Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 08-06-2011) 25-07-2011, n. 29603 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 20 aprile 2010, la Corte d’Appello di Milano confermava la pronuncia con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, il G.I.P. del Tribunale di quella città aveva condannato S.D. per i reati di cui agli artt. 609bis, 609ter, 613 e 527 c.p. concretatisi nella costrizione al compimento di atti sessuali di due donne attirate presso la sua abitazione, in diverse occasioni, con il pretesto di un colloquio di lavoro e poste in condizioni di incapacità mediante somministrazione di un caffè mescolato con narcotici.

Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva il vizio di motivazione e la violazione di legge rilevando, con riferimento alla violenza sessuale consumata in danno di M.E., che la Corte territoriale ne aveva ritenuto la piena attendibilità nonostante la presenza di numerose imprecisioni e contraddizioni che caratterizzavano il suo racconto.

Aggiungeva che le affermazioni della predetta erano smentite dall’esito di tabulati telefonici e dalla certificata sua presenza sul luogo di lavoro al momento del fatto, nonchè dalla inverosimiglianza della affermazione circa successivi contatti intervenuti con il ricorrente dopo la violenza, incompatibile con lo stato di vergogna che avrebbe determinato il ritardo nella presentazione della querela e che tutto ciò evidenziava la manifesta illogicità della motivazione.

Asseriva che, avendo ammesso le proprie responsabilità per l’altro episodio di violenza contestatogli, appariva difficile comprendere per quale motivo avrebbe negato il secondo evento compromettendo una più favorevole valutazione della propria condotta.

Osservava poi che la condotta collocata nella fattispecie di cui all’art. 613 c.p. doveva essere diversamente qualificata, in quanto la somministrazione del narcotico avrebbe indotto nelle persone offese uno stato di semplice indebolimento delle facoltà e doveva ritenersi assorbita nel capo 1 della rubrica quale circostanza aggravante di cui all’art. 609ter c.p., n. 2.

Rilevava, infine, che il giudizio di credibilità della M. doveva tener conto anche del poco verosimile episodio di cui al capo 3 della rubrica e concernente la consumazione di atti sessuali in pieno giorno in luogo abitato e frequentato.

Con un secondo motivo di ricorso lamentava il vizio di motivazione e la violazione di legge con riferimento al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, non avendo la Corte d’Appello considerato l’evidente disagio psichico che connotava le sue azioni ed il corretto comportamento processuale.

Con un terzo motivo di ricorso deduceva il vizio di motivazione e la violazione di legge in merito all’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata che la Corte territoriale confermava senza tener conto della possibilità di affidarsi al percorso riabilitativo carcerario.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è in parte fondato.

Occorre rilevare, con riferimento al primo motivo di ricorso che la Corte territoriale ha operato una accurata analisi della decisione di primo grado, i cui elementi essenziali sono stati ampiamente riassunti in motivazione, fornendo adeguata risposta alle doglianze mosse con l’atto di appello.

In particolare, la credibilità della persona offesa M. E. è stata attentamente vagliata, pervenendo ad un giudizio positivo sulla scorta di plurimi elementi, quali la descrizione delle modalità di approccio tipiche del ricorrente, la descrizione dello stesso, della sua auto e dell’abitazione anche nei particolari, nonchè dell’esito dell’esame dei tabulati telefonici, i quali dimostravano i contatti con la predetta che il ricorrente aveva negato di aver mai visto o incontrato.

La imponenza di tali dati induceva peraltro la Corte d’Appello, che escludeva anche la presenza di dati sintomatici di eventuali intenti ritorsivi o calunniatori, a ritenere non indicativa di mendacio la difficoltà nell’individuare una precisa collocazione temporale dell’episodio e la mancanza di reazione o di maggiore tempestività nella presentazione dell’istanza di punizione, pienamente giustificate dalla vergogna e dal timore.

Si tratta di valutazioni del tutto coerenti e prive di cedimenti logici che non vengono minimamente intaccate dalle argomentazioni poste a sostegno del ricorso e non presentano alcun profilo di illegittimità.

Va poi rilevato che i dati fattuali riportati in ricorso, peraltro con generica indicazione, non possono essere apprezzati in questa sede di legittimità e sono peraltro smentiti dai puntuali riferimenti contenuti nel testo della sentenza impugnata.

La sentenza impugnata appare immune da censure anche per quanto riguarda la negata concessione delle attenuanti generiche ed il ritenuto fallimento del percorso riabilitativo effettuato dal ricorrente, con conseguente conferma della misura di sicurezza applicata.

Invero, la Corte d’Appello ha chiaramente definito il ricorrente come "violentatore seriale", dando atto della circostanza che lo stesso era stato già condannato, in un precedente procedimento, per fatti analoghi commessi, tra il (OMISSIS), nei confronti di altre otto donne cui aveva somministrato, prima di abusarne sessualmente, una sostanza narcotica.

Veniva anche preso in considerazione il comportamento processuale, osservando come la confessione resa fosse del tutto parziale e la versione dei fatti, tesa a sminuirne la portata e la gravità, apertamente smentita da precise risultanze processuali.

La condotta concretamente posta in essere e l’assenza di specifiche patologie tali da incidere sulla capacità di intendere e di volere risultano oggetto di accurata valutazione.

Anche sotto tale profilo, pertanto, la sentenza impugnata appare del tutto priva di contraddizioni e salti logici e supera agevolmente il vaglio di legittimità.

Non appare invece condivisibile la riconosciuta applicabilità, nella fattispecie, dell’art. 613 c.p..

La disposizione menzionata sanziona, infatti, la condotta di chi, anche mediante somministrazione di sostanze alcooliche o stupefacenti, o con qualsiasi altro mezzo, pone una persona, senza il suo consenso, in stato d’incapacità d’intendere o di volere, mentre l’aggravante di cui all’art. 609ter, primo 1, n. 2 trova applicazione nel caso in cui i fatti di cui all’art. 609 bis siano commessi con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa.

Dal tenore letterale delle disposizioni richiamate ed avuto riguardo ai fatti oggetto di contestazione, emerge chiaramente che le stesse risultano tra loro sovrapponibili, con la conseguenza che, limitatamente al reato di cui all’art. 613 c.p., la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio e la pena rideterminata nei termini indicati in dispositivo tenendo conto del calcolo effettuato dal giudice di prime cure.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente ai reati di cui al capo 2 ed al capo 5 (art. 613 c.p.) perchè assorbiti, rispettivamente, in quelli di cui al capo 1 e al capo 4. Rigetta nel resto il ricorso. Ridetermina la pena complessiva in anni 8 e mesi 10 di reclusione.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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