Cons. Stato Sez. IV, Sent., 03-08-2011, n. 4641 Atto notorio Onere della prova

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con l’appello in esame, i signori E. e U. P. impugnano la sentenza 1 aprile 2003 n. 239, con la quale il TAR Marche ha in parte dichiarato inammissibile, in parte rigettato il loro ricorso proposto avverso una pluralità di atti, ed in particolare avverso la concessione edilizia 18 maggio 1998 n. 13, rilasciata dal Comune di Servigliano a F. E. e P. M..

Tale concessione era relativa alla ristrutturazione di un manufatto adibito a fondaco e garage, in via Mazzini di Servigliano, sulla base di una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, attestante che la costruzione del manufatto era avvenuta durante l’anno 1995.

In un primo tempo, "poiché il manufatto era stato completamente demolito nel corso dell’esecuzione dei lavori", questi ultimi erano stati dapprima sospesi ed era stata poi ordinata la demolizione di quanto nel frattempo realizzato.

Ambedue i provvedimenti sono stati successivamente revocati dal segretario – direttore del Comune, con atto 24 aprile 1999 n. 8, impugnato unitamente alla concessione edilizia ed alla dichiarazione sostitutiva, dopo che dagli attuali appellanti era già stata evidenziata al Comune, senza esito, la violazione delle distanze dai confini e dalla strada provinciale, nonché l’erroneità della dichiarazione sostitutiva.

La sentenza appellata afferma:

– le dichiarazioni sostitutive dell’atto d notorietà, rilasciate ai sensi dell’art. 4 l. n. 15/21968 "hanno notoriamente valore certificativo e probatorio, salvo prova contraria, nei confronti della Pubblica Amministrazione, come si deduce chiaramente dal precedente art. 1, anzi la sua finalità istituzionale è proprio quella di semplificare i procedimenti amministrativi e poichè la dichiarazione ben può riguardare fatti a diretta conoscenza dell’interessato, ad essi si estende anche il valore probatorio";

– ne consegue che "in mancanza di valide prove contrarie in suo possesso, correttamente l’amministrazione comunale ha considerato valido documento probatorio la contestata dichiarazione sostitutiva di notorietà";

– nelle ristrutturazioni che non comportino modifiche sostanziali dell’edificio preesistente non si applicano le disposizioni più restrittive eventualmente sopravvenute. Nel caso di specie, il manufatto è da ritenere preesistente (come si rileva da documentazione fotografica) "dal momento che non si tratta di costruzione precaria, è chiusa su tutti i lati ed è provvista di copertura"; né può ipotizzarsi "la realizzazione di un nuovo manufatto a causa della dedotta abusività di quello già esistente e da ristrutturare".

Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando, laddove è stata dichiarata inammissibile l’impugnazione della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, perché atto privato; tale atto è stato impugnato in quanto esso "se pur privato, è stato sussunto a base del provvedimento amministrativo di rilascio della concessione edilizia e, quindi, è divenuto un atto che è entrato a far parte delle ragioni costitutive del provvedimento impugnato". Tale atto è stato "l’unica base per l’emanazione dell’atto amministrativo" (concessione edilizia), benché non corrispondesse "minimamente alla vera rappresentazione dei luoghi e quindi non costituiva altro che una falsificazione della realtà che avrebbe dovuto indurre la P.A. a ritenere non sussistente la tipologia della ristrutturazione nell’ipotesi considerata"; in particolare, esso contrastava con le risultanze di due atti notarili del 1967;

b) error in iudicando, nella parte in cui la sentenza dichiara avente valore probatorio le dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà rilasciate ai sensi dell’art. 4 l. n. 15/1968, poiché la stessa "non ha alcun valore probatorio e può costituire solo un mero indizio". Nel caso di specie, "per parlare di ristrutturazione occorreva che si fosse trattato di un vero e proprio edificio che doveva avere la stessa sagoma e lo stesso ingombro sul terreno dell’edificio ristrutturato; invece, si trattava di un manufatto di natura accessoria, privo di qualsiasi possibilità di essere abitato e, in pratica, di un piccolo ricovero per attrezzi";

c) error in iudicando, laddove la sentenza, in violazione delle normative indicate con il primo motivo del ricorso in I grado, ha affermato che la concessione edilizia è legittima in quanto il manufatto da ristrutturare era pur sempre esistente alla data del suo rilascio; ciò in quanto per aversi ristrutturazione, occorre che il privato "dimostri alla P.A. la preesistenza non di un qualsiasi edificio… ma di un edificio dello stesso ingombro e della stessa sagoma di quello risultante dalla ristrutturazione". Ne consegue che, nel caso di specie, non si tratta di ristrutturazione di un edificio preesistente, e "una volta che emerge che non esisteva un edificio delle stesse caratteristiche di quello attuale, il problema delle distanze sorge in tutta la sua valenza";

d) error in iudicando, nella parte in cui è stata "esclusa ogni valenza probatoria agli atti notarili, ed è stato comunque disatteso il principio di diritto secondo cui l’onere di provare la preesistenza del fabbricato con la stessa sagoma ed altezza rispetto al ricostruito spettava scrupolosamente ai controinteressati ed alla P.A., sicchè non era possibile presumere la regolarità della originaria concessione"; ciò in quanto la sentenza "afferma l’assoluta irrilevanza dei contratti di compravendita in quanto essi si riferiscono al catasto e, quindi, non possono di per sé costituire prova dell’inesistenza del fabbricato stesso". In definitiva, nel caso di specie "non solo si inverte l’onere della prova ma si legittima qualsiasi abuso edilizio perché basterebbe una semplice affermazione dell’interessato per poter costruire ad libitum qualsiasi tipo di manufatto sostenendo che in precedenza vi era un edificio di pari importanza e valenza dal punto di vista urbanistico".

Si sono costituiti in giudizio il Comune di Servigliano ed il controinteressato F. E., che hanno concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

Preliminarmente, il Comune di Servigliano ha eccepito l’irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio di I grado per tardività, in quanto rivolto avverso la concessione edilizia n. 13/1998 e la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (v. pagg. 6 – 15 memoria 21 febbraio 2011), nonché l’inammissibilità del medesimo "per mancanza della condizione dell’azione in riferimento alla comunicazione del dirigente 2 giugno 1999 prot. n. 2290".

Sempre in via preliminare, l’appellato F. E. ha eccepito la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti del Dirigente dell’Ufficio tecnico del Comune di Servigliano, parte del giudizio. Ha inoltre comunicato l’ intervenuto decesso della sig.ra P. M. prima della notifica del ricorso in appello al Consiglio di Stato e prima della scadenza dei termini per la sua costituzione, con conseguente interruzione ai sensi dell’art. 79, comma 2, Cpa, "al fine di consentire la corretta instaurazione del contraddittorio nei confronti degli eredi della P. M.".

A tali eccezioni, con memoria di replica del 24 marzo 2011, ha aderito anche il Comune di Servigliano.

Con memoria del 23 marzo 2011, gli appellanti hanno a loro volta eccepito l’inammissibilità dell’eccezione di irricevibilità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, in quanto non sollevata nel corso di tale giudizio, né proposta con appello incidentale, e la infondatezza della richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti del dirigente del Comune di Servigliano, essendo "sufficiente evocare in giudizio l’ente senza che occorra affatto notificare ad ogni singolo organo interno".

All’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.

Motivi della decisione

2. Preliminarmente, il Collegio non ritiene che sussistano i presupposti per disporre l’interruzione del processo.

L’art. 79, co. 2 Cpa, rinvia, per ciò che concerne l’interruzione del processo, alle norme del codice di procedura civile. Quest’ultimo (art. 299), prevede che "se prima della costituzione in cancelleria o all’udienza davanti al giudice istruttore, sopravviene la morte oppure la perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti o del suo rappresentante legale o la cessazione di tale rappresentanza, il processo è interrotto, salvo che coloro ai quali spetta di proseguirlo si costituiscono volontariamente, oppure l’altra parte provveda a citarli in riassunzione…".

Il successivo art. 300, prevede per il caso in cui vi siano morte o perdita della capacità della parte costituita o del contumace.

Nel caso di specie, la morte della signora P. M. si è verificata, come risulta dal certificato depositato, in data 6 aprile 2001, ben prima della conclusione del giudizio di I grado (essendo stata la causa trattenuta in decisione il 26 febbraio 2003 e la sentenza pubblicata il 11 aprile 2003) e senza che nel corso di tale giudizio il procuratore costituito ne abbia comunicato il decesso.

Conseguentemente, il ricorso in appello è stato ritualmente notificato presso il procuratore costituito nel giudizio di I grado (avv. Speranzoni, unico per entrambi i controinteressati), in data 8 maggio 2004.

Né tale decesso è stato mai comunicato nel corso del presente giudizio, dalla data di notificazione dell’appello (8 maggio 2004), fino al deposito della memoria datata 3 marzo 2011 (da parte del difensore dell’appellato sig. F.), e cioè a circa dieci anni dall’evento.

Nel caso di specie, quindi, l’evento interruttivo non si è verificato tra la notifica del ricorso in appello e la costituzione in giudizio, ma era già sussistente al momento della pronuncia di I grado: quindi esso non "sopravviene" prima della costituzione in appello ovvero nel corso del presente giudizio (restando alla valutazione del difensore, destinatario della rituale notifica dell’appello, di rendere edotta la parte rappresentata o i suoi eredi).

Alla luce delle circostanze esposte e della conseguente ritualità della notifica del ricorso in appello, occorre ritenere che non sussistono i presupposti in base ai quali l’art. 299 c.p.c. dispone che si determini l’interruzione del processo.

D’altra parte, è appena il caso di osservare – anche se, lo si ripete, nel caso di specie il giudizio è stato ritualmente instaurato e non vi è stata sopravvenienza di causa interruttiva – che, come ritiene la Suprema Corte di Cassazione (sez. III, 13 novembre 2009 n. 24025), le norme che disciplinano l’interruzione del processo sono preordinate alla tutela della parte colpita dal relativo evento, la quale è l’unica legittimata a dolersi della (eventualmente) irrituale continuazione del processo nonostante il verificarsi della causa interruttiva, con la conseguenza che la mancata interruzione del processo non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, né essere eccepita dall’altra parte come motivo di nullità.

3. Il Collegio non ritiene, inoltre, di dovere disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti del Dirigente dell’Ufficio tecnico del Comune di Servigliano.

E’ ben noto, infatti, che nel processo amministrativo il rapporto processuale si instaura nei confronti della Pubblica Amministrazione alla quale (in caso di giudizio impugnatorio) deve riferirsi, in virtù del principio di immedesimazione organica, l’atto emanato ed oggetto di impugnazione. E’ solo tale pubblica amministrazione (la persona giuridica unitariamente considerata) che può assumere ed assume la qualità di parte del giudizio.

Ne consegue che eventuali notifiche del ricorso anche a singoli organi dell’ente (o addirittura alle persone fisiche titolari degli organi medesimi), costituiscono una mera irregolarità che non può determinare un ampliamento del rapporto processuale, né, tantomeno, far assumere la qualità di parte, così pur impropriamente determinando la legittimazione passiva nel giudizio instaurato, ovvero, eventualmente, la legittimazione attiva ad impugnare la sentenza emessa.

Quanto ora espresso non muta per effetto di eventuali espressioni, anche utilizzate in sentenza, in ordine alla constatazione della mancata costituzione in giudizio dell’organo destinatario di notifica (come nel caso di specie), laddove risulta costituita (in via esclusiva ed assorbente) l’amministrazione, né per effetto della presenza (o del difetto) di estromissione dal giudizio, ovvero di declaratoria di (parziale) inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione passiva, essendo superfluo, in virtù di quanto esposto, che il giudice consideri la posizione processuale del singolo organo, pur irritualmente destinatario di notifica.

4. Il Collegio ritiene superfluo esaminare (come deducono gli appellanti) se l’eccezione di irricevibilità del loro ricorso di I grado per tardività, avanzata dal Comune di Servigliano, debba (o meno) essere dichiarata inammissibile, poiché non risulterebbe che la stessa sia stata proposta nel giudizio di I grado, né riproposta con appello incidentale, atteso che la eccezione medesima è infondata.

Tale eccezione è stata proposta dal Comune di Servigliano con la memoria del 21 febbraio 2011 ed alla sua illustrazione sono dedicate le pagg. 613.

Orbene, in disparte ogni considerazione sulla omessa proposizione di tale eccezione nel giudizio di I grado, occorre osservare che la "piena conoscenza" dei provvedimenti impugnati viene ritenuta sussistente dal Comune di Servigliano con una pluralità di argomentazioni e deduzioni (alcune riferite direttamente ad uno dei due ricorrenti (P. U.), altre al genitore dell’altro ricorrente (P. A., genitore del ricorrente P. E.).

Questo Consiglio di Stato deve ribadire che la prova della tardività del ricorso, laddove quest’ultima non risulti per tabulas dal decorso del tempo in relazione alle forme di conoscenza legale dell’atto, incombe sulla parte che eccepisce detta tardività.

Quest’ultima, inoltre, non può essere stabilita per effetto di mere presunzioni né in via ipotetica; occorre invece che venga accertata con oggettività la conoscenza dell’atto e quanto del suo contenuto volto a rendere edotti coloro che intendono impugnarlo della sua possibile illegittimità, nonché della potenziale lesività delle loro posizioni giuridiche.

Nel caso di specie, il Collegio non ritiene che tanto possa desumersi dall’espostodenuncia del 25 giugno 1998 (peraltro non sottoscritto da uno dei due ricorrenti), dalle istanze del 17, 19 e 20 maggio 1999 (non sottoscritte dai due ricorrenti), dall’istanza 19 maggio 1999 prot. n. 2038 (sottoscritta da uno dei due ricorrenti), né dalle altre condizioni oggettive e soggettive esposte a corredo della proposta eccezione.

Tali atti, infatti, non sono in grado di dimostrare – in presenza di una vicenda edilizia complessa e della quale non appaiono prima facie evidenti i contorni allo stesso Comune (si considerino l’emissione di una ordinanza di sospensione lavori e di una ordinanza di demolizione da parte di un organo del Comune, poi revocate dal segretariodirigente dello stesso Comune) – che i ricorrenti avessero contezza degli "elementi essenziali dell’atto amministrativo" (come invece sostiene il Comune), questi ultimi intesi non come estremi di "identificazione" dell’atto, quanto di quel tanto del suo contenuto volto a renderne plausibile (almeno nella prospettazione di parte) illegittimità e lesività.

5. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, con conseguente riforma della sentenza di I grado, per le ragioni di seguito esposte.

Giova premettere, in punto di fatto, che con la concessione edilizia 18 maggio 1998 n. 13, il Comune di Servigliano ha rilasciato ai signori F. E. e P. M. una concessione edilizia per la ristrutturazione di un manufatto, adibito a fondaco e garage. Tale manufatto risulterebbe costruito, come da dichiarazione sostitutiva resa il 18 maggio 1998 dalla Sig.ra P., durante l’anno 1965.

Gli attuali appellanti affermano, in sostanza, che tale manufatto sarebbe stato inesistente almeno fino al 1967, come si desumerebbe da due contratti di compravendita stipulati in tale anno, e quindi realizzato in epoca successiva (dunque in difetto di concessione edilizia e quindi abusivamente).

In definitiva, la sentenza impugnata:

– per un verso fonda la legittimità della rilasciata concessione edilizia sul "valore certificativo e probatorio" delle dichiarazioni sostitutive "salvo prova contraria";

– per altro verso, ritiene non decisivo quanto risultante dagli atti del 1967 (poiché quanto ivi riportato sulla presenza o meno del manufatto "è chiaramente desunto dalla rispettiva dizione catastale, ma tanto non costituisce prova certa che il manufatto non fosse egualmente presente già in data anteriore, anche se non riportato in catasto");

– per altro verso ancora, ritiene legittimo il provvedimento poiché "nelle ristrutturazioni che non comportano modifiche sostanziali dell’edificio preesistente non si applicano le disposizioni più restrittive eventualmente sopravvenute".

Orbene, l’art. 4 l. n. 15/1968 (disciplinante "dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà", oggi sostituito dall’art. 46 DPR n. 445/2000) prevede::

"l’atto di notorietà concernente fatti, stati o qualità personali che siano a diretta conoscenza dell’interessato è sostituito da dichiarazione resa e sottoscritta dal medesimo dinanzi al funzionario competente a ricevere la documentazione, o dinanzi ad un notaio, cancelliere, segretario comunale, o altro funzionario incaricato dal sindaco, il quale provvede alla autenticazione della sottoscrizione con la osservanza delle modalità di cui all’art. 20."

Tale dichiarazione sostitutiva concerne unicamente fatti, stati o qualità personali che siano a diretta conoscenza dell’interessato e che, di regola, non trovano riscontro in albi, registri o elenchi tenuta dalla p.a. o perché nessuna norma ne prevede la registrazione o perché questi ultimi sono andati dispersi, e si differenzia dalla dichiarazione sostitutiva di certificazione, ex art. 2 l. n. 15/1968, perché quest’ultima si caratterizza, invece, per la perfetta coincidenza tra il suo contenuto e il contenuto del certificato che essa sostituisce (Cons. Stato, sez. V, 17 maggio 1997 n. 519).

La dichiarazione ex art. 4, dunque, proprio perché non sostitutiva di "certificati", né, quindi, riproduttiva di dati presenti in archivi e/o registri della pubblica amministrazione non assume alcuna "valenza certificativa", né assume alcun particolare valore probatorio in ordine a quanto con essa dichiarato, ma essa ha la sola funzione di semplificazione procedimentale, fermo restando, tuttavia, il potere di controllo della pubblica amministrazione, il cui esercizio è doveroso allorchè quanto dichiarato si mostri palesemente non corrispondente al vero.

Ne consegue che, oltre a non avere alcuna rilevanza, sia pure indiziaria, nel processo civile o amministrativo (da ultimo, Cass. Civ., sez. III, 28 aprile 2010 n. 10191), la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà non ha "valore" certificativo o probatorio neanche nei confronti della pubblica amministrazione, o, più precisamente, nell’ambito del procedimento amministrativo, ma solo una "attitudine"probatoria provvisoria e fino a contraria risultanza, volta a consentire – salvo verifica – la più spedita conclusione del procedimento amministrativo. (Cons. Stato, sez. V, 25 agosto 2008 n. 4035; Cass. Civ., sez. II, 6 marzo 2008 n. 6132).

In definitiva, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà è solo un mezzo di speditezza ed alleggerimento provvisori dell’attività istruttoria, cioè di semplificazione delle formalità del rapporto con la P.A., e non un mezzo di prova legale, sicché il suo contenuto resta sempre necessariamente esposto alla prova contraria e alla verifica ad opera dell’Amministrazione, verifica che è doverosa, prima di procedere all’emanazione del provvedimento finale, in caso di elementi dubbi o contestati.

D’altra parte, che la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà non ha "valore di prova" nei confronti della P.A., e, quindi, non costituisce piena prova di quanto in essa dichiarato (avendo essa solo una "attitudine" probatoria, provvisoria e revocabile), è dimostrato dall’art. 71, comma 1, del DPR n. 445/2000, il quale prevede che "le amministrazioni procedenti sono tenute ad effettuare idonei controlli, anche a campione, e in tutti i casi in cui sorgono fondati dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive".

Orbene, nel caso di specie, la concessione edilizia è stata emanato assumendo la preesistenza di un immobile (di dimensioni e localizzazione identici a quello oggetto dell’intervento di ristrutturazione), da epoca antecedente l’obbligo di licenza (poi concessione) edilizia; e ciò pur in presenza sia di contestazioni da parte dei vicini, sia in presenza di dati contrari risultanti da atti notarili e risultanze catastali.

In ipotesi quali quelle ora considerate, incombe certamente sulla Pubblica Amministrazione l’obbligo di verifica dell’effettivo stato dei luoghi e, nei limiti di quanto possibile, dell’epoca di realizzazione dell’immobile, posto che la legittima edificazione dell’immobile da ristrutturare e la sua consistenza costituiscono i presupposti indefettibili dell’assentibilità di un intervento d ristrutturazione.

E’ ben vero, come si afferma nella sentenza appellata, che negli interventi di ristrutturazione "che non comportano modifiche sostanziali dell’edificio preesistente non si applicano le disposizioni più restrittive eventualmente sopravvenute", ma ciò presuppone sia l’edificazione legittima di quanto si intende ristrutturare, sia la consistenza (per ubicazione, sagoma, dimensioni) dell’immobile ristrutturando.

Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, appaiono, dunque, fondati i motivi di appello:

– sia in quanto oggetto dell’impugnazione non è la dichiarazione sostitutiva resa dall’interessato (e quindi un atto privato), bensì il provvedimento amministrativo che su di essa (nel caso di specie, in via praticamente esclusiva) si fonda (e cioè la concessione edilizia n. 13/1998), assumendo la predetta dichiarazione solo natura di atto endoprocedimentale;

– sia in quanto non può essere riconosciuta a detta dichiarazione un valore probatorio che non le appartiene, incombendo al contrario all’amministrazione, in presenza di dati cointestati, o quanto meno incerti, l’obbligo di controllo, a maggior ragione nel delicato ambito dell’attività edilizia;

– sia in quanto, a fronte del valore attribuito alla dichiarazione sostitutiva resa dal diretto interessato al provvedimento finale, non possono essere, senza congrua motivazione, pretermesse le risultanze desumibili da altri atti redatti da pubblico ufficiale (i contratti di compravendita per rogito notarile);

– sia in quanto, come si è già affermato, la "invarianza" della ristrutturazione edilizia rispetto a limiti introdotti successivamente all’edificato, presuppone la legittimità e la identica consistenza della costruzione da ristrutturare.

Per tutte le ragioni esposte, l’appello deve essere accolto e, pertanto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso proposto in I grado, con conseguente annullamento degli atti con il medesimo impugnati.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello proposto da P. E. e P. U. (n. 4642/2004 r.g.), lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso introduttivo del giudizio di I grado, con conseguente annullamento degli atti con il medesimo impugnati.

Condanna il Comune di Servigliano e F. E. al pagamento, in favore degli appellanti, delle spese, diritti ed onorari del doppio grado di giudizio, che liquida in Euro 2000,00 (duemila/00), a carico di ciascuna delle parti soccombenti, oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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