Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 20-05-2011) 25-07-2011, n. 29832 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale del riesame di Napoli, con ordinanza dell’11 novembre 2010, ha confermato l’ordinanza del 12 ottobre 2010 del GIP del medesimo Tribunale con la quale veniva disposta la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di V.L., F.A., P.L., S.M., F.G. e F.L. (poi sostituita per F. A. con la misura degli arresti domiciliari), indagati per i delitti di spaccio e di associazione a delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti, D.P.R. n. 309 del 1990, ex artt. 73 e 74. 2. Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo del loro comune difensore sia pur con ricorsi diversi ma di sostanziale identità, tutti gli imputati lamentando:

a) la nullità dei decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche (in particolare di quello n. 402/08) in quanto privi di motivazione;

b) l’illogicità della motivazione e la violazione di legge in merito alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza;

c) l’illogicità della motivazione e la violazione di legge in merito alla sussistenza dell’associazione a delinquere;

d) la violazione di legge in merito alla sussistenza delle esigenze cautelari nascenti dal pericolo di commissione di delitti della medesima specie (evidenziandosi con riferimento al P. la sua incensuratezza).

Motivi della decisione

1. I ricorsi, che possono essere esaminati cumulativamente in quanto ripropongono le medesime questioni, non sono da accogliere.

2. Il primo motivo, relativo alla pretesa mancanza di motivazione dei decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche (con la consequenziale inutilizzabilità delle stesse), va in senso contrario al contenuto degli atti e alla pacifica giurisprudenza di legittimità nella materia.

Invero, da un lato, come già affermato dal Tribunale del riesame e proprio per rispondere alla doglianza dei ricorrenti sul punto, i vari decreti autorizzativi delle intercettazioni risultano puntualmente motivati e in particolare l’unico espressamente indicato dai ricorrenti (n. 402/08).

D’altra parte, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, proprio in tema di reati contro la criminalità organizzata si afferma la legittimità delle intercettazioni giustificate e assunte sulla base anche delle sole informative della Polizia Giudiziaria (v. di recente, Cass. Sez. 1^ 22 aprile 2010 n. 20262).

3. Quanto al secondo motivo, il ricorso si riferisce alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Va, di converso, rilevato come l’impugnata ordinanza fondi la sua decisione su un robusto complesso di elementi, che ben si estendono anche al di là dei risultati delle intercettazioni (sia telefoniche che ambientali) e più in particolare sulle dirette operazioni di osservazione, pedinamento e controllo (con attività di videosorveglianza) da parte dei Carabinieri, nonchè sull’oggettività del materiale sequestrato in abitazioni e autovetture (diversi quantitativi di sostanze stupefacenti).

L’ordinanza in esame, poi, pone a fondamento della propria decisione anche le dichiarazioni dei protagonisti della vicenda, avendo gli acquirenti della droga ammesso gli acquisti dagli odierni ricorrenti, che vengono, vieppiù, indicati concretamente e riconosciuti fotograficamente.

Tale corposo e convergente materiale accusatorio, basilare nel tessuto motivazionale dell’impugnata ordinanza e sicuramente di per sè più che sufficiente a giustificare la ricorrenza, allo stato ed a questi fini, del requisito della gravità indiziaria, non è in alcun modo attinto dai motivi del proposto ricorso.

L’art. 192 c.p.p., comma 3, infatti, pone una regola legale di valutazione della prova o dell’indizio ed è elemento da tenere distinto dalla valutazione sulla gravità indiziaria.

La qualifica di gravità deve, invero, caratterizzare gli indizi di colpevolezza e attiene al quantum di "prova" idoneo ad integrare la condizione minima per l’esercizio, sulla base di un giudizio prognostico di responsabilità, del potere cautelare: essa, a differenza di quanto accade per la prova funzionale alla decisione della fase del giudizio, non può che riferirsi al grado di conferma, allo stato degli atti, dell’ipotesi accusatoria, e ciò a prescindere dagli effetti, non ancora apprezzabili, eventualmente connessi alla dinamica della prova nella successiva evoluzione processuale.

4. Il terzo motivo di ricorso, attinente alla contestata esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, cozza anch’esso contro le risultanze processuali e la giurisprudenza di legittimità nella materia.

Dal complesso delle attività poste in essere dagli inquirenti l’impugnata ordinanza chiaramente fa discendere l’esistenza del necessario vincolo associativo, operante consapevolmente tra gli indagati e ne da conto con ampia e logica motivazione (v. a partire dalla pagina 30 in generale e dalla pagina 46 della motivazione con distinzione a seconda della figura specifica del singolo indagato).

D’altra parte, ancora una volta secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, l’esistenza del vincolo associativo criminoso non viene elisa dall’appartenenza degli indagati al medesimo nucleo familiare, potendo l’associazione sussistere anche allorquando i singoli episodi delittuosi risultino qualificati da abituale o significativa reiterazione e connotati dal necessario carattere individualizzante (v. di recente Cass. Sez. 6^ 5 maggio 2009 n. 24460 e Sez. 1^ 4 marzo 2010 n. 17206).

5. L’ultimo motivo di ricorso è relativo alla ritenuta insussistenza delle esigenze cautelari.

Ma anche tale doglianza non coglie nel segno.

In generale, nell’ordinanza impugnata si evidenziano con chiarezza le esigenze cautelari (v. pagina 52 della motivazione) che impongono, ai sensi dell’art. 274 c.p.p., l’adozione della misura cautelare personale e nella forma massimali sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 3.

In particolare, nel ricorso proposto da P.L. (ma anche in quello di V.L. nel quale per mero lapsus calami si cita ancora il nominativo del P., v. pagina 26 del ricorso) si fa, poi, perno sulla sua incensuratezza per evidenziare la mancanza di concrete esigenze cautelari ma, sempre dall’esame dell’impugnata ordinanza (v. pagina 45), si evince, al contrario, la particolare pericolosità di tale soggetto che, a mezzo dell’utilizzo di apparecchiature elettroniche, era riuscito a individuare la presenza di una microspia così impedendo il protrarsi delle attività di ascolto.

6. I ricorsi vanno, in conclusione, rigettati e i ricorrenti condannati, ciascuno di essi, al pagamento delle spese processuali.

Deve, inoltre, procedersi agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter nei confronti degli imputati detenuti con l’eccezione, quindi, di F.A. che si trova agli arresti domiciliari.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter eccezion fatta per F.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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