Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-05-2011) 25-07-2011, n. 29783 Giudizio abbreviato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

T.I. e D.F.C. sono stati ritenuti colpevoli di sequestro di persona e lesioni personali gravi (capi A e B), il solo T. anche di tentata estorsione (capo C), in danno del connazionale S.I., con sentenza 19.2.2010 della Corte d’Appello di Roma che ha confermato quella emessa in data 23.4.2008 dal G.u.p. del Tribunale di Roma ad esito di giudizio abbreviato.

I primi due fatti avvenivano il (OMISSIS) allorchè, secondo la versione della p.o. S. ritenuta attendibile dai giudici di merito, egli era stato prelevato da più di cinque uomini presso la roulotte dove alloggiava in quanto ritenuto l’autore del furto, nell’abitazione di D., di seimila Euro e di alcuni preziosi, e, dopo essere stato immobilizzato e incappucciato, era stato caricato su un’autovettura e portato in una zona boschiva dove lo avevano spogliato e picchiato, legandolo con una corda ad un albero.

L’azione era stata interrotta dall’arrivo di alcuni motociclisti, i quali avevano minacciato gli aggressori di chiamare le forze dell’ordine. Tre giorni dopo, tuttavia, il giorno di Natale, T. lo aveva minacciato telefonicamente, usando l’utenza di D., di tornare con gli stessi amici se non avesse versato seimila Euro, dandogli appuntamento per la consegna della somma.

S. allora decideva di denunciare i fatti e all’appuntamento fissato da T. presenziavano, appostati, i carabinieri, i quali intervenivano quando questi minacciava di morte la p.o. e lo fermavano, mentre un complice riusciva a darsi alla fuga. La successiva perquisizione in casa del D., dove sopraggiungevano lo stesso D.F., N. e I., i quali, dopo un tentativo di fuga, erano pure sottoposti a fermo, consentiva di trovare un corda con probabili tracce ematiche.

Il ricorso proposto dagli imputati per il tramite del difensore avv. Massimo Mercurelli, si articola in due motivi.

1) Vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità. Poichè S., responsabile o non che fosse del furto in danno di D., aveva la necessità, visto che gli imputati erano convinti che egli lo fosse, di anticipare le mosse di questi, presentando denuncia prima di essere a sua volta denunciato, la corte territoriale, per sottrarsi a qualunque censura di legittimità, avrebbe dovuto considerare la possibilità di un’accusa calunniosa e quindi indicare le ragioni dell’attendibilità della versione della p.o.. Invece l’esistenza del movente di una possibile calunnia è stata del tutto ignorata, nonostante le dichiarazioni di S. costituiscano il fondamento esclusivo dell’affermazione di responsabilità, non potendo questa fondarsi sugli esiti dell’osservazione diretta dei CC. Infatti non è credibile che T., durante l’incontro al quale avevano assistito le forze dell’ordine, avesse usato l’italiano per minacciare di morte la p.o. se non gli avesse dato i soldi (il m.llo C.V., sentito in sede di rinnovazione del dibattimento, aveva riferito che l’imputato aveva usato l’italiano, mentre, secondo il primo giudice, aveva parlato in rumeno ma in modo comunque comprensibile). Il ricorrente deduce che la sentenza di secondo grado, in sede di verifica dell’attendibilità della p.o. ha ignorato: a) l’incompatibilità della ricostruzione dell’aggressione -indicata come opera di sette/otto persone, accompagnata da pugni e calci su tutto il corpo e culminata in una sorta di impiccagione ad un albero- con il tipo di lesioni refertate la sera del (OMISSIS), che si limitano a frattura scafoide carpale destro (questa in particolare, riguardando il polso, incompatibile con la torsione o schiacciamento del braccio descritti dalla p.o.), sospetta frattura zigomo destro, abrasione laterale del collo a destra; b) la circostanza che la presentazione della denuncia tre giorni dopo il fatto, non consente di escludere una diversa eziologia delle lesioni; c) la contraddittoria indicazione dell’orario del fatto (l’una del mattino ai medici, mentre molto antecedente è quello ricavabile dalla denuncia, in cui il prelievo presso la roulotte era collocato intorno alle 17/17,30), sintomo di non veridicità della versione della p.o.;

d) l’illogicità della tesi dell’intervento dei motociclisti: se costoro fossero stati animati da tanto senso civico, non avrebbero mancato di avvisare le forze dell’ordine, avendo tra l’altro avuto l’opportunità di rilevare la targa del veicolo a bordo del quale gli aggressori si erano allontanati con la vittima.

2) Vizio di motivazione in ordine alla determinazione sia della pena base che dell’aumento per la continuazione, stante il mero rinvio a parametri astratti, non rapportati al caso concreto.

La richiesta è quindi di annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va disatteso.

1) La censura prospettata con il primo motivo maschera, sotto l’apparente deduzione del vizio motivazionale, il tentativo di sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio, rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito e già adeguatamente valutati sia dal G.u.p. che dalla corte d’appello.

Nel caso in esame in entrambe le pronunce è stato ineccepibilmente osservato che la prova del fatto ascritto all’imputato riposava sulla testimonianza della persona offesa, prudentemente valutata, secondo la pacifica regola di giudizio secondo cui tali dichiarazioni possono, anche da sole, sostenere un’affermazione di penale responsabilità, ove sottoposte ad un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, nella specie adeguatamente effettuato, e nel sostegno a questa che poteva trarsi dall’operazione di PG eseguita in occasione dell’incontro tra S. e T., nonchè dal referto medico rilasciato al primo.

Altrettanto compiutamente e logicamente è stata esclusa la possibilità di una denuncia calunniosa -ancorata nel ricorso alla necessità di battere sul tempo gli avversari-, evidenziando una serie di elementi a conferma dell’inverosimiglianza di tale ipotesi.

Quali la circostanza che il preteso furto in casa D. era stato denunciato soltanto un mese dopo i fatti ascritti agli imputati e solo successivamente all’arresto di costoro -particolari idonei a mettere in dubbio perfino l’effettivo verificarsi di tale reato-; la plausibilità del timore di possibili ritorsioni quale causa della ritardata denuncia, poi imposta dall’ulteriore iniziativa assunta da T.; la corrispondenza al vero del possesso dell’utenza del coimputato da parte di T., il giorno di Natale (OMISSIS), confermato dalla fidanzata di D..

Correttamente, poi, i giudici di merito hanno ravvisato riscontri alla versione della p.o., da un lato negli esiti dell’osservazione diretta da parte dei carabinieri in occasione dell’incontro tra S. e T., dall’altro nel referto medico rilasciato al primo la sera del (OMISSIS).

Invano nel ricorso si tenta di svalutare la forte portata del primo dato -attestante che il faccia a faccia era finalizzato ad estorcere denaro alla p.o., avendo i carabinieri udito l’imputato minacciare quest’ultimo di morte ("dammi i soldi o ti ammazzo")-, con il richiamo alla presunta impossibilità che il colloquio tra i due si fosse svolto in italiano. Infatti il contrasto tra quanto ritenuto nella sentenza di primo grado (pronunciata ad esito di giudizio abbreviato) -e cioè che la frase in rumeno fosse comunque comprensibile-, e la versione del m.llo C., sentito in appello in sede di rinnovazione del dibattimento -secondo cui il colloquio si era svolto in parte in italiano e la frase minacciosa era stata pronunciata in quest’ultima lingua-, è solo apparente, risolvendosi in due diversi modi di spiegare ciò che è comunque certo, e cioè che i CC. percepirono l’intimidazione, come conferma il fatto che intervennero effettuando il fermo di T., mentre un complice riuscì ad eclissarsi.

Il tipo di lesioni riscontrate sulla p.o., poi, è stato correttamente ritenuto idoneo ad avvalorare la versione di questi secondo cui gli era stata messa una corda al collo (abrasione laterale del collo), al verosimile fine di spaventarlo, non certo di impiccarlo, mentre la frattura della mano è sostanzialmente compatibile con la sua affermazione di aver riportato la frattura del braccio, trattandosi di parti del corpo comunque prossime.

Le ulteriori argomentazioni del ricorrente toccano infine aspetti di marginale rilevanza, oggetto peraltro di esauriente disamina da parte della corte. Così l’apparente differenza tra l’orario dell’aggressione indicato in denuncia e quello riferito ai medici, è stata plausibilmente attribuita all’imprecisione nel primo atto circa la durata dell’azione, l’ora esatta dell’aggressione e il termine dell’attività aggressiva, sottolineandosi l’assenza di qualsivoglia ragione per la quale S., a pochi giorni dal fatto, sarebbe dovuto cadere in contraddizione, se davvero la sua denuncia fosse stata una messinscena per liberarsi degli imputati.

Meramente alternativa è poi l’indicazione, da parte dei ricorrenti, del comportamento asseritamente più logico che i motociclisti, da cui S. ha riferito di essere stato salvato nella prima occasione, avrebbero dovuto tenere, se racconto del salvataggio fosse vero.

In conclusione la sentenza impugnata non è sindacabile in questa sede perchè questa corte non deve condividere o sindacare la decisione, ma verificare se, come nel caso in esame, la sua giustificazione sia sorretta da validi elementi dimostrativi, non abbia trascurato elementi in astratto decisivi, sia compatibile con il senso comune e, data come valida la premessa in fatto, sia logica:

se sia, in poche parole, esauriente e plausibile.

2) Infondato è il secondo motivo, inerente al trattamento sanzionatorio. Invero l’assunzione quale base per il reato di sequestro di persona, di una pena assai superiore al minimo edittale, è stata congruamente giustificata con la gravità dei fatti, l’intensità del dolo, il numero dei reati e la personalità dei soggetti. Criteri che, previsti dall’art. 133 c.p. quali parametri di commisurazione della pena, sono stati correlati in modo logico e coerente alle caratteristiche del caso concreto. Senza contare che, per quanto nel dispositivo della sentenza di primo grado, il giudizio di comparazione tra le attenuanti generiche e le aggravanti (quella del numero delle persone contestato ad entrambi in relazione al sequestro di persona, la recidiva specifica contestata a D.) sia indicato come di equivalenza, è stata tuttavia effettuata, secondo quanto risulta dalla motivazione, la riduzione di un terzo per le prime. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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