Cons. Stato Sez. V, Sent., 03-08-2011, n. 4633

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società ricorrente esercita attività di produzione di mangimi e di raccolta, trasporto,stoccaggio e recupero di rifiuti alimentari destinati alla produzione di mangimi.

A seguito dell’emissione della nota esplicativa del Ministero del Lavoro, della salute e delle politiche sociali in data 12 gennaio 2009 prot. n. 509, che ha considerato inapplicabile la disciplina sui rifiuti all’utilizzo per la produzione di mangimi degli scarti ottenuti nell’ambito del processo di lavorazione di impresa alimentare e necessaria la qualificazione come sottoprodotti ai sensi dell’art. 183, comma 1 lett. p) del d. lgs. n. 152 del 2006 (codice dell’ambiente), la ASL n. 1 Settore veterinario igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche, a seguito di ispezione, ha diffidato l’impresa dall’utilizzare rifiuti di qualsiasi origine per la produzione di mangimi.

Avverso i suindicati atti nonché avverso la nota della Provincia di Perugia del 16 marzo 2009 di trasmissione della nota esplicativa del Ministero del Lavoro e di invito a trasmettere una relazione tecnica allo scopo di riesaminare l’autorizzazione per la parte concernente la gestione dei rifiuti, da tenere distinta da quella di produzione di mangimi, l’interessata ha proposto ricorso al T.a.r., sostenendone il contrasto con le disposizioni nazionali e comunitarie che definiscono la nozione di rifiuti e di sottoprodotti (in particolare, art. 183 d. lgs. n. 152 del 2006, art. 1 direttiva n. 75/442/CEE, art. 3 direttiva n. 2008/98/CE, regolamento CE n. 183/05, regolamento n. 178/2002, sentenza Corte di Giustizia 18 dicembre 2007, in causa C195), la violazione dell’art. 7 e dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990, il difetto di istruttoria e di motivazione nonché l’illogicità manifesta.

Con motivi aggiunti, la ricorrente ha impugnato la determinazione della Provincia di Perugia n. 6998 del 28 luglio 2009, contenente conferma dell’inibizione alla produzione di mangimi da rifiuti, oltre che per illegittimità derivata, per violazione del regolamento CE n. 767/2009 e della decisione della Commissione 2004/217/CE, che non contemplerebbero tra i materiali la cui immissione sul mercato ai fini dell’alimentazione animale è vietata, i rifiuti alimentari utilizzati dalla ricorrente.

Il T.a.r. ha respinto il ricorso, evincendo dalla normativa invocata la necessità che solo i sottoprodotti, garantendo il rispetto degli obblighi previsti dalla normativa igienicosanitaria anche in materia di trasporti e di tracciabilità, possano essere utilizzati per la produzione di mangimi per animali, rientranti nella catena alimentare umana; considerando che il contenuto vincolato della nota della Provincia del 16 marzo comporta l’esclusione dall’obbligo di comunicazione ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2 l. n. 241/1990; facendo discendere dal decimo considerando del regolamento n.767/2009 la non tassatività dell’elenco dei materiali vietati nella produzione di mangimi.

L’interessata ha proposto appello, per violazione dell’art. 183, comma 1, lett. a) e p) d. lgs. n. 152/2006, dell’art. 1 lett. a) dir. N. 75/442/CEE, come modificato dall’art. 1 dir. 91/156/CEE, dell’art. 1, lett. a) dir. 2006/12/CE, dell’art. 3, commi 1 e 5 dir. N. 2008/98/CE, eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità manifesta, sostenendo l’erroneità della limitazione ai soli sottoprodotti dei materiali utilizzabili per la produzione di mangimi, prescrivendo la normativa comunitaria l’accertamento "caso per caso"; la violazione della medesima disciplina, offrendo le regole sul trasporto dei rifiuti destinati alla produzione dei mangimi sufficienti garanzie di sicurezza; violazione della medesima normativa per non avere considerato il primo giudice le garanzie di tracciabilità offerte dalla ricorrente e la disparità di trattamento rispetto alle altre aziende europee; violazione degli articoli 7 e 21 nonies l. n. 241/1990 e del principio del legittimo affidamento; la violazione dell’art. 183, comma 1, lett. a) e p) d. lgs. n. 152/2006, dell’art. 1 lett. a) dir. n. 75/442/CEE, come modificato dall’art. 1 dir. 91/156/CEE, dell’art. 3, comma 1 dir. N. 2008/98/CE e del reg. CE n. 183/05 e n. 178/2002, eccesso di potere, difetto di istruttoria e di motivazione, irragionevolezza ed illogicità manifesta, per illegittimità delle ulteriori prescrizioni e dei controlli stabiliti oltre a quelli già previsti dalle procedure europee; violazione del regolamento CE n. 767/2009 e della decisione della Commissione 2004/217/CE che non vietano l’utilizzo di rifiuti derivanti da produzioni di imprese alimentari, ma solo gli imballaggi per la produzione di mangimi.

In via subordinata, l’appellante chiede che sia disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE per l’interpretazione della normativa comunitaria rispetto alla quale si porrebbe in contrasto la nota esplicativa del Ministero del lavoro impugnata.

Si sono costituiti il Ministero della Salute,il Ministero delle politiche agricole, la Regione Umbria, la Provincia di Perugia e l’Azienda sanitaria locale n.1Umbria, chiedendo il rigetto dell’appello.

All’udienza del 10 maggio 2011, in vista della quale sono state depositate diffuse memorie, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza laddove ha considerato solo i sottoprodotti, e non anche i rifiuti, nella specie qualificabili alla stregua di materia prima secondaria a seguito dell’attività di recupero, come utilizzabili per la produzione di mangimi. La statuizione sarebbe in contrasto, oltre che con la disciplina nazionale e comunitaria, con quanto stabilito dalla Corte di Giustizia CE con la sentenza 18 dicembre 2007, in causa C195/05, che richiede un accertamento "caso per caso".

Occorre, preliminarmente, ribadire la distinzione tra la nozione di "rifiuto" e quella di "sottoprodotto", in base alla definizione fornita dall’art. 183 d. lgs. 3.4.2006 n. 152 (codice dell’ambiente). Si intende per rifiuto "qualsiasi sostanza od oggetto…….di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi". Si intende per sottoprodotto, nella definizione recata dall’art. 183, comma 1 lett p), risultante dalla modifica introdotta dall’art. 2, comma 20 d. lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, all’epoca vigente, "le sostanze e materiali dei quali il produttore non intende disfarsi ai sensi dell’art. 183, comma 1 lett. a), che soddisfino tutti i seguenti criteri, requisiti e condizioni". Dette condizioni attengono all’origine del sottoprodotto, la cui produzione è parte integrante della produzione di una diversa sostanza od oggetto; all’utilizzazione, che, fin dall’origine, deve essere certa da parte del produttore o di terzi e diretta, ossia senza alcun ulteriore trattamento; alla legalità dell’utilizzazione, nel senso che la sostanza o l’oggetto soddisfa tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà ad impatti negativi sull’ambiente o la salute umana.

Secondo le Linee Guida della Commissione Europea del 21 febbraio 2007, caratteristica dei sottoprodotti dell’industria alimentare (i cui processi di produzione generano anche rifiuti) è la loro destinazione fin dall’origine per il riutilizzo nella produzione di mangimi, senza necessità di previa trasformazione al di fuori del processo di produzione.

Le stesse Linee guida definiscono come inapplicabile la definizione di rifiuto al materiale utilizzato per la produzione di mangimi ("Si può quindi ritenere che, in entrambi i casi, la definizione di rifiuto non si applica al materiale in questione").

La Corte di Giustizia UE, con la sentenza 18 dicembre 2007 in causa C195/05, si è pronunciata sugli indirizzi operativi impartiti in Italia dal Ministero dell’Ambiente con la circolare 28 giugno 1999 e con il comunicato del Ministero della Salute 22 luglio 2002, secondo cui gli scarti alimentari originati dall’industria agroalimentare destinati alla produzione di mangimi sono stati esclusi dall’ambito di applicazione della disciplina sui rifiuti e ricondotti alle materie prime secondarie sul solo presupposto che, in presenza dei requisiti igienico- sanitari, fossero utilizzati dal produttore nel ciclo alimentare zootecnico.

La Corte, muovendo da una nozione ampia di rifiuto, ha respinto la tesi del Governo italiano secondo la quale sarebbe stato sufficiente ad escludere dalla disciplina dei rifiuti il materiale soggetto a riutilizzazione mediante produzione di mangimi, indicando, quali condizioni ai fini dell’esclusione, che il riutilizzo non sia eventuale, ma certo, non richieda una trasformazione preliminare e intervenga nel corso del processo di produzione o di utilizzazione.

Da quanto precede risulta allora chiara la sostanziale differenza tra i rifiuti, materiali di cui il produttore si disfa e che vengono riutilizzati a seguito di un’attività successiva di recupero, ossia di operazioni che permettono ad essi di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere la medesima funzione, generando materie prime secondarie, ed i sottoprodotti, materiali di cui è certa l’ utilizzazione sin dal processo di produzione e che a tale scopo non richiedono operazioni preliminari di trasformazione.

Non può quindi ammettersi, come vorrebbe l’appellante, una assimilazione dei due tipi di materiali ai fini della loro utilizzazione nella produzione di alimentazione animale, attesa la finalità di assicurare, fin dalla fase della produzione dei mangimi, che rientrano nella catena alimentare umana, l’applicazione della disciplina igienico sanitaria di settore ( Reg. n. 183/2005/CEE ed ulteriori norme sanitarie).

La nota esplicativa del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali del 12.1.2009, nell’imporre che nella catena alimentare animale possano essere utilizzati sottoprodotti ottenuti esclusivamente nell’ambito di un processo di lavorazione presso una impresa del settore alimentare, compresa la produzione primaria, che soddisfino tutti i requisiti igienicosanitari richiesti ai sensi della disciplina sui mangimi, recepisce tali indicazioni e non contrasta, pertanto, né con la normativa nazionale né con quella comunitaria invocata dall’appellante.

In linea con tali regole è anche il verbale di ispezione della ASL, con cui è stato accertato che il materiale utilizzato nella produzione di mangimi derivava da operazioni di recupero di rifiuti e, quindi, era da considerarsi carente del requisito della diretta utilizzazione senza trasformazione preliminare. Coerente con tale accertamento è l’imposizione, ivi contenuta, delle prescrizioni sullo svolgimento dell’attività, secondo le quali la lavorazione deve essere effettuata esclusivamente sulle materie prime introdotte come prodotti e sottoprodotti e non come rifiuti.

L’accertamento "caso per caso" invocato dall’appellante ed indicato nella stessa sentenza della Corte di Giustizia non può, invero, considerarsi come riferito a qualsiasi materiale – per tale intendendosi sia rifiuti che sottoprodotti – e tendente a rilevarne il rispetto delle condizioni igienicosanitarie posteriormente all’attività di recupero, bensì va correttamente inteso nel senso che le autorità competenti devono verificare se, in concreto, il materiale lavorato rispetti fin dalla fase di produzione le condizioni richieste affinchè possa escludersene la natura di rifiuto (certezza riutilizzo fin dall’origine, mancanza di trasformazione, intervento nel processo di produzione). Né può tale accertamento limitarsi ad accertare, in relazione alle circostanze del caso concreto, se sussista l’intenzione di "disfarsi" del materiale, con la conseguenza che il riutilizzo della sostanza basti a consentirne l’impiego nella produzione di mangimi. Invero, la Corte di Giustizia, con la richiamata pronuncia, ha chiarito che la semplice volontà di riutilizzo, in carenza delle altre condizioni, non può essere sufficiente ad escludere il materiale dalla disciplina dei rifiuti ed in senso conforme si esprime il Ministero della Salute nella nota esplicativa impugnata.

Prive di rilievo sono poi le considerazioni dell’appellante in merito all’attività di recupero ed alla sua incentivazione alla luce della più recente disciplina europea, posto che detta attività interviene su un materiale (rifiuto) che, per le sue caratteristiche, deve essere escluso a priori dalla catena alimentare animale.

Il primo motivo d’appello va, pertanto, respinto.

Una volta stabilita la legittimità dell’esclusione dei rifiuti dal materiale destinato alla produzione di mangimi, va respinto anche il motivo con il quale l’appellante sostiene che le norme recate dal regolamento 183/05 in merito alla tracciabilità dei prodotti del settore mangimistico a garanzia della salubrità e dell’igiene degli alimenti zootecnici non sarebbero applicabili agli scarti alimentari prima dell’attività di recupero, quando si trovino nello stato di rifiuti. In merito, infatti, non può che ribadirsi che non potendo il rifiuto entrare nella catena alimentare animale per la produzione di mangimi, non può neanche porsi un problema di estensione ad esso, prima o dopo l’attività di recupero, dell’applicazione della disciplina sul trasporto e la tracciabilità dei mangimi.

Né la nota impugnata può essere interpretata nel senso di limitare la produzione di mangimi ai soli sottoprodotti a causa delle condizioni di trasporto applicabili ai rifiuti, che, secondo l’appellante, potrebbero essere ulteriormente migliorate tramite apposite prescrizioni a tutela della salute. Con la nota esplicativa si chiarisce che anche ai sottoprodotti destinati alla produzione di mangimi è applicabile la normativa di settore, in materia di tracciabilità e di procedure basate sui principi dell’analisi di rischio e dei punti critici di controllo (HACCP), per garantire il rispetto dei requisiti igienico – sanitari di alimenti per animali, mentre si esclude a priori che oggetto di trasporto o di tracciabilità ai medesimi fini possano essere rifiuti destinati al recupero per la successiva produzione di mangimi.

Non può neanche essere accolto il terzo motivo di ricorso sotto il profilo della disparità di trattamento dell’appellante rispetto ad altre imprese nazionali od europee che si gioverebbero di deroghe alla citata disciplina. La circostanza, invero, non è stata minimamente provata e la giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia in materia esonera il Collegio dal rinvio della questione pregiudiziale per l’interpretazione della normativa comunitaria.

Da respingere è anche il motivo con cui si sostiene la violazione degli obblighi partecipativi e la lesione del legittimo affidamento da parte dell’impresa circa la possibilità di continuare la propria attività di recupero di rifiuti alimentari per la produzione di mangimi.

In proposito, correttamente il T.a.r. ha ritenuto che la nota della Provincia del 16 marzo 2009 non integri un annullamento d’ufficio della precedente autorizzazione, contenendo un invito all’adeguamento delle attività dell’impresa nei sensi imposti dalla nota esplicativa del Ministero del lavoro e della salute 19.1.2009. Peraltro, deve ritenersi che l’amministrazione abbia dimostrato in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, così superando la censura di carattere formale relativa all’omesso inoltro dell’avviso di avvio del procedimento, ai sensi del comma 2 dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990 introdotto dalla legge n. 15 del 2005, applicabile tanto alla ipotesi di atto vincolato che a quella di atto discrezionale (Cons. Stato Sez. VI, 07062011, n. 3416; 11052011, n. 2795).

Né, di fronte alla tutela di beni superiori quale il diritto alla salute, può accordarsi preminenza all’affidamento maturato in virtù di una lunga attività dell’impresa nel settore del recupero di scarti alimentari per la produzione di mangimi. In disparte la circostanza che l’inizio dell’attività va collocato in epoca anteriore all’entrata in vigore della più recente disciplina in materia, occorre considerare che qualsiasi affidamento, divenuto contra legem, ha carattere del tutto recessivo rispetto all’interesse pubblico tutelato dalla legge e può valere, al più, a consentire, come nella specie disposto dalla ASL, un adeguamento alla sopravvenuta disciplina.

Da respingere è anche il quinto motivo con cui l’appellante ripropone i motivi aggiunti riguardanti le prescrizioni imposte dalla ASL.

Tali prescrizioni, invero, sono pienamente in linea con le premesse secondo cui è inibita l’utilizzazione di rifiuti per la produzione di mangimi ed è quindi superfluo invocare il rispetto da parte dell’appellante della normativa in materia di attività di recupero e di rintracciabilità delle materie prime secondarie derivanti da recupero, evidentemente esulante dalla centrale contestazione emergente dall’ispezione.

Quanto, infine, al motivo per cui la determinazione della Provincia di Perugia n. 6998 del 28 luglio 2009, di modifica dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto, contenente l’inibizione alla produzione di mangimi da rifiuti, sarebbe in contrasto con il regolamento n. 767 del 13 luglio 2009, che all’allegato III,contenente elenco dei materiali il cui uso ai fini dell’alimentazione animale è vietato, non fa riferimento ai rifiuti alimentari, deve convenirsi col primo giudice che, in disparte la non applicabilità ratione temporis alla fattispecie del regolamento, esso contiene, al decimo considerando, la precisazione per cui l’esistenza dell’allegato "non dovrebbe, tuttavia, essere interpretata in modo tale che tutte le sostanze ivi non comprese possano, in quanto tali, essere considerate sicure". Ne discende la compatibilità dell’elenco con la verifica circa la natura dei materiali utilizzati come sottoprodotti e non come rifiuti recuperati, fermo restando che anche i primi non possono contenere le sostanze di cui all’allegato III, come, ad esempio, gli imballaggi provenienti dall’utilizzazione di prodotti dell’industria agroalimentare. Trattasi, evidentemente, di un ulteriore limitazione che non confligge con le disposizioni generali in materia di materiali utilizzabili per la produzione di mangimi.

Conclusivamente, l’appello va respinto.

La complessità e novità delle questioni giustificano la compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *