Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-05-2011) 25-07-2011, n. 29786 Cognizione del giudice d’appello circostanze del reato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.M.S. ricorre, per il tramite del difensore avv. Stefano Arcifa, avverso la sentenza del Tribunale Monocratico di Acireale in data 21.5.2010 che, in accoglimento del ricorso per cassazione convertito in appello, della parte civile F. V., e in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, lo ha condannato al risarcimento dei danni morali cagionati alla predetta per effetto del reato di minaccia continuata.

Si deducono violazione dell’art. 597 c.p.p., comma 1 e mancanza ed illogicità della motivazione.

Il tribunale ha esorbitato dai limiti del devolutum laddove ha affrontato il tema del carattere intimidatorio delle frasi pronunciate dal prevenuto (con richiamo, in dialetto, ad una piccola pillola e ad una piccola supposta), mentre l’appello verteva soltanto sulle incongruenze rilevate dal GdP nella versione della p.o., frutto di erroneo accorpamento in uno solo dei due episodi oggetto di querela. Secondo il ricorrente, il carattere minaccioso comunque non sussisteva quanto alle parole in sè, che si riferivano al possibile esito del procedimento per l’affidamento condiviso della figlia, nè poteva essere dedotto dal fatto che la F. avesse detto di aver notato la presenza di persone sospette, presunti emissari del marito.

Il tribunale aveva poi travisato le emergenze processuali laddove aveva ritenuto l’imputato smentito sul punto che la moglie ostacolava il suo diritto di visita della figlia, dal momento che dal verbale del procedimento di primo grado, allegato al ricorso, ciò non risulta.

Si chiede quindi l’annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va disatteso.

E’ anzitutto priva di fondamento la censura secondo la quale il tribunale avrebbe esorbitato dai limiti del devoluto, posto che, anzi, la disamina del carattere intimidatorio delle frasi pronunciate da D.M. contro la ex moglie, era doverosa, a fronte della pronuncia assolutoria di primo grado e dell’appello agli effetti civili della F..

Carattere intimidatorio, che, infatti, il ricorrente non manca di mettere in dubbio nel ricorso, assumendo che quelle frasi si riferivano al possibile esito del procedimento in corso tra le parti per l’affidamento della figlia minore.

Se nonchè, come ben rilevato nella sentenza gravata, dalla prospettazione di somministrare alla moglie un piccola pillola per "aggiustarla per le feste" e una suppostina "che ti verranno a prendere fino a casa", esula del tutto il riferimento alla controversia in corso, e traspare invece, in maniera neppure tanto larvata, la rappresentazione del pericolo di un male ingiusto, da attuarsi nei confronti della donna anche per il tramite di terzi.

Nè è fondato eccepire che la portata intimidatoria sia stata desunta dall’affermazione della F. di aver notato poi la presenza di persone sospette, affermazione ricordata dal tribunale al solo fine di dimostrare, peraltro al di là della fondatezza delle impressioni della p.o., che le parole del marito aveva avuto il concreto effetto di procurarle uno stato d’ansia.

L’asserito travisamento delle emergenze processuali, insussistente in quanto dai verbali del dibattimento di primo grado risulta in effetti che D.M. non rispettava gli orari di visita della figlia, attiene comunque a dettaglio non utilizzato da tribunale a sostegno dell’accoglimento dell’appello della parte civile.

Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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