Cass. pen., sez. VI 23-10-2007 (03-10-2007), n. 39069 Esistenza di una contesa giudiziale – Presupposto per la configurazione del reato

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza del 28 giugno 2004 con cui il Tribunale di Marsala, sezione distaccata di Mazara del Vallo, aveva condannato G.L. alla pena di 300,00 Euro di multa e al risarcimento dei danni provocati alla parte civile, ritenendolo responsabile del reato di cui all’art. 392 c.p., perchè, al fine di esercitare il preteso diritto di passaggio nel fondo di proprietà del fratello G.A., si faceva ragione da sè mediante violenza sulle cose, consistita nella rimozione dei paletti e del filo zincato che era stato posto a recinzione del fondo.
La Corte d’appello, dopo aver premesso che vi era tra le parti un’annosa questione circa il diritto di passaggio dell’imputato sul fondo del fratello e che quest’ultimo, proprio per impedire l’attraversamento del fondo, aveva realizzato la recinzione in seguito divelta, ha ritenuto la colpevolezza di G.L. sulla base di una serie di elementi indiziali, tra cui la constatazione, a seguito del sopraluogo dei Carabinieri, di tracce di ruote di trattore lasciate sul terreno nei pressi dell’abbattimento dei paletti e la stessa disponibilità del trattore da parte dell’imputato, indizi ritenuti gravi e concordanti anche in relazione al movente che avrebbe spinto l’imputato all’azione criminosa.
2. Ricorre per cassazione, nell’interesse dell’imputato, l’avv.to Biagio Di Maria e deduce la mancanza della motivazione della sentenza d’appello in ordine alla gravità, precisione e concordanza degli indizi nonchè circa l’attendibilità dei testimoni, rilevando che la persona offesa, G.A., sarebbe stato animato da forti risentimenti nei confronti dell’imputato, a causa di alcune liti giudiziarie in corso tra i fratelli.
Con altro motivo assume la violazione dell’art. 392 c.p., in quanto i giudici di merito avrebbero ritenuto la sussistenza del reato sebbene non vi fosse alcuna contesa giudiziale o di fatto intorno alla titolarità o all’esercizio della servitù di passaggio riguardante il fondo in questione, rilevando inoltre che sarebbe stata omessa ogni indagine sull’elemento soggettivo del reato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
3. Il ricorso è infondato.
3.1. In ordine al dedotto vizio di motivazione si osserva che la sentenza impugnata ha correttamente e logicamente valutato gli indizi a carico di G.L., rappresentati dalle tracce delle ruote di trattore lasciate sul terreno, nel punto in cui sono stati divelti i paletti e la rete di recinzione, tracce che proseguivano verso il fondo dell’imputato, ove i Carabinieri, nel corso del sopralluogo, hanno potuto constatare la presenza del trattore appartenente allo stesso imputato. Si tratta di indizi che sono stati ritenuti gravi, precisi e concordanti sia dai giudici di primo grado, che dai Giudici d’appello, sulla base di una motivazione che appare del tutto coerente e che ha tenuto in considerazione anche il movente che ha spinto l’imputato ad abbattere la recinzione, individuato nella volontà di continuare ad utilizzare il passaggio all’interno del fondo del fratello per giungere alla sua proprietà, evitando di compiere un giro alternativo. In questa ricostruzione dei fatti operata dai Giudici di merito, la deposizione della persona offesa, la cui attendibilità è contestata dal ricorrente, non svolge un ruolo fondamentale, nel senso che la sentenza giunge a ritenere la responsabilità dell’imputato soprattutto in base all’univoco quadro indiziario sopra indicato, che trova un puntuale riscontro con le dichiarazioni accusatorie di G.A..
3.2. Per quanto riguarda l’altro motivo, con cui si deduce l’erronea applicazione dell’art. 392 c.p., deve rilevarsi che la sentenza ha dato una corretta interpretazione e fatto una legittima applicazione della fattispecie in questione, in quanto ha ritenuto configurabile il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni in una situazione in cui vi era un preteso diritto oggetto di potenziale contestazione da parte del contraddittore, che poteva essere fatto valere dinanzi al Giudice. Nei termini in cui il fatto è stato ricostruito dai giudici di merito – e come tale non censurabile in questa sede – con l’abbattimento della recinzione l’imputato ha tutelato arbitrariamente il possesso di un diritto di passaggio di cui riteneva essere titolare, laddove, dinanzi all’iniziativa del fratello di impedire tale passaggio, avrebbe dovuto rivolgersi al Giudice civile per tutelare la situazione possessoria, anzichè farsi ragione da sè con violenza sulle cose.
Invero, il ricorrente nel dedurre la violazione di legge, contesta la sussistenza stessa del reato, sostenendo che il preteso diritto non fosse oggetto di contrasto tra le parti e al riguardo cita una decisione di questa Corte.
A questo proposito deve osservarsi che i soli presupposti cui si riferisce l’art. 392 c.p., sono due; il primo, costituito dall’esistenza di un preteso diritto da far valere, che può essere anche semplicemente supposto, nel senso che non è necessario che il diritto arbitrariamente esercitato sia obiettivamente esistente in capo al soggetto attivo; l’altro, rappresentato dalla possibilità di ricorrere al giudice, da intendersi come possibilità meramente fattuale di azionabilità della pretesa, che prescinde cioè dalla fondatezza del diritto.
Tra i presupposti del reato non figura, quindi, l’esistenza obiettiva di una controversia in atto, almeno nei termini indicati dal ricorrente. La stessa sentenza citata (Sez. 6^, 11 febbraio 1999, n. 2830, Palazzolo) nell’affermare che il reato di cui all’art. 392 c.p., postula che il preteso diritto sia realmente oggetto di contrasto fra le parti, non richiede che vi sia una controversia giudiziale in atto, riconoscendo sufficiente una "contesa di fatto" o, quanto meno, "potenziale" da parte del soggetto passivo (Sez. 6^, 26 maggio 1980, n. 11510, Cocchiara). Il riferimento che parte della giurisprudenza, meno recente, ha fatto all’esistenza della "contestazione" (Sez. 6^, 14 luglio 1994, n. 11381, Massimino; Sez. 6^, 21 maggio 1985, Rosin) è finalizzato ad evidenziare il contrasto di volontà tra i soggetti che la norma incriminatrice vuole che sia risolto attraverso il ricorso al Giudice, ma non deve essere letto come il tentativo di introdurre per via giurisprudenziale un ulteriore ed autonomo elemento del reato. Invero, il richiamo alla contesa, di fatto o potenziale, finisce per coincidere con il vero presupposto richiesto dalla norma che è costituito, come già si è detto, dall’esistenza del "preteso diritto".
Peraltro, nella specie risulta dalle sentenze di merito l’esistenza di una controversia di fatto relativa all’esistenza del diritto di passaggio esercitato dall’imputato sul fondo del fratello, esercizio che quest’ultimo considerava abusivo, tanto da procedere alla recinzione della proprietà. 3.3. Infine, nessuna censura merita la sentenza impugnata in relazione all’elemento soggettivo, in quanto il dolo è stato ritenuto sussistente sulla base di una valutazione complessiva dei fatti emersi nel processo, che hanno evidenziato come la condotta dell’imputato sia stata posta in essere al fine di ripristinare un preteso diritto di passaggio, nella consapevolezza di farsi ragione da sè, pur potendo ricorre al Giudice (Sez. 6^, 6 febbraio 2001, n. 13115, P.M. in proc. Scalise).
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e l’imputato condannato al pagamento delle spese processuali; alla integrale conferma della sentenza impugnata, anche con riferimento alle statuizioni civili, consegue, altresì, la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese in favore della costituita parte civile, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che liquida in Euro 1.980,00, ivi compresi Euro 480,00 per le spese, oltre IVA e CPA sugli onorari.

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