Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 31-05-2011) 25-07-2011, n. 29664

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Napoli, in parziale accoglimento dell’istanza di riesame presentata da P.V. avverso l’ordinanza cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, sostituiva la misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari.

La misura cautelare era stata applicata all’indagato, a seguito di convalida per l’arresto in flagranza, in relazione ai reati di resistenza e minaccia a pubblico ufficiale, maltrattamenti in famiglia e lesioni personali dolose.

Secondo il Tribunale, dovevano ritenersi sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati indicati nella provvisoria incolpazione, essendo emersa con evidenza dalle denunce dei genitori e dalle sommarie informazioni fornite dal fratello dell’indagato la condotta vessatoria tenuta da quest’ultimo nei confronti dei suoi congiunti a partire dall’ottobre 2010, consistita in atti di violenza fisica in particolare nei confronti della madre e di una sorella.

Proprio per reprimere tali atti era intervenuta anche la forza pubblica il (OMISSIS), nei cui confronti l’indagato aveva rivolto frasi minacciose, opponendo resistenza una volta condotto in caserma.

Il racconto dei familiari, ritenuto dal Tribunale di per sè coerente e puntuale, aveva trovato obiettivo riscontro in quanto riferito dagli agenti intervenuti sul posto, che avevano direttamente osservato la condotta aggressiva e violenta del prevenuto, e nei referti medici per le lesioni patite dai pubblici ufficiali e dai familiari.

Il quadro indiziario emergente, secondo il Tribunale, smentiva l’assunto difensivo – secondo cui l’indagato non aveva maltrattato i genitori, ma soltanto avuto una lite in occasione del suo arresto, cagionata da stress, accumulato in quel periodo per vicende lavorative e personali – che poteva al più essere indicativo dei motivi che avevano determinato l’agire violento da parte di costui.

2. Avverso la suddetta ordinanza, ricorre per cassazione il difensore del P., chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

– la erronea applicazione dell’art. 273 c.p.p., comma 1, in relazione all’art. 572 c.p., e la mancanza, apparenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, in quanto il Tribunale sarebbe incorso in travisamento delle risultanze procedimentali, non avendo l’indagato commesso alcun delitto ai danni dei genitori, come rappresentato nella difesa nell’istanza di riesame. Non risulterebbe accertato in particolare nè il dolo nè la abitualità della condotta del delitto ascritto all’indagato, così da rendere carente la motivazione sui gravi indizi di colpevolezza;

– la erronea applicazione dell’art. 273 c.p.p., comma 1, in relazione all’art. 336 c.p., e la mancanza, apparenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, poichè il Tribunale sarebbe incorso in un travisamento delle risultanze processuali, non considerando le ragioni addotte dalla difesa che aveva sostenuto che l’indagato non aveva commesso alcun delitto in danno dei pubblici ufficiali. Non risulterebbe accertato il dolo, mentre non sarebbe configurabile il reato di cui all’art. 336 c.p., poichè le espressioni minacciose sono susseguenti all’attività svolta dai pubblici ufficiali.

Motivi della decisione

1. Nessuno dei due motivi supera la soglia della ammissibilità. 2. Innanzitutto non risponde al vero che il Tribunale del riesame abbia omesso di dare adeguata risposta alle doglianze difensive, avuto riguardo alla motivazione adottata ed alle argomentazioni che hanno dato congruo conto, con richiami alle emergenze processuali, della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati indicati nella provvisoria incolpazione.

In particolare, quanto al reato di maltrattamenti in famiglia, il Tribunale ha ritenuto prive di consistenza le giustificazioni addotte dall’indagato, a fronte del racconto offerto dai familiari, dal quale era emersa la sottoposizione dei familiari ad una serie di atti di vessazione continui e tali da cagionare sofferenze fisiche o morali, e delle relazioni di servizio redatte dagli operanti intervenuti per sedare il comportamento del P..

E’ principio più volte affermato da questa Suprema Corte, che qui va ribadito, che, ad integrare il dolo del delitto di maltrattamenti in famiglia non è necessario il malvagio proposito di infliggere alla vittima sofferenze senza plausibile motivo, ma è sufficiente la coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo a tali sofferenze in modo continuo ed abituale. Pertanto, lo stato di nervosismo non esclude l’elemento psicologico del reato di maltrattamenti in famiglia (Sez. 6, n. 9694 del 07/04/1982, Zenoni, Rv. 155717).

Le censure proposte appaiono piuttosto essere dirette a ottenere una rilettura delle risultanze processuali e una rivalutazione della consistenza indiziaria e delle circostanze poste dal giudice della cautela a fondamento della custodia cautelare in carcere, condivise e fatte proprie dal Tribunale, come sintetizzate in narrativa con specifico riferimento alle censure formulate dal ricorrente.

Identiche considerazioni devono avanzarsi quanto al reato di cui all’art. 336 c.p.. Anche a voler tacere della genericità del motivo di ricorso, basterà qui osservare che il Tribunale ha desunto la gravità indiziaria dal complesso degli atti di P.G., dai quali era emersa la condotta di minaccia posta in essere dall’indagato nei confronti dei pubblici ufficiali intervenuti per sedare l’aggressività del P., al fine di costringerli a compiere un atto contrario ai doveri di ufficio consistito nella procedura di compiuta sua identificazione.

A fronte di questo ragionamento probatorio, che evidenzia il dolo necessario per la configurabilità del reato di minaccia a pubblico ufficiale, il ricorrente sollecita una inammissibile rilettura delle emergenze processuali, prospettando una diversa ricostruzione dei fatti in ordine al momento in cui furono pronunciate le frasi minacciose.

3. All’inammissibilità del ricorso stesso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che si stima equo determinare in Euro 1000,00 (mille).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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