Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-05-2011) 25-07-2011, n. 29828 Aggravanti comuni danno rilevante

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 24-8-2010 il Giudice Monocratico del Tribunale di Milano disponeva ai sensi dell’art. 444 c.p.p., su concorde richiesta delle Parti, nei confronti di N.N.A., imputato del delitto di furto ai sensi dell’art. 624 c.p. e dell’art. 625 c.p., n. 4, l’applicazione della pena di mesi sei di reclusione ed Euro 200,00 di multa.

Nella specie si era verificato il furto all’interno di un supermercato, con il prelievo di mercè dai banchi di vendita, con l’aggravante di avere agito con destrezza, e con contestazione della recidiva reiterata specifica, infraquinquennale.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato deducendo la erronea qualificazione giuridica del fatto, nonchè censurando la sentenza ove si era ritenuta l’ipotesi del furto consumato, e non il semplice tentativo.

Infine deduceva l’inosservanza della legge penale per l’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 4.

Per tali motivi il ricorrente rilevava che si sarebbe trattato di un furto semplice, in riferimento al quale era carente la condizione di procedibilità.

Il PG in Sede ha formulato richiesta di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso deve ritenersi inammissibile.

In particolare si censura la qualificazione giuridica del fatto – come furto consumato – ritenendo applicabile il tentativo, e si nega l’esistenza dell’aggravante della azione caratterizzata dalla destrezza. Si perviene, infine, a ritenere l’azione penale improcedibile per la diversa ipotesi di reato.

Orbene, come osservato dal PG requirente,con argomentazioni che si ritiene di richiamare perchè pienamente condivise dal Collegio – il motivo deve ritenersi manifestamente infondato, in quanto va ricordato che le parti che sono pervenute all’applicazione della pena su loro richiesta non possono proporre, in sede di legittimità, questioni incompatibili con la richiesta di "patteggiamento" formulata per il fatto contestato e per la sua qualificazione giuridica risultante dalla contestazione. Pertanto, rilevato che risulta intervenuto l’accordo, deve evidenziarsi che sulla legittimità dello stesso viene preventivamente svolto il controllo del giudice procedente.

A seguito della definizione del patteggiamento, secondo giurisprudenza di questa Corte che il PG richiama – Sez. 6^ del 21-l- 1999, n. 2815, Mingon, in CED-RV 213471 l’imputato non può rimettere in discussione l’accusa come contestata. Il PG rileva altresì correttamente – "che l’ammissibilità di dedurre in sede di legittimità avverso la sentenza di patteggiamento, un’erronea qualificazione giuridica del fatto: cfr. Cass. Sez. Un., c.c. 19-1- 2000, dep. 28.4.2000, n. 5, Neri, in CED, RV 215825- non può spingersi fino al punto di sindacare la sussistenza o meno degli elementi costitutivi del reato e delle circostanze aggravanti contestate, attraverso un riesame delle risultanze di merito, "poichè il potere di controllo del giudice sulla correttezza della qualificazione giuridica del fatto, si sostanzia e si esaurisce "nel riscontro della astratta corrispondenza della fattispecie legale rispetto al fatto come risulta articolato nella contestazione".

Tali rilievi superano altresì le deduzioni inerenti alla mancanza di procedibilità d’ufficio del reato di cui si tratta.

Al riguardo vale citare giurisprudenza che il PG richiama (Sez. 1^, CC. 27-1-1999 n. 752, Forte – in CED-RV 212742, ed altre, tra cui SS.UU. ud. 27.9.1995, n. 10372) rilevando che il Giudice può soddisfare l’obbligo della motivazione sulla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p, dando atto della verifica dell’assenza delle cause di proscioglimento, come nella sentenza impugnata risulta essere precisato, avendo il Giudice richiamato gli elementi desumibili dal verbale di arresto.

Conseguentemente va dichiarata l’inammissibilità del ricorso, ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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