Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 27-05-2011) 25-07-2011, n. 29792

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.L., carabiniere in servizio presso il N.O.R.M. (Nucleo Operativo Radiomobile) di Brescia, è stato riconosciuto colpevole del reato di lesioni personali in concorso, aggravate ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 9 (capo C), con sentenza 28-3-2006 del Tribunale di Brescia, confermata dalla corte d’appello competente in data 19-5-2010, salvo che in punto di trattamento sanzionatorio, che veniva riformato con il riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante.

Il fatto avveniva nella notte sul 15-3-2004, quando due pattuglie del NORM, avvistavano in Brescia, su una Y10 rubata, il pregiudicato G.G., sottoposto alla sorveglianza speciale di PS con obbligo di dimora in Montichiari, e si ponevano all’inseguimento dello stesso, che viaggiava, come sarebbe emerso successivamente, in compagnia di una giovane donna. Dopo un lungo tragitto, l’inseguito imboccava una sterrata a fondo chiuso in Castenedolo, finendo contro un cancello. Raggiunto a piedi da uno degli operanti che gli spalancava la portiera, G. effettuava una manovra repentina facendo cadere il militare. Indi, mentre altri militari sopraggiungevano a piedi, inseriva la retromarcia andando a collidere sia con l’una che con l’altra autovettura di servizio, e infine contro un muro. Nel corso dei fatti descritti i CC. esplodevano alcuni colpi di arma da fuoco che attingevano la passeggera della Y10 alla coscia sinistra, mentre G., trasportato all’ospedale civile di Brescia, era riscontrato affetto da "trauma cranico commotivo con ferite lacero contuse alla fronte e al cuoio capelluto, contusione lombare e addominale" guaribili in giorni quindici, secondo la prima prognosi (in giorni venti, secondo il medico legale, il quale il 23 marzo rilevava anche ecchimosi al dorso del piede sinistro e aree rossastre alla coscia sinistra e in regione più distale).

Gli operanti erano imputati anche di tentato omicidio in danno di G., da cui venivano assolti dal tribunale con la formula perchè il fatto non sussiste.

La corte territoriale ha escluso che le lesioni potessero avere cause diverse dai pestaggio da parte degli operanti, non potendo essere state originate nè dalla spericolata condotta di guida della p.o.

(gli urti, come dimostrava anche la ridottissima entità dei danni ai mezzi coinvolti, erano avvenuti a velocità minima; non vi erano tracce di sangue all’interno della Y10; la lesione al dorso del piede sinistro non era riconducibile ad urti all’interno dei veicolo), nè dall’asserita sua resistenza all’arresto, che non figurava tra i reati ipotizzati nel relativo verbale, mentre soltanto nell’annotazione di tre giorni dopo, redatta su richiesta della Procura, vi era cenno per la prima volta al tentativo di G. di divincolarsi tirando a caso pugni e calci, con la precisazione, nondimeno, che questi già da prima risultava vistosamente ferito al capo. Del resto neppure nell’esame dibattimentale C. e il coimputato D.C. avevano dato conto, in termini concordi e logici, delle modalità della pretesa resistenza e della ferita alla testa della p.o..

La versione di G., per contro, era stata fin da subito coerente con le lesioni riportate da lui stesso e dall’app. D..

A suo dire, sceso dall’autovettura con le mani alzate, era stato colpito al capo con il calcio di una pistola. Caduto a terra, era stato colpito con calci al volto, al petto e alle gambe. Gli erano state tolte le scarpe e pestati i piedi. Dopo un calcio allo stomaco, aveva tentato di mettersi seduto, ma era stato colpito da una testata all’arcata sopracciliare notando che anche l’autore del gesto si era ferito e perdeva sangue (il che trova riscontro nella circostanza che l’app. D. aveva riportato una ferita alla fronte).

Il ricorso proposto personalmente dall’imputato è affidato ad unico motivo con il quale si deducono carenza e contraddittorietà di motivazione, nonchè travisamento del fatto in relazione al mancato riconoscimento delle scriminanti dell’adempimento di un dovere e dell’uso legittimo delle armi.

Secondo il ricorrente, l’affermazione di responsabilità si fonda esclusivamente, trascurando la formulata prognosi di soli cinque giorni, sulla ritenuta sproporzione tra entità delle lesioni e uso legittimo della forza, e sulla ritenuta remissività di G. al momento dell’arresto, ignorando che fino a poco prima questi aveva addirittura speronato le auto di servizio e tentato di investire i carabinieri a piedi, per sottrarsi alla cattura.

Inoltre con motivazione apparente, e comunque illogica, è stato escluso che la spericolata condotta di guida della p.o. e i ripetuti urti sia contro i mezzi dei carabinieri che contro un muro, potessero aver causato in tutto o in parte le lesioni riportate. Si chiede quindi l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Va ricordato che non è compito del giudice di legittimità compiere una rivalutazione del compendio probatorio, sulla base delle prospettazioni del ricorrente, costituendo jus receptum che esula dai poteri di questa corte una "rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Sez. Un. n. 41476 del 25/10/2005, Misiano; Sez. Un. n. 6402 del 2.7.1997, Dessimone, rv. 207944; Sez. Un. n. 930 del 29.1.1996, Clarke, rv. 203428).

La sentenza impugnata si sottrae quindi alla censura di vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), e il ricorso è conseguentemente inammissibile, compendiandosi nella prospettazione di una ricostruzione alternativa del fatto, a fronte della congrua ed esauriente motivazione dei giudici di merito in ordine: a) all’esclusione dell’uso legittimo della forza, basata non solo sulla incompatibilità con esso dell’entità delle lesioni riportate da G. (che peraltro il ricorrente erroneamente assume guarite in giorni cinque -durata del solo ricovero-, mentre la prognosi iniziale fu di quindici giorni, poi elevata a venti dal medico legale), ma anche sul mancato riferimento, nel verbale di arresto, redatto nell’immediatezza, alla pretesa resistenza del catturando al momento dell’arresto, mancato riferimento valorizzato pure, dalla corte d’appello, per superare l’apparente contrasto tra il pregresso comportamento aggressivo della p.o., e quello remissivo al momento della cattura, contrasto non insanabile, ben potendo G. essersi determinato alla resa, una volta compreso che l’ulteriore resistenza sarebbe stata inutile; b) all’esclusione della possibilità che le lesioni fossero effetto della spericolata manovra di guida o degli urti della Y10 contro il muro e contro le autovetture di servizio basata sull’ineccepibile rilievo, da un lato, che G., avendo previsto gli urti, da lui stesso determinati, istintivamente si fosse preparato ad ammortizzarne gli effetti, dall’altro che la sua lesione alla fronte non poteva essersi verificata durante l’inseguimento, perchè sulla Y10 non erano state trovate tracce di sangue, mentre la presenza di una corrispondente ferita alla fronte di D., avvalorava ulteriormente la versione della testata sferrata da questi alla p.o.. Senza contare la piena compatibilità delle lesioni al piede, altrimenti inspiegabili, con il singolare dettaglio, riferito da G., che gli erano stati pestati i piedi dopo avergli tolto le scarpe.

E’ poi privo di pregio l’argomento, prospettato dal difensore durante la discussione orale circa la presenza di un’unica ferita al capo di G., che escluderebbe la possibilità dei due successivi colpi asseritamele ricevuti (il primo, con il calcio di una pistola, il secondo rappresentato dalla testata di D.). Infatti non solo il referto medico diagnostica tra l’altro "ferite lacero-contuse alla fronte e al cuoio capelluto", ma pure l’esame obiettivo contenuto nel medesimo atto evidenzia "ferita lacero-contusa in regione fronto- orbitale destra e in sede nucale", risultando quindi obiettivamente provata la pluralità delle ferite al capo della p.o.. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile e a tale declaratoria conseguono le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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