Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 26-05-2011) 25-07-2011, n. 29662

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con l’ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale di Napoli ha rigettato l’appello proposto, ai sensi dell’art. 310 c.p.p., da I.A. contro il provvedimento del 17 dicembre 2010 con cui il Tribunale di S. Maria Capua Vetere aveva respinto la sua istanza di revoca della misura cautelare della custodia in carcere, applicata per i reati di cui agli artt. 110, 112 e 629 cpv. c.p., aggravati dalla L. n. 203 del 1991, art. 7.

Secondo l’accusa l’indagata, assieme con il fratello I. A., avrebbe costretto con minacce D.N.R., moglie di un altro fratello deceduto, I.C., ad allontanarsi dal territorio di (OMISSIS) e a interrompere l’attività commerciale dalla stessa svolta, estorsione posta in essere perchè la D.N., dopo la morte del marito, aveva coltivato una relazione sentimentale non gradita alla famiglia I., in quanto in contrasto con il "codice d’onore camorrista", inoltre, perchè vi era il rischio che la cognata potesse rivolgersi all’autorità di polizia per questioni relative ad un immobile a lei intestato dalla famiglia I. a titolo fiduciario.

Il Tribunale del riesame ha ritenuto che gli elementi allegati dall’imputata a sostegno dell’istanza di revoca non fossero idonei a superare la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3 e che, inoltre, il pericolo concreto di reiterazione dei reati fosse desumibile dalla sua personalità. 2. – L’avvocato Biffa Massimo, nell’interesse dell’indagata, ha proposto ricorso per cassazione, in cui contesta l’ordinanza del Tribunale là dove aderisce all’indirizzo maggioritario della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la presunzione di pericolosità di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3 e, quindi, di inadeguatezza delle misure diverse dalla custodia cautelare in carcere opera non solo con riferimento al provvedimento cautelare genetico, ma anche riguardo alla prosecuzione della misura:

richiamando una decisione di questa sezione, sostiene che l’obbligatorietà della custodia in carcere non concerne le vicende successive all’adozione della misura coercitiva, come appunto la revoca o la sostituzione, perchè in tali casi il giudice è tenuto a valutare il decorso del tempo e la concreta sussistenza della pericolosità sociale che, qualora risulti attenuata, consente l’applicazione di una misura meno affittiva.

Il ricorrente, inoltre, rileva che l’ordinanza non ha preso in esame gli elementi offerti dalla difesa per dimostrare l’insussistenza delle esigenze cautelari, cioè la ricomposizione dei rapporti con la cognata e l’arresto del fratello I.A., facendo riferimento ad un "contributo causale di non poco momento" da parte della I. nel costringere la cognata, D.N., ad allontanarsi dalla famiglia perchè invisa ai vertici del clan dei casalesi, ma senza spiegare cosa avesse fatto in concreto l’indagata, anzi inserendo tale condotta nella logica mafiosa, mentre si sarebbe trattato di una vicenda tutta interna a semplici dinamiche familiari.

Viene sottoposta a censura anche quella parte dell’ordinanza in cui si fa riferimento alla pericolosità dell’imputata senza specificare da dove viene desunta e senza considerare la sua incensuratezza.

Infine, si contesta il provvedimento impugnato là dove afferma la sussistenza del pericolo di reiterazione delle condotte illecite, omettendo di tenere in debito conto la circostanza, puntualmente evidenziata davanti al Tribunale, dell’avvenuta riconciliazione dell’indagata con la D.N..

3. – Il ricorso è infondato.

3.1. Questo Collegio ritiene di condividere l’interpretazione prevalente della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la presunzione di inadeguatezza delle misure cautelari diverse dalla custodia in carcere per i reati indicati dall’art. 275 c.p.p., comma 3 non consente di sostituire la custodia in carcere, originariamente applicata, con quella degli arresti domiciliari (da ultimo, tra le tante, Sez. 5, 8.6.2010, n. 27146, P.M. v. Femia).

Ne consegue che correttamente il Tribunale ha considerato sussistente la presunzione di cui alla norma citata anche per le vicende successive all’adozione della misura coercitiva, escludendo che potesse considerarsi superata dalle circostanze dedotte dalla difesa, relative alla ricomposizione dei rapporti dell’indagata con la cognata e all’avvenuto arresto del fratello, I.A..

Infatti, il Tribunale ha precisato che si tratta di elementi di fatto che possono avere attenuato le esigenze cautelari, ma non eliminato;

sicchè, permanendo la pericolosità sociale dell’indagata, deve confermarsi la custodia cautelare in carcere, anche in considerazione della gravità dei fatti per i quali si procede e del contributo determinante che l’indagata ha dato nella realizzazione dell’estorsione.

In questo modo, l’ordinanza ha fatto una applicazione corretta dell’art. 275 c.p.p., comma 3 fornendo una motivazione coerente delle ragioni per cui assume la persistenza delle esigenze cautelari.

4. – Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La Cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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