T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 02-08-2011, n. 6908 Agenti di custodia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso in epigrafe l’istante espone di aver presentato domanda di arruolamento nel Corpo degli agenti di custodia e di essere stato sottoposto alle prescritte prove psicoattitudinali, risultandone idoneo.

L’amministrazione ha poi però respinto la domanda, nel rilievo della sussistenza a carico dell’interessato di pregiudizi penali.

Avverso tale determinazione l’istante ha dedotto i seguenti motivi di gravame:

1) Violazione ed erronea applicazione dell’art. 26, l. 1° febbraio 1989, n. 53, in relazione all’art. 124 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, nonché alla l. 29 ottobre 1984, n. 732. Eccesso di potere per erronea presupposizione, illogicità, difetto di motivazione, carente istruttoria e manifesta ingiustizia. Sviamento.

Il provvedimento impugnato è illegittimo anzitutto in quanto sul primo contesto (rissa) il Ministero ha omesso di considerare l’intervenuta archiviazione del relativo procedimento penale, ad esso tempestivamente comunicato dalla Procura della Repubblica di Lucera. Ciò ha comportato sul punto la violazione dei principi di imparzialità, trasparenza e correttezza dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 cost. ed alla l. n. 241 del 1990. D’altro canto, in concreto, la rissa è consistita in un banale litigio per futili motivi intercorso tra i componenti di due famiglie, successivamente rappacificatesi, tanto da aver indotto il p.m. a derubricare il reato a lesioni personali e ingiuria, perseguibili solo a querela di parte, non presentata;

2) Violazione, sotto altri profili, delle norme indicate nel motivo sub 1. Eccesso di potere per erronea presupposizione, illogicità, carente istruttoria, difetto di motivazione e manifesta ingiustizia. Sviamento.

Il provvedimento impugnato è illegittimo anche quanto al secondo contesto (guida di trattore agricolo senza patente), il quale si è concluso con sentenza istruttoria di proscioglimento per concessione di perdono giudiziale. Tale conclusione del procedimento penale avrebbe dovuto indurre l’amministrazione a ritenere il fatto non ostativo ai fini della costituzione del pubblico impiego, anche in considerazione delle finalità del beneficio, che mira a favorire il reinserimento del minore nella società civile e ad eliminare le conseguenze del reato suscettibili di impedire o intralciare le sue possibilità lavorative. In ogni caso, secondo i principi, al diniego di immissione in ruolo essa sarebbe potuta pervenire solo previamente instaurando regolare contraddittorio con l’interessato e motivando adeguatamente la determinazione assunta. Nella specie, invece, il Ministero si è limitato ad invocare la preesistenza di "pregiudizi penali", senza procedere ad autonomo apprezzamento dei fatti a loro base, nonché delle circostanze subiettive ed oggettive rilevanti ai fini di una valutazione complessiva della personalità e del comportamento dell’istante.

Egli ha quindi concluso per l’annullamento, previa sospensiva, del provvedimento impugnato, unitamente agli atti ad esso presupposti, connessi e conseguenti e con ogni altro effetto di legge anche in ordine alle spese, diritti ed onorari di giudizio.

Per il Ministero intimato si è costituita l’Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso.

Nella Camera di Consiglio del 6 ottobre 1993 la domanda cautelare è stata accolta.

Alla udienza dell’8 giugno 2011 il ricorso è stato ritenuto in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso merita accoglimento.

Invero, secondo l’ormai costante indirizzo interpretativo seguito dalla giurisprudenza, l’esistenza di pregiudizi penali non costituisce di per sé elemento automaticamente preclusivo ai fini dell’assunzione ad un pubblico impiego. È invece necessario che in ordine ai fatti a base di detti pregiudizi l’amministrazione svolga comunque adeguati approfondimenti e compia proprie autonome valutazioni, onde verificare il possesso o meno nell’interessato dei requisiti idoneativi e morali richiesti. Di tali operazioni e delle conclusioni raggiunte essa deve, poi, fornire puntuale motivazione.

Tale orientamento ha tratto in particolare fondamento dalle affermazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale 14 ottobre 1988, n. 971, la quale, in riferimento ai rapporti di pubblico impiego già in corso, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 85 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, là dove, in presenza di condanne penali a carico del pubblico dipendente, non prevedeva, in luogo del provvedimento di destituzione di diritto, l’apertura e lo svolgimento del procedimento disciplinare. Al riguardo la Corte ha in specie osservato come l’ordinamento appaia orientato verso la esclusione di sanzioni rigide, avulse da un confacente rapporto di adeguatezza col caso concreto, avendo specialmente riguardo all’area punitiva penale.

Se dunque – si è argomentato – l’automaticità degli effetti del pregiudizio penale non vale per i rapporti di pubblico impiego in corso, esso non può neppure valere per quelli in via di formazione, per i quali, in virtù dell’eadem ratio, va dunque parimenti negato alcun vincolo di assoluta rigidità (v. Cons. di Stato, IV, 20 gennaio 2006, n. 130; Cons. di Stato, VI, 27 dicembre 2000, n. 6883; T.a.r. Calabria, sez. Reggio Calabria, 22 agosto 2008, n. 446; T.a.r. Toscana, II, 11 giugno 1998, n. 542).

Alla luce di tali principi già emerge l’illegittimità del provvedimento impugnato, il quale ha sancito il diniego di arruolamento puramente e semplicemente in considerazione della esistenza di "pregiudizi penali" riguardanti il ricorrente, senza alcuna autonoma valutazione degli stessi.

D’altro canto l’illegittimità del provvedimento impugnato emerge ulteriormente per errato o inadeguato richiamo di tale "pregiudizi".

Intanto, errata risulta l’ascrizione del primo fatto all’art. 588 cod. pen. (rissa), laddove l’istante aveva visto tale originaria ipotesi derubricata alle fattispecie di cui agli artt. 582 (lesioni personali) e 594 (ingiuria), perseguibili soltanto a querela di parte, giungendo ad ottenere il proscioglimento per remissione della querela presentata. Dell’esito del giudizio penale l’amministrazione era stata regolarmente informata con nota della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lucera del 17 aprile 1993, a riscontro di sua richiesta di notizie giusta fono di pari data, onde appare del tutto ingiustificabile la connotazione giuridica del contesto de quo espresso nel provvedimento impugnato.

In disparte tale profilo, resta poi comunque, per le ragioni innanzi dette, l’illegittimità del provvedimento, stante la mancanza di alcuna valutazione circa i fatti a base del contesto.

Del pari censurabile è poi il richiamo dell’altro fatto ascritto al ricorrente, mediante la semplice citazione della violazione dell’art. 79, comma 1 del codice della strada.

Anche a tal riguardo l’amministrazione ha trascurato di considerare tutte le vicende inerenti detto fatto, svoltesi negli anni 19861988 e, dunque, ben antecedentemente al provvedimento impugnato. In corrispondenza infatti di un reato di particolare tenuità (guida del trattore del padre senza patente) avvenuto in stato di minore età, il Tribunale dei minorenni di Bari ha, con sentenza 17/24 febbraio 1988 dichiarato di non doversi procedere nei confronti dell’interessato per applicazione del perdono giudiziale. A tanto il tribunale è pervenuto osservando come "…la natura e le modalità esecutive, la lieve gravità del danno arrecato dal reato, i buoni precedenti e tutte le altre circostanze di cui all’art. 133 del c.p., oltre al comportamento processuale dell’imputato, inducono a presumere che il minore si asterrà dal commettere ulteriori reati…". Trattasi dunque di affermazioni che, in sede di assunzione del provvedimento impugnato, avrebbero dovuto essere attentamente ponderate dall’amministrazione, incidendo direttamente sul giudizio prognostico inerente i requisiti idoneativi e morali del ricorrente.

Il ricorso va dunque accolto.

Sussistono nondimeno giustificate ragioni, in relazione all’evoluzione della giurisprudenza in materia consolidatasi soltanto in tempi relativamente recenti, per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Dispone l’integrale compensazione fra le parti delle spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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