Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 27-05-2011) 25-07-2011, n. 29790

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

K.A. ricorre personalmente avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia in data 10-5-2010, che aveva confermato quella del tribunale del Tribunale di Padova, emessa il 18-9-2007 ad esito di giudizio abbreviato, di condanna per il reato di tentato furto aggravato (dal numero delle persone e dalla violenza sulle cose) di macchinari per l’imbottigliamento del vino, ubicati nell’immobile di pertinenza di una società fallita.

Con unico motivo il ricorrente deduce manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’aggravante della violenza sulle cose, censurando il percorso argomentativo della corte territoriale, secondo cui, non emergendo dagli atti elementi a sostegno della tesi difensiva della preesistenza dell’effrazione, questa andava ascritta all’imputato ed ai suoi complici.

Si chiede quindi l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

La censura prospettata maschera, sotto l’apparente deduzione del vizio motivazionale, il tentativo di sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio, rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito e già adeguatamente valutati.

Invero la corte territoriale, premesso che le forze dell’ordine, nel sorprendere il ricorrente e i tre complici intenti a smontare, con utensili ed attrezzi da scasso, i macchinari per l’imbottigliamento del vino, avevano rilevato che la porta d’ingresso era stata scardinata ed era semiaperta, ha concluso, con motivazione logica e coerente, che l’effrazione della porta, funzionale al tentativo di furto, dovesse attribuirsi ai predetti, anche in assenza di qualunque elemento atto a supportare la mera ipotesi della preesistenza dell’effrazione, non avvalorata in particolare dal fatto che le cantine fossero chiuse a seguito di fallimento, non implicando ciò lo stato di abbandono supposto nel ricorso, mentre l’eventualità di precedenti di furti, affacciata dal ricorrente, non implica che gli effetti di, peraltro eventuali, precedenti effrazioni, fossero in essere al momento del fatto.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile e a tale declaratoria conseguono le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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