T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. II, Sent., 02-08-2011, n. 859 Dichiarazione di pubblica utilità Espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Col ricorso in esame si avanzano le richieste indicate in epigrafe, rappresentando quanto segue.

I ricorrenti sono proprietari di terreni siti nel comune di Bosa che sono stati oggetto di procedura espropriativa in quanto necessari per la realizzazione di due interventi di infrastrutturazione per la nautica da diporto.

A seguito del decreto di occupazione d’urgenza n. 1/2003 del 21 maggio 2003, in data 30 giugno 2003 è avvenuta l’immissione in possesso dell’amministrazione comunale dei beni in questione.

Sostengono i ricorrenti che, a seguito della mancata adozione del decreto di esproprio definitivo, conseguirebbe l’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità e risulterebbe conseguentemente illegittima l’occupazione dei terreni in questione da parte dell’amministrazione comunale.

I ricorrenti chiedono pertanto la condanna dell’amministrazione comunale resistente al risarcimento del danno pari al valore venale del bene, oltre interessi e rivalutazione; nonché la condanna della medesima amministrazione al pagamento dell’indennità dovuta per l’occupazione d’urgenza, oltre interessi e rivalutazione.

Concludono per l’accoglimento del ricorso.

A seguito della rinuncia al mandato degli originari difensori, i ricorrenti si sono costituiti in giudizio col patrocinio di un nuovo difensore.

Con successive memorie i ricorrenti hanno approfondito le proprie argomentazioni, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

A seguito di ordinanza istruttoria n. 88 del 17 novembre 2010, è stata acquisita agli atti del giudizio la necessaria documentazione.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale intimata, sostenendo l’inammissibilità e l’infondatezza nel merito del ricorso, di cui si chiede il rigetto.

Alla pubblica udienza del 18 maggio 2011, la Difesa di parte ricorrente si è opposta all’acquisizione agli atti del giudizio della memoria e dei documenti tardivamente prodotti dall’amministrazione comunale resistente.

Alla medesima pubblica udienza, su richiesta delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Col ricorso in esame si chiede la condanna dell’amministrazione comunale intimata al risarcimento del danno, conseguente la procedura espropriativa non compiuta nei termini di legge, oltre la somma dovuta per l’occupazione d’urgenza, comprensive di rivalutazione e interessi.

Considerato che, alla pubblica udienza del 18 maggio 2011, la Difesa di parte ricorrente si è opposta all’acquisizione agli atti del giudizio della memoria e dei documenti tardivamente prodotti dall’amministrazione comunale resistente, deve essere preliminarmente esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla domanda di risarcimento del danno avanzata dai ricorrenti, eccezione sollevata dalla difesa dell’amministrazione comunale in sede di discussione alla medesima pubblica udienza.

L’eccezione deve essere disattesa.

Il problema del riparto della giurisdizione in materia, tra giudice ordinario e giudice amministrativo, è stato risolto dalla Corte costituzionale che, con la sentenza 11 maggio 2006 n. 191, ha statuito che rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a "comportamenti" (di impossessamento del bene altrui) collegati all’esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, mentre rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative a quei "comportamenti" posti in essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto.

Il caso di specie rientra nella prima ipotesi: comportamento che ha condotto all’impossessamento del bene dei ricorrenti, posto in essere in attuazione di provvedimenti amministrativi (delibera di approvazione del progetto contenente la dichiarazione di pubblica utilità e successivo decreto di occupazione di urgenza) ai quali, tuttavia, non è poi in seguito il provvedimento definitivo di esproprio.

Deve invece ritenersi la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alle diverse fattispecie concernenti l’impossessamento di un terreno privato al di fuori dell’esercizio di una funzione pubblica, a seguito cioè di comportamento di mero fatto, non collegato ad alcun provvedimento amministrativo (c.d. occupazione usurpativa), rientrante, pertanto, sulla base della citata pronuncia della Corte costituzionale, nella giurisdizione del giudice ordinario.

L’eccezione va pertanto respinta, in quanto l’occupazione delle aree in questione è originariamente avvenuta sulla base di atti di una procedura espropriativa, che non si è tuttavia conclusa con l’adozione del provvedimento definitivo di esproprio, da cui discende la devoluzione al giudice amministrativo della cognizione delle successive questioni concernenti – tra l’altro – la domanda risarcitoria.

Passando al merito della questione controversa, risulta pacifico – anche alla luce dei chiarimenti forniti dall’amministrazione comunale nella relazione del 27 gennaio 2011, prodotta in esecuzione all’ordinanza collegiale istruttoria di questo tribunale n. 88 del 17 novembre 2010 – che, nel caso di specie, all’adozione della deliberazione di giunta municipale n. 75/2001 di approvazione del progetto dell’opera e di dichiarazione della pubblica utilità, alla deliberazione di giunta municipale n. 56/2003 con la quale sono stati fissati i termini di inizio e fine della procedura espropriativa, al decreto di occupazione d’urgenza delle aree e alla conseguente immissione in possesso delle aree medesime, non è tuttavia seguita l’emanazione del decreto definitivo di esproprio, per cui, conseguentemente, l’amministrazione comunale risulta occupare attualmente i predetti terreni senza alcun titolo giustificativo e pertanto illegittimamente.

Ciò premesso, deve essere condiviso l’assunto dei ricorrenti secondo cui, nell’ipotesi di una procedura espropriativa che non si è conclusa correttamente a causa dell’inerzia dell’amministrazione che non ha emanato nei termini di legge il decreto di esproprio, i proprietari del terreno illegittimamente occupato possono rinunciare alla restituzione del bene, optando per il risarcimento per equivalente.

Tale soluzione deve ritenersi, a giudizio del collegio, corretta e legittima anche in considerazione dell’intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 293/2010.

Preso atto, pertanto, che i ricorrenti, col ricorso in esame, hanno dichiarato di rinunciare alla restituzione del bene, chiedendo il risarcimento del danno per l’equivalente, la domanda medesima – per le considerazioni appena espresse – risulta fondata e deve essere accolta, con conseguente condanna dell’amministrazione comunale resistente al risarcimento del danno per equivalente.

Per quanto concerne la quantificazione della somma dovuta ai ricorrenti a titolo di risarcimento del danno per equivalente, ai sensi dell’articolo 34, comma quattro, degli D.Lgs. n. 104/2010 (codice del processo amministrativo), vengono stabiliti seguenti criteri in base ai quali il comune resistente deve proporre a favore dei ricorrenti il pagamento di una somma, entro il termine di 120 giorni dalla notifica o comunicazione della presente sentenza.

Tale somma dovrà essere pari al valore venale dei terreni in questione, che deve essere individuato tenendo conto del prezzo medio di mercato per aree della medesima tipologia, con le medesime caratteristiche urbanistiche ed ricadenti nella stessa zona, avuto riguardo alla data di trasferimento della proprietà del bene dai ricorrenti all’amministrazione comunale, che dovrà essere effettuato mediante stipula di apposito atto negoziale, in concomitanza col pagamento del predetto risarcimento per equivalente.

Il valore così determinato dovrà essere oggetto di maggiorazione per rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data di calcolo fino al soddisfo.

Per quanto concerne l’ulteriore domanda avanzata dai ricorrenti di condanna dell’amministrazione comunale al pagamento della somma dovuta per l’occupazione d’urgenza, sostengono i ricorrenti che, a seguito della sentenza di questo tribunale n. 771 del 23 febbraio 2005 pronunciata sul ricorso n. 718/2003, proposto da altri soggetti diversi dagli odierni ricorrenti – con la quale sono state annullate la deliberazione di giunta comunale n. 75/2001 di approvazione del progetto esecutivo e comportante dichiarazione di pubblica utilità, nonché la deliberazione di giunta comunale 56/2003 con la quale sono stati fissati in termini di inizio e fine della procedura espropriativi – in conseguenza dell’annullamento con efficacia ex tunc di tali atti, risulterebbe inficiata in via derivata la validità di tutti gli atti conseguenti, ivi compreso il decreto che ha autorizzato l’occupazione d’urgenza dei terreni dei ricorrenti, per cui l’amministrazione resistente occuperebbe i predetti terreni senza alcun titolo giustificativo e pertanto del tutto illegittimamente sin dal 30 giugno 2003, data di immissione nel possesso degli immobili in questione.

L’assunto non può essere condiviso.

Ritiene il collegio che, nel caso di specie, non possa trovare applicazione il c.d. principio dell’efficacia riflessa del giudicato, invocato dai ricorrenti, dovendo invece applicarsi i consolidati principi affermati in materia sia dalla giurisprudenza amministrativa che da quella della Corte di Cassazione – di seguito richiamati – secondo cui, in presenza di atti plurimi (quali la dichiarazione di pubblica utilità ed il decreto di occupazione d’urgenza emessi nei confronti di più destinatari), l’annullamento disposto nei confronti di alcuni dei destinatari non sortisce, di regola, effetti nei confronti degli altri (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 24 luglio 2003, n. 4239).

La dichiarazione di pubblica utilità non può, infatti, farsi rientrare nella categoria degli atti collettivi (costituenti espressione di una volontà unica della p.a. che provvede unitariamente ed inscindibilmente nei confronti di un complesso di interessi considerati non singolarmente, bensì come componenti di un gruppo unitario ed indivisibile), ma va inquadrata in quella degli atti c.d. plurimi, riguardanti cioè una pluralità di soggetti, individuabili in relazione all’appartenenza dei vari beni vincolati e considerati "uti singuli".

Ne deriva che l’impugnazione della dichiarazione di pubblica utilità da parte di ognuno di tali soggetti, titolare, in relazione al singolo bene, di un distinto diritto ed interesse (diritto di proprietà, interesse alla regolarità della procedura ecc.), non può spiegare effetto rispetto alle altre situazioni giuridiche, con la conseguenza che il giudicato di annullamento produce effetti ripristinatori della pienezza del diritto già affievolito solo per il ricorrente e per la specifica posizione da questo dedotta nel giudizio amministrativo (Consiglio Stato, sez. IV, 08 luglio 2003, n. 4040; Cassazione civile, sez. I, 24 agosto 2004, n. 16728; T.S.A.P. n. 156 del 24 novembre 2003; TAR Sicilia, Palermo, II sez., n. 1474 del 29 settembre 2003).

Per fattispecie analoga a quella in esame, è stato precisato che la parte che non ha partecipato al giudizio amministrativo non può avvalersi del giudicato relativo all’annullamento di un piano di zona per l’edilizia economica e popolare, al fine di ottenere in sede di giudizio ordinario la cancellazione della trascrizione del decreto di espropriazione e il risarcimento dei danni, in quanto la dichiarazione di pubblica utilità, implicita nell’approvazione del piano di zona, non è un atto collettivo, ma deve essere inquadrato nella categoria degli atti plurimi, caratterizzati dall’efficacia soggettivamente limitata ai destinatari individuabili in relazione alla titolarità delle singole porzioni immobiliari oggetto della potestà ablatoria, con la conseguenza che il suo annullamento non spiega efficacia "erga omnes" (Cassazione civile, sez. I, 22 maggio 2009, n. 11920).

La dichiarazione di pubblica utilità non è un atto collettivo, ma va inquadrato nella categoria degli atti plurimi, ossia di quelli che riguardano una pluralità di soggetti individuabili in relazione alla titolarità dei vari beni vincolati e considerati "uti singuli". Da ciò consegue che il giudicato di annullamento produce effetti ripristinatori della pienezza del diritto di proprietà, già affievolito, solo per il ricorrente e non si estende ai proprietari rimasti estranei al giudizio dinanzi al giudice amministrativo (cfr. Cassazione civile, sez. I, 16 aprile 2004, n. 7253).

I principi appena richiamati devono ritenersi senz’altro validi specialmente nel caso in esame, tenuto conto che con la citata sentenza di questo tribunale n. 771/2005 sono stati annullati gli atti in questione in ragione della mancata comunicazione dell’avvio del procedimento ai soggetti ricorrenti in tale ricorso n. 718/2003 e che in tale sentenza è stato espressamente precisato che tali atti sono annullati "limitatamente alla posizione fatta valere nel ricorso".

Conseguentemente, non può essere condiviso l’assunto dei ricorrenti secondo cui, nel caso di specie, l’occupazione di terreni dei ricorrenti da parte dell’amministrazione resistente risulterebbe illegittima sin dalla data di immissione nel possesso e cioè sin dal 30 giugno 2003, dovendosi invece ritenere che tale occupazione, avuto riguardo ai primi cinque anni decorrenti da tale data, sia legittima.

Ciò premesso, deve rilevarsi il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla domanda di corresponsione dell’indennità dovuta, ai sensi dell’articolo 50 del D.P.R. n. 327/2001, per l’occupazione legittima per il periodo dal 30 giugno 2003 al 30 giugno 2008, trattandosi di questione devoluta alla cognizione del giudice ordinario, ai sensi dell’articolo 133, lett. g), del D.Lgs. n. 104/2010.

Non resta, pertanto, al Collegio che dichiarare – in tale limitata parte – il proprio difetto di giurisdizione, nonché, ai sensi dell’articolo 11 del Codice del Processo Amministrativo, indicare alla parte ricorrente il termine di tre mesi decorrenti dal passaggio in giudicato della presente sentenza per riassumere il giudizio innanzi al giudice ordinario al fine di salvaguardare gli effetti processuali e sostanziali della domanda proposta in questa sede.

Per quanto concerne invece la domanda di risarcimento del danno per occupazione illegittima per tutto il periodo successivo al 30 giugno 2008 e fino alla data di pagamento del valore venale del bene e formalizzazione dell’atto di passaggio di proprietà in favore dell’amministrazione comunale, deve invece riconoscersi la giurisdizione del giudice amministrativo, per le ragioni già sopra evidenziate, trattandosi di domanda di risarcimento del danno conseguente ad una procedura espropriativa che non si è correttamente e legittimamente conclusa con l’adozione del necessario decreto di esproprio.

Conseguentemente deve riconoscersi il diritto dei ricorrenti al risarcimento del danno per l’occupazione illegittima per tutto il periodo successivo al 30 giugno 2008 fino alla data di pagamento del valore venale del bene e formalizzazione dell’atto di passaggio di proprietà in favore dell’amministrazione comunale, con conseguente condanna dell’amministrazione comunale resistente, al pagamento delle relative somme.

Per quanto concerne la quantificazione della somma dovuta ai ricorrenti a titolo di risarcimento del danno per equivalente per occupazione illegittima, ai sensi dell’articolo 34, comma quattro, degli D.Lgs. n. 104/2010 (codice del processo amministrativo), vengono stabiliti seguenti criteri in base ai quali il comune resistente deve proporre a favore dei ricorrenti il pagamento di una somma, entro il termine di 120 giorni dalla notifica o comunicazione della presente sentenza.

Tale quantificazione dovrà essere operata applicandosi i medesimi criteri stabiliti dall’articolo 50 del D.P.R. n. 3207/2001 ai fini della determinazione dell’indennità dovuta per l’occupazione legittima.

Sulle predette somme dovute per occupazione illegittima, dovranno poi essere aggiunti gli interessi legali dalla data di maturazione del dovuto fino all’effettivo soddisfo, oltre alla rivalutazione monetaria.

Le spese del giudizio devono essere poste a carico dell’amministrazione comunale resistente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione del TAR adito, nei sensi e nei limiti di cui motivazione, e indica il termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza per riassumere il giudizio davanti al giudice ordinario agli effetti di cui in motivazione; e, nella restante parte, lo accoglie, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, con conseguente condanna dell’amministrazione comunale resistente al pagamento delle somme da quantificarsi, ai sensi dell’articolo 34, comma quattro, del D.Lgs. n. 104/2010, secondo i criteri e le modalità specificati in motivazione.

Condanna l’amministrazione comunale resistente al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese del giudizio, che liquida forfetariamente in complessivi euro 2500,00 (duemilacinquecento/00), oltre accessori di legge e rimborso del contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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