T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 02-08-2011, n. 6910 U. S. L.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I) Con il ricorso n. 4133/1982, parte ricorrente ha esposto di aver intrattenuto (dapprima con la Provincia di Rieti; e, quindi) con la U.S.L. Rieti 1 un rapporto di lavoro in qualità di Psicologo ambulatoriale, disciplinato dall’Accordo nazionale per gli specialisti ambulatoriali del 22 dicembre 1978, rinnovato poi con D.P.R. 22 ottobre 1981.

Tale rapporto è stato poi trasferito dall’ambito di applicazione dell’Accordo Nazionale per gli specialisti ambulatoriali a quello di un Accordo regionale per gli operatori sanitari; ed è stato altresì trasformato da rapporto di lavoro a tempo indeterminato a rapporto soggetto a scadenza.

Questi i dedotti motivi di censura:

I.1) Violazione dell’art. 48 della legge 833/1987

Tale previsione di legge imporrebbe la presenza di un’unica disciplina, operante sull’intero territorio nazionale, per i rapporti di lavoro a convenzione del personale sanitario: per l’effetto assumendosi l’illegittimità di una disciplina, come nella fattispecie all’esame, dettata da un accordo regionale.

I.2) Eccesso di potere per contraddittorietà, travisamento e sviamento

In ragione della perdurante identità del rapporto intercorrente fra la U.S.L. di Rieti ed il dott. C., non sarebbe stata, poi, necessaria, la trasformazione del rapporto stesso dall’ambito di disciplina nazionale riguardante gli specialisti ambulatoriali a quello regionale concernente gli operatori sanitari.

I.3) Violazione dell’art. 48 della legge 833/1978. Eccesso di potere per contraddittorietà e sviamento sotto altro profilo. violazione e falsa applicazione dell’art. 73 del D.P.R. 761/1979.

Assume altresì il ricorrente che l’atto impugnato sia illegittimo nella parte in cui la U.S.L. ha preteso di assegnare unilateralmente un termine di scadenza al rapporto convenzionale in essere con il dott. C., trasformandolo da rapporto a tempo indeterminato a rapporto a termine.

Né troverebbe applicazione l’art. 73 del D.P.R. 761/1979, riguardante i soli rapporti convenzionali in deroga alle assunzioni in servizio effettuabili ai sensi dell’art. 9 dello stesso Decreto.

II) Il secondo degli epigrafati ricorsi (n. 171 del 1987) è rivolto avverso la deliberazione di inquadramento in ruolo nell’organico della U.S.L. Rieti 1 nella posizione funzionale di Psicologo collaboratore del ruolo sanitario in applicazione dell’art. 3 della legge 207/1985.

Assume parte ricorrente che tale atto sia illegittimo alla stregua dei motivi di seguito indicati:

II.1) Violazione dell’art. 3 delle legge 207/1985 in relazione all’art. 48 della legge 833/1978

Sostiene in primo luogo il ricorrente che l’art. 3 della legge 207/1985 escluderebbe dal relativo ambito di applicazione il personale convenzionato di cui all’art. 48 della legge 833/1978, al quale l’interessato appartiene in quanto psicologo ambulatoriale.

II.2) In subordine, violazione delle leggi 18 marzo 1968 n. 431, 21 giugno 1971 n. 515 e dell’art. 14, comma 3, della legge 207/1985.

Assume poi la parte che, in sede di immissione in ruolo, la U.S.L. resistente avrebbe dovuto equipararne il trattamento normativo ed economico a quello riconosciuto ai medici psicologi.

II.3) Eccesso di potere per violazione del principio della reformatio in pejus. Perplessità e sviamento.

Nel lamentare l’applicazione, nei propri confronti, di peggiorativi accordi nazionali di disciplina del rapporto (già censurata con il precedente ricorso n. 4133/1982), parte ricorrente contesta l’innalzamento dell’orario di lavoro settimanale da 30 a 38 ore e l’assoluta inibizione allo svolgimento di ogni attività esterna.

III) Il terzo ricorso (originariamente) proposto dal dott. C. (n. 9052/1988) è rivolto avverso il contegno omissivo osservato dalla U.S.L. Rieti 1 a fronte dell’istanza a quest’ultima rivolta dall’interessato affinché l’Amministrazione rivedesse i provvedimenti adottati (oggetto delle precedenti impugnative) e riconoscesse la natura ambulatoriale del rapporto di lavoro, con accessiva revoca dell’immissione in ruolo.

Queste le doglianze articolate con il predetto mezzo di tutela:

III.1) Violazione ed indebita applicazione dell’art. 3 della legge 207/1985 in relazione all’art. 48 della legge 833/1978

Nel ribadire quanto in precedenza esposto circa il carattere ambulatoriale del rapporto intrattenuto con la U.S.L. reatina, parte ricorrente conferma l’assunto relativo alla preclusa applicabilità della disciplina di cui alla legge 207/1985.

III.2) Eccesso di potere per perplessità e sviamento.

Contesta il dott. C. il contegno omissivo osservato dall’Amministrazione intimata a fronte dell’istanza alla medesima presentata, assumendone l’illegittimità con riferimento agli epigrafati profili inficianti.

III.3) Violazione della legge 431/1968 e dell’art. 14, comma 3, della legge 207/1985. Eccesso di potere per omessa decisione e motivazione. Sviamento

La U.S.L. di Rieti non avrebbe potuto, da ultimo, disporre l’inquadramento in ruolo del ricorrente – e, quindi, omettere di dare riscontro alla diffida successivamente formulata – senza porsi il problema della mancata equiparazione del trattamento normativo ed economico dell’interessato a quello previsto per il personale medico.

Conclude parte ricorrente insistendo per l’accoglimento delle proposte impugnative, con conseguente annullamento degli atti con esse censurati.

Si sono costituite in giudizio l’Azienda U.S.L. Rieti 1 (per i soli ricorsi nn. 4133 del 1982 e 171 del 1987) e l’Amministrazione regionale del Lazio (limitatamente al solo ricorso n. 4133/1982), entrambi contestando la fondatezza delle censure dedotte dalla parte ricorrente, con riveniente richiesta di reiezione dei gravami.

I ricorso vengono trattenuti per la decisione alla pubblica udienza del 13 luglio 2011.

Motivi della decisione

Evidenti ragioni di connessione – rilevanti sotto i profili soggettivo ed oggettivo – consentono di procedere alla riunione dei ricorsi nn. 4133 del 1982, 171 del 1987 e 9052 del 1988, originariamente proposti da C.P.M. e successivamente proseguiti, a seguito del decesso di quest’ultimo, dall’erede S.P..

I. Viene in primo luogo in considerazione – quanto sopra premesso – l’impugnativa distinta al R.G. dell’anno 1982 con il n. 4133, con la quale parte ricorrente ha contestato la legittimità della determinazione n. 429, adottata il 22 aprile 1982 dalla U.S.L. Rieti 1, riguardante la riconduzione del rapporto convenzionale già intrattenuto con il ricorrente dall’ambito di applicazione dell’Accordo Nazionale per gli specialisti ambulatoriali a quello dell’Accordo RegioneSindacato per gli operatori sanitari.

I.1 Va senz’altro disattesa, preliminarmente, l’eccezione di inammissibilità del gravame per difetto di giurisdizione dell’adito giudice amministrativo, formulata dalla difesa dell’intimata Amministrazione regionale con memoria depositata il 22 dicembre 2010.

Sussiste, infatti, la cognizione dell’organo di giustizia amministrativa in ordine alla controversia che tragga fondamento dall’impugnativa di una delibera U.S.L. diretta a trasformare un rapporto di lavoro già disciplinato da convenzioni di cui all’art. 73, del D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761 in un rapporto ricadente fra quelli regolati dagli accordi per i medici convenzionati ambulatoriali (nella specie, D.P.R. 22 ottobre 1981), in quanto l’atto impugnato costituisce manifestazione di un potere autoritativo che incide sul rapporto in corso anche se di natura convenzionale (cfr. T.A.R. Lazio, sez. I, 11 dicembre 1987 n. 1927).

Deve quindi affermarsi che, in tema di contenzioso attinente i rapporti tra le Unità sanitarie locali e i sanitari in regime di convenzionamento, ai sensi dell’art. 48 della legge 23 dicembre 1978 n. 833, e dei successivi accordi collettivi nazionali, rientrano nella cognizione di legittimità del giudice amministrativo le controversie riguardanti la fase precedente la stipula della convenzione, quale esercizio del potere discrezionale della P.A. sanitaria, cui sono collegabili posizioni di interesse legittimo dei medici aspiranti; mentre il giudice ordinario è competente a giudicare delle controversie che attengono al rapporto convenzionale instaurato e al suo svolgimento, comprese tutte le fasi dello stesso rapporto fino alla sua risoluzione (T.A.R. Lazio, sez. Ibis, 7 maggio 2003 n. 3948).

I.2) Parimenti infondata è l’eccezione di improcedibilità del gravame per acquiescenza, sollevata dalla difesa dell’Azienda U.S.L. Rieti 1 con memoria depositata il 21 giugno 2011.

Sostiene al riguardo l’Azienda che il dott. C. ha presentato domanda di immissione in ruolo ai sensi dell’art. 3 della legge 207/1985: sottolineando come l’esclusa operatività della disposizione relativamente al personale in regime di convenzionamento ex art. 48 della legge 833/1978 induce a ritenere che il ricorrente abbia, per fatti concludenti, manifestato acquiescenza nei confronti degli atti con il presente ricorso gravati.

È bene rammentare che l’acquiescenza postula, da parte del ricorrente, un comportamento chiaro ed inequivocabile, liberamente posto in essere dall’interessato, dal quale possa evincersi la sua evidente ed irrefutabile volontà di accettare gli effetti e l’operatività delle determinazioni a lui sfavorevoli, rinunciando a far valere contro di esse eventuali motivi di impugnativa (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 30 marzo 1998 n. 398 e 20 giugno 2001, n. 3259; sez. IV, 7 giugno 2004 n. 3617).

Orbene, il complesso di vicende che ha dato luogo all’odierno contenzioso consente, con evidente chiarezza, di escludere che il dott. C. abbia prestato acquiescenza ai provvedimenti oggetto del presente gravame.

L’interessato ha, infatti, successivamente impugnato il silenzio serbato dalla stessa U.S.L. reatina a fronte della richiesta di revoca della delibera n. 2085/1985, con la quale era stata disposta la sua immissione in ruolo nella posizione funzionale di Psicologo collaboratore ai sensi della legge 207/1985, e di riconoscimento della natura ambulatoriale del rapporto di lavoro, con riveniente applicazione degli accordi stipulati in base all’art. 48 della legge 833/1978.

Inoltre, lo stesso ricorrente, nell’atto di diffida e costituzione in mora notificato alla U.S.L. Rieti 1 il 16 luglio 1988 (a fronte della mancata risposta al quale parte ricorrente ha proposto il suindicato ricorso n. 9052/1988), il dott. C., nel dare atto di aver presentato istanza di immissione in ruolo ai sensi dell’art. 3 della legge 207/1985, nondimeno sottolinea di aver formulato siffatta richiesta "nell’erronea opinione che la legge n. 207/1985 potesse a me applicarsi", laddove, "per contro, la predetta legge… esclude espressamente all’art. 3 l’immissione in ruolo per il personale convenzionato ai sensi dell’art. 48 della legge n. 833/1978".

Tali evidenze, unitamente alla ribadita richiesta, ad opera del ricorrente, di revocare l’immissione in ruolo (con riveniente prosecuzione del rapporto convenzionale ex art. 48 legge 833/1978), rende palese che, da parte del dott. C., non sia mai stata manifestata alcuna volontà abdicativa, quantunque espressa per facta concludentia, in ordine alla pretesa di prosecuzione nel rapporto convenzionale in precedenza intrattenuto con la U.S.L. reatina: per l’effetto dovendo con ogni evidenza escludersi la formazione (ed il consolidamento) di un comportamento acquiescente suscettibile di reagire sulla perdurante procedibilità del gravame.

I.3) Sgombrato il terreno dalle eccezioni in rito, il gravame si dimostra nondimeno infondato.

Il comma 1 dell’art. 48 della legge 23 dicembre 1978 n. 833 ha infatti previsto che "l’uniformità del trattamento economico e normativo del personale sanitario a rapporto convenzionale è garantita sull’intero territorio nazionale da convenzioni, aventi durata triennale, del tutto conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati tra il Governo, le regioni e l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative in campo nazionale di ciascuna categoria".

Va ulteriormente osservato come, in base a quanto previsto dall’art. 73, comma 1, del D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, "in deroga a quanto previsto dall’art. 9 e limitatamente ad un triennio dall’applicazione del presente decreto, i comitati di gestione delle unità sanitarie locali possono confermare i rapporti convenzionali già instaurati tra comuni, province e loro consorzi ed enti ospedalieri con operatori esplicanti attività in servizi sanitari, ivi compresi i rapporti con i veterinari coadiutori".

La deliberazione avversata ha dato, ad avviso del Collegio, corretta applicazione al quadro normativo di riferimento, atteso che il rapporto convenzionale (già) intrattenuto con il dott. C. è stato prorogato (sia pure per sei mesi rinnovabili per eguale periodo, in mancanza di disdetta) fino allo spirare dell’arco temporale massimo previsto dalla disposizione da ultimo riportata (30 settembre 1983).

Le doglianze in proposito svolte dal ricorrente non meritano accoglimento, atteso che la lamentata temporizzazione del rapporto (secondo le modalità sopra indicate) è conforme alla indicata disciplina di transitorio mantenimento dei convenzionamenti in essere.

Né la rinnovabilità semestrale rivela ex se profili di lesività, se non nella misura in cui l’eventuale formulazione di una disdetta ante tempus (e, quindi, prima della scadenza del triennio di legge, peraltro successivamente prorogato ex artt. 2 del decreto legge 29 dicembre 1983 n. 747, 1 del decreto legge 13 agosto 1984 n. 465 ed 1 del decreto legge 16 ottobre 1984 n. 672) possa aver comportato (evenienza, questa, non occorsa quanto al caso di specie) una arbitraria limitazione del rapporto convenzionale confermato.

I.4) Né, sotto diverso profilo, la gravata deliberazione n. 429 del 1982 rivela elementi di illegittimità, in quanto attraverso di essa è stata data corretta (quanto necessaria) applicazione all’accordo fra la Regione Lazio e le Organizzazioni sindacali (comunicato con nota del 24 marzo 1981 e recepito, poi, con deliberato del Comitato di Gestione n. 1321 del 29 dicembre 1981), in base al quale è stata prevista la corresponsione, in favore del personale operante con rapporto a convenzione, un’erogazione economica in conformità della corrispondenti qualifiche previste dall’accordo nazionale unico per il personale ospedaliero, ad eccezione del personale medico per il quale trovassero applicazione le convenzioni uniche nazionali.

Nell’osservare come sulla base dell’accordo anzidetto, il massimale orario delle prestazioni settimanali risultasse fissato in 40 ore (superiore, quindi, alla rimodulazione dell’orario operata nei confronti del dott. C., in misura pari a 38 ore), la contestata legittimità dell’affermata reformatio in pejus del trattamento giuridico ed economico si dimostra affidata a mere asserzioni (fondate sulla sostenuta intangibilità del previgente assetto convenzionale), che non trovano positivo fondamento normativo nelle (pur) evocate previsioni di cui all’art. 48 della legge 833/1978.

Piuttosto, la lamentata riconduzione del rapporto di lavoro già dal dott. C. intrattenuto con la U.S.L. di Rieti nell’ambito dispositivo dell’accordo regionale si rivela rispondente alla ratio della regionalizzazione dell’assistenza sanitaria (insita nella riforma realizzata nel 1978): a fronte della quale, ed in assenza di dimostrate emersioni inficianti, del tutto legittima si rivela;

– non soltanto l’intervenuta regolazione dei rapporti (nell’ambito di prorogata vigenza degli stessi ai sensi del citato art. 79 del D.P.R. 761/1979) a mezzo di disciplina convenzionalmente definita in ambito regionale

– ma, vieppiù, il recepimento operato dalla U.S.L. resistente della deliberazione regionale n. 1231 del 29 dicembre 1981.

II) Se la prima delle impugnative come sopra riunite non rivela profili di accoglibilità – imponendosi, per l’effetto, la reiezione di tale mezzo di tutela – parimenti sfornite di giuridica fondatezza si dimostrano le doglianze dedotte con il ricorso n. 171 del 1988, con il quale il dott. C. ha contestato la legittimità del provvedimento con il quale:

– sul presupposto della nomina in ruolo del ricorrente nella posizione funzionale di psicologo collaboratore ai sensi dell’art. 3 della legge 207/1985;

– è stato al medesimo imposto l’obbligo di adempiere a tutti gli obblighi rivenienti da costituito rapporto di impiego, ivi compreso quello relativo all’osservanza dell’orario settimanale di lavoro pari ad ore 38.

II.1) La prima delle censure articolate dalla parte ricorrente è manifestamente infondata.

Tale doglianza, infatti, muove dall’assunto che l’inquadramento di che trattasi è incompatibile con la persistenza del regime di convenzionamento, atteso che lo stesso art. 3 della legge 207/1985 espressamente prevede che è inquadrato a domanda… nei ruoli nominativi regionali con la posizione funzionale iniziale, con esclusione di ogni riconoscimento di anzianità… il personale… che, a seguito di deliberazione regolarmente esecutiva, alla data del 31 dicembre 1983 era in servizio non di ruolo, compreso quello con rapporto convenzionale anche ai sensi dell’articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761, escluso il personale convenzionato di cui all’articolo 48 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e continui a prestare servizio alla data di entrata in vigore della presente legge presso strutture, presìdi e servizi delle unità sanitarie locali con l’osservanza di un orario di servizio non inferiore a ventotto ore settimanali".

Come precedentemente posto in evidenza, l’inquadramento de quo è stato disposto a fronte di omogenea istanza presentata dal ricorrente stesso: rientrando la posizione ravvisabile in capo al dott. C. nell’ambito di operatività della previsione normativa precedentemente riportata, avuto riguardo al contenuto del rapporto dal medesimo intrattenuto con la U.S.L. intimata ai sensi del già citato art. 73 del D.P.R. 761/1979.

II.2) Il secondo motivo di ricorso concerne la mancata equiparazione, sotto il profilo normativo ed economico, al personale medico in regime di tempo pieno o tempo definito.

Anche tale doglianza è incondivisibile.

II.2.1) Va senz’altro sottolineato, in proposito, che – come già affermato in giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. V, 19 febbraio 1996 n. 204, 25 settembre 1995 n. 1348 e 10 settembre 1993 n. 877), gli psicologi non sono stati equiparati al personale medico, sulla base delle norme invocate dal ricorrente.

Per quanto riguarda la legge 18 marzo 1968 n. 431 (recante disposizioni per l’assistenza psichiatrica), essa ha previsto:

– agli artt. 2 e 3, che in ogni ospedale ed in ogni centro di servizio di igiene mentale sono formate èquipes di sanitari con la partecipazione di un medico psichiatra e di uno psicologo;

– all’art. 5, che con decreto interministeriale sarebbero stati determinati gli stipendi per il personale addetto al settore.

Il successivo decreto interministeriale del 6 dicembre 1968 ha determinato lo stipendio base pensionabile del "personale medico di ruolo", tra cui figuravano anche gli psicologi accanto ai medici psichiatri, nei livelli di primario e di aiuto.

Con la successiva legge 21 giugno 1971 n. 515:

– è stata attribuita ai medici ed agli psicologi (degli ospedali psichiatrici e dei centri o dei servizi di igiene mentale) una indennità non pensionabile, al fine di equiparare il loro trattamento economico a quello spettante ai medici ospedalieri;

– si è prevista, all’art. 4 l’estensione delle sue disposizioni, e della legge n. 431 del 18 marzo 1968 agli "istituti medico psicopedagogici dipendenti dalle Province, esistenti alla data del 18 marzo 1968".

Emerge pertanto che:

– la legge 431/1968 ed il relativo decreto interministeriale di esecuzione hanno limitato l’assimilazione tra i medici psichiatri e gli psicologi al solo trattamento economico, e non anche allo stato giuridico;

– la legge n. 515/1971 ha attribuito sia ai medici psichiatri che agli psicologi una indennità non pensionabile, al fine di equiparare il loro trattamento economico a quello spettante ai medici ospedalieri.

L’equiparazione prevista dalla legge n. 515/1971 aveva però carattere meramente provvisorio, dal momento che dalla stessa legge era stata disposta "fino all’entrata in vigore della riforma sanitaria relativamente all’ordinamento dell’assistenza psichiatrica"; mentre il suo carattere provvisorio è stato, poi, ribadito dall’art. 25 dell’accordo approvato col D.P.R. 1° giugno 1979, che ha mantenuto l’equiparazione, sotto il profilo economico, al personale ospedaliero "in via provvisoria e in attesa dell’applicazione della legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale".

Con l’entrata in vigore della legge n. 833/1978, la posizione dei medici è stata nettamente separata da quella degli psicologi, per i quali sono state previste distinte prove di esame per l’ammissione in carriera (sulla base di diversi criteri di valutazione dei titoli), oltre l’inserimento in diverse tabelle.

In attuazione del principio di omogeneizzazione delle posizioni giuridiche ed economiche del personale (sancito dall’art. 4 della legge 29 marzo 1983 n. 93), la figura professionale dello psicologo è stata disciplinata dagli artt. 16, 17 e 18 del D.P.R. 7 settembre 1984 n. 891, che ha determinato le attribuzioni del personale "non medico" delle U.S.L.

L’equiparazione neppure è stata disposta dalla norma transitoria contenuta nell’art. 64 del D.P.R. 761/1979: il quale, per l’inquadramento del personale proveniente da Enti o Amministrazioni le cui funzioni siano trasferite alle U.S.L., ha attribuito rilevanza (così come l’art. 69, comma 4, della legge 833/1978) alla "posizione giuridica e funzionale corrispondente a quella ricoperta nell’Ente di provenienza", secondo le tabelle di equiparazione di cui all’art. 47 terzo comma n. 3.

Queste tabelle sono contenute nel medesimo D.P.R. 761/1979 ed hanno previsto una specifica collocazione (distinta da quella dei medici) per tutto il personale avente qualifica di psicologo.

La diversità della collocazione ha indotto la successiva giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 ottobre 1987 n. 633) a ritenere ormai superata l’equiparazione, disposta per il profilo economico dalle leggi n. 431 del 1968 e n. 515 del 1971, tra gli "psicologi psichiatri" ed il personale medico.

L’art. 14, comma 3, della legge 20 maggio 1985 n. 207, ha inteso salvaguardare le posizioni dei soli "psicologi psichiatri", evitando che questi subissero una reformatio in pejus, a seguito del venire meno dell’equiparazione al personale medico.

Infatti, il legislatore ha inteso attribuire (con una norma di natura interpretativa, che ha fugato i dubbi formulati in giurisprudenza: cfr. Cons. Stato, sez. V, 5 settembre 1995 n. 1273) un particolare beneficio ad una determinata categoria di personale, che già in precedenza aveva ottenuto l’equiparazione (poi venuta meno col D.P.R. 761/1979) al personale medico, per lo svolgimento di funzioni psicoterapiche presso ospedali psichiatrici o presso servizi o centri di igiene mentale (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 giugno 1990 n. 526 e 21 dicembre 1989 n. 850).

Il citato comma 3 dell’art. 14, non ha invece eliminato le differenze esistenti tra le posizioni dei medici e quelli degli psicologi.

Ciò comporta che tale norma non può trovare applicazione nei confronti del ricorrente, dal momento che quest’ultimo non ha ottenuto dalla Provincia di Rieti (e, quindi, dalla U.S.L. 1 dello stesso capoluogo sabino, quali Amministrazioni di provenienza) un trattamento giuridico economico equiparato a quello spettante al personale medico, in quanto non rientrante nella categoria degli psicologi psichiatrici, pur svolgendo il lavoro presso una delle istituzioni sanitarie indicate nelle menzionate leggi 431/1968 e 515/1971.

II.2.2) Anche la giurisprudenza formatasi in ordine al quadro normativo sopra illustrato conferma le conclusioni parimenti esposte.

Infatti, ai sensi dell’art. 14, comma 3, della legge 20 maggio 1985 n. 207, l’equiparazione degli psicologici ai medici psichiatri si riferisce esclusivamente agli psicologi operanti a suo tempo negli ospedali psichiatrici e nei centri d’igiene mentale, in virtù della legge 18 marzo 1968 n. 431 e della legge 21 giugno 1971 n. 515, le quali già avevano sancito tale equiparazione, la cui rilevanza è comunque delimitata al primo inquadramento nei ruoli nominativi regionali e, quindi deve sussistere al momento dell’entrata in vigore del D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761.

Pertanto, la funzione dell’art. 14 della citata legge 207/1985, è di chiarire che siffatta equiparazione, precedentemente affermata dalla legge, continua ad operare anche nel nuovo ordinamento del S.S.N. soltanto in via transitoria e senza possibilità d’estensione al personale assunto dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 761/1979, indipendentemente dallo svolgimento di attività psicoterapeutiche e senza che ciò implichi qualsivoglia disparità di trattamento del personale in questione, a seconda della data della sua assunzione, appunto perché tale discrimine temporale ha determinato la netta differenziazione tra la professione di medico e quella di psicologo (Cons. Stato, sez. V, 19 luglio 2005 n. 3820)

In altri termini, l’art. 14, comma 3, della legge 207/1985, ha natura interpretativa e transitoria, nel senso che l’equiparazione agli psichiatri degli psicologi psichiatrici dipendenti dalle U.S.L., ai fini dello svolgimento delle funzioni psicoterapiche presso ospedali psichiatrici o servizi e centri di igiene mentale, spetta soltanto a coloro che alla data di entrata in vigore del D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, avessero già acquisito il diritto a tale equiparazione sulla base della previgente legislazione (Cons. Stato, sez. V, 27 marzo 2000 n. 1764).

II.3) Se, per effetto di quanto sopra rappresentato – ed in assenza degli indicati presupposti per fruire della sollecitata equiparazione al personale medico – la pretesa dedotta dal dott. C. non rivela profili di apprezzabilità, va ulteriormente disatteso l’argomento con il quale il ricorrente lamenta – nel quadro di una generalizzata, quanto indimostrata, reformatio in pejus del trattamento dal medesimo precedentemente fruito nell’ambito del già intrattenuto rapporto convenzionale – la maggiorazione della durata dell’orario di lavoro, nonché l’imposizione del divieto allo svolgimento di attività esterna.

Ora, impregiudicato il fatto che, come nello stesso atto introduttivo sottolineato, "tale preclusione di attività esterna non è mai stata applicata nei… confronti" del dott. C., le conseguenze asseritamente peggiorative che il ricorrente ha lamentato rivelano carattere meramente conseguenziale rispetto all’inquadramento in ruolo, ai sensi del citato art. 3 della legge 207/1985, dallo stesso dott. C. richiesto con apposita istanza.

Deve quindi escludersi – oltre che sul fondamento del manifestato consenso all’inquadramento di che trattasi, anche in ragione della necessariamente integrale applicazione del trattamento normativo ed economico previsto per il personale di ruolo – l’accoglibilità di una pretesa volta al mantenimento di singoli profili di trattamento normativo ed economico pertinenti al pregresso rapporto di convenzionamento.

III) Se il secondo dei riuniti ricorsi non dimostra profili di accoglibilità – imponendosi, per l’effetto, la reiezione dell’impugnativa n. 171 del 1987 – l’ultimo dei gravami all’esame (distinto al R.G. dell’anno 1988 con il n. 9052) si rivela inammissibile.

Con tale mezzo di tutela, si duole il ricorrente del contegno omissivo osservato dall’intimata U.S.L. Rieti 1 a fronte dell’istanza (e della successiva notificazione di atto di diffida e messa in mora) volta a sollecitare l’esercizio del potere di autotutela con riferimento del disposto inquadramento in ruolo ex art. 3 della legge 207/1985, con riveniente "reintegrazione" della disciplina convenzionale del rapporto dal medesimo intrattenuto.

Un consolidato insegnamento giurisprudenziale ha ripetutamente sottolineato (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 11 febbraio 2011 n. 919 e 6 luglio 2010 n. 4308) che l’Amministrazione non ha l’obbligo, bensì il potere discrezionale, di agire in autotutela: con la conseguenza che le istanze volte a sollecitare l’esercizio di tale potere hanno una funzione di mera denuncia o sollecitazione, ma non creano in capo alla P.A. alcun obbligo di provvedere e non danno, conseguentemente, luogo alla formazione di silenzioinadempimento in caso di mancata definizione dell’istanza stessa.

Se, dunque, non sussiste alcun obbligo per l’Amministrazione di pronunciarsi su un’istanza volta ad ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile ab extra l’attivazione del procedimento di riesame della legittimità dell’atto amministrativo mediante l’istituto del silenziorifiuto (Cons. Stato, sez. V, 1° marzo 2010 n. 1156), l’esclusione di tale obbligo trova elementi di rafforzata persuasività laddove si consideri che, attraverso la consentita percorribilità di detta via verrebbe a "ratificarsi" una sostanziale elusione del termine perentorio per la proposizione del ricorso giurisdizionale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24 maggio 2010 n. 3270).

Tali considerazioni – che integrano il precipitato logicoassertivo di un consolidatissimo convincimento giurisprudenziale dal quale il Collegio non intende discostarsi – impongono la declaratoria di inammissibilità del ricorso all’esame.

IV) Quanto sopra ribadito, dispone conclusivamente il Collegio il rigetto dei riuniti ricorsi.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) preliminarmente riuniti i ricorsi nn. 4133 del 1982, 171 del 1987 e 9052 del 1988, originariamente proposti da C.P.M. e successivamente proseguiti da S.P., così dispone:

– respinge le impugnative nn. 4133 del 1982 e 171 del 1987;

– dichiara inammissibile il ricorso n. 9052 del 1988.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio:

– in favore della U.S.L. Rieti 1 (costituitasi per i ricorsi nn. 4133 del 1982 e 171 del 1987), per complessivi Euro 1.000,00 (euro mille/00);

– in favore della Regione Lazio (costituitasi per il solo ricorso n. 4133 del 1982), in ragione di Euro 500,00 (euro cinquecento/00).

Dispone non procedersi a liquidazione delle spese limitatamente al solo ricorso n. 9052 del 1988, in ragione della mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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