Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-06-2011) 25-07-2011, n. 29800

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

U.R. e C.C. ricorrono avverso la sentenza 22.1.08 del Tribunale di Firenze – sezione distaccata di Empoli che ha confermato quella in data 15.1.04 del Giudice di pace di Castelfiorentino con la quale sono stati condannati, per i reati rispettivamente ascritti di minacce ed ingiurie, il primo alla pena di Euro 400,00 di multa e la seconda a quella di Euro 300,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile costituita, Co.Gi.. In via preliminare i ricorrenti hanno chiesto la sospensione del processo in attesa che la Corte costituzionale si pronunci sulle questioni di legittimità sollevate con riferimento all’art. 157 c.p., comma 5, così come novellato dalla L. n. 251 del 2005, rilevanti nella specie in quanto, in caso di accoglimento, i reati si sarebbero prescritti in data antecedente all’emissione del decreto di citazione per il giudizio di appello.

Nel merito, si deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per avere il giudice di appello fondato l’affermazione di responsabilità degli imputati sulle sole dichiarazioni della p.o., affidandosi alla verosimiglianza delle accuse contenute nelle querele sporte dalla Co., senza considerare il contesto di potenziale conflittualità determinato dalla separazione coniugale pendente che rendeva necessaria la valutazione rigorosa di attendibilità della teste, la cui testimonianza era invece stata lacunosa e viziata da interventi e formali contestazioni che la rendono giuridicamente inattendibile, senza che la sentenza avesse inoltre dato conto degli altri episodi di cui alle imputazioni, ulteriori rispetto all’unico descritto – quello cioè della somministrazione della pozione al figlio minore M. – riferentesi alla sola imputazione ascritta anche alla C.. Osserva la Corte che i ricorsi sono manifestamente infondati.

Quanto alla richiesta preliminare, l’invocata disposizione di cui all’art. 157 c.p., comma 5, come novellato dalla L. n. 251 del 2005, trova applicazione solo allorchè si tratti di reato per il quale la legge stabilisce pene di specie diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria e poichè il reato di cui all’art. 612 c.p., comma 1, è punito solo con la pena della multa, mentre quello di cui all’art. 594 c.p.. è punito con la pena pecuniaria o con la pena della permanenza domiciliare, non è applicabile il termine breve della prescrizione triennale, il quale trova applicazione solo allorchè si tratti di reato per il quale la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria. Tale orientamento di questa Corte (v., tra le tante, Sez. 5, 20 febbraio 2007, n.24269) ha avuto l’avallo del Giudice delle leggi, in quanto con la sentenza n. 2 del 18 gennaio 2008 la Corte costituzionale, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 157 c.p., comma 1, come sostituito dalla L. n. 251 del 2005, art. 6, nonchè le questioni di legittimità costituzionale del novellato art. 157 c.p., comma 5, in riferimento all’art. 3 Cost., premesso che nel diritto vigente le pene para-detentive non sono previste dalla legge come sanzioni applicabili in via esclusiva per determinati reati, ma costituiscono l’oggetto di un’opzione che il giudice può compiere in alternativa ad altre, ha osservato che i reati di competenza del giudice di pace, per i quali la previsione edittale concerne invariabilmente la pena pecuniaria (in alternativa alla quale può essere discrezionalmente irrogata, in alcuni casi soltanto, una pena para-detentiva), non costituiscono oggetto della norma di cui all’art. 157 c.p., comma 5, che, con la relativa previsione di un termine triennale di prescrizione, si riferisce invece a reati per i quali le pene para-detentive siano previste dalla legge in via esclusiva e diretta.

Quanto al merito, il giudice di appello, premesso che la doglianza della difesa degli imputati concerneva unicamente i motivi che avevano portato il giudice di primo grado a ritenere affidabile la deposizione della parte lesa, nel ritenere infondate le censure, ha evidenziato come il primo giudice ben abbia ritenuto affidabile la deposizione della p.o., anche nella situazione di conflittualità esistente tra le parti, laddove gli altri elementi probatori raccolti erano da ritenersi convergenti con le affermazioni della Co.

G. in ordine alla responsabilità degli imputati per i reati loro ascritti.

Peraltro – rileva questa Corte – in questa sede i ricorrenti si sono limitati a contestare genericamente il giudizio formulato dai giudici di merito in ordine alla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni della p.o., senza indicare specificamente quali sarebbero gli elementi di segno contrario a tale conclusione non valutati dai giudici di merito, se non facendo un generico riferimento al contesto di potenziale conflittualità coniugale ed un altrettanto generico rinvio al verbale della deposizione della Co. per ritenerne la testimonianza lacunosa e viziata.

Alla inammissibilità dei ricorsi segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che reputasi equo determinare in Euro 1.000,00, oltre alla rifusione, in solido, delle spese sostenute dalla parte civile, che si liquidano in complessivi Euro 1.200,00 per onorari, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonchè, in solido, alla rifusione delle spese di parte civile, liquidate in complessivi Euro 1.200,00 per onorari, oltre accessori come per legge.

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