffico, privo di ogni potestà autorizzativa, potesse avere alcun risvolto sull’elemento soggettivo (Si veda anche la compiuta motivazione sull’elemento soggettivo contenuta nella sentenza di primo grado, pag. 7).

Per tali motivi il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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