Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 27-05-2011) 25-07-2011, n. 29793 Falsità in scrittura privata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.M. e B.D.F. ricorrono, personalmente, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Ancona in data 15-7-2010, che, confermando quella del Tribunale di Urbino del 30-11-2006, li ha ritenuti responsabili del reato di cui all’art. 485 c.p., per aver formato un atto, con firma apocrifa di G.F., di accettazione di cessione del credito di Euro 47.736 alla Banca Popolare di Ancona, fil. di (OMISSIS), ottenendo in tal modo dall’istituto di credito un’anticipazione su fattura di Euro 25.000.

Con unico motivo si deducono violazione di legge e vizio di motivazione avendo la corte territoriale basato la pronuncia esclusivamente sulle dichiarazioni della p.o. G., costituito parte civile, da un lato in assenza di documenti originali da utilizzare per il raffronto con la sottoscrizione asseritamente contraffatta, risultante tra l’altro da fotocopia dell’atto (l’originale non era stato rinvenuto presso l’istituto di credito), dall’altro trascurando le deposizioni dei dipendenti della banca, i soli ad aver avuto in visione il documento originale.

Si chiede quindi l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Le doglianze prospettate sono inammissibili in quanto attengono alla ricostruzione del fatto, già adeguatamente motivata dai giudici di primo e secondo grado.

In particolare la sentenza impugnata ha ineccepibilmente rintracciato la prova del fatto ascritto all’imputato nella testimonianza della persona offesa, prudentemente valutata, secondo la pacifica regola di giudizio secondo cui tali dichiarazioni possono, anche da sole, sostenere un’affermazione di penale responsabilità, ove sottoposte ad un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, nella specie correttamente effettuato, e nel sostegno a questa che poteva trarsi: a) dal fatto che il credito ceduto era certamente inesistente avendo l’imputata B.M. già incassato l’assegno emesso da G., il quale quindi non avrebbe certo potuto accettare la cessione del credito; b) dalla circostanza che gli imputati erano in difficoltà economiche e potevano aspirare all’anticipazione solo dietro cessione dell’inesistente credito, la cui accettazione in originale era tra l’altro scomparsa; c) dalla conoscenza che essi avevano della firma della p.o., essendo in possesso del contratto di appalto sottoscritto in originale da G.. Mentre, in modo del tutto plausibile, è stata negata attendibilità alle dichiarazioni del direttore della banca -secondo cui l’atto di accettazione della cessione era valido-, sul rilievo che, avendo concesso l’anticipazione, aveva l’esigenza di allontanare da sè possibili addebiti disciplinari.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile e a tale declaratoria conseguono le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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