T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 03-08-2011, n. 6932

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 30 ottobre 2009 e depositato il 20 novembre successivo, il ricorrente – in qualità di testimone di giustizia – impugna la delibera con la quale la Commissione Centrale ex art. 10 della legge n. 82 del 1991, oltre a non prorogare il programma speciale di protezione, ha disposto di erogare a favore del predetto e dei di lui nuclei familiari "la rispettiva somma pari alla capitalizzazione delle misure di assistenza percepite, riferite al periodo di dieci anni, per agevolare il reinserimento sociale" e "di erogare altresì al predetto testimone un contributo straordinario di Euro 100.000".

In particolare, il ricorrente espone quanto segue:

– di aver iniziato a collaborare con le forze dell’ordine in data 4 novembre 1999, a seguito della barbara uccisione il precedente 3 novembre 1999 del di lui fratello, V.N.V., il quale – assieme al fratello S. – aveva deciso di avviare, tra l’altro, un’agenzia di pompe funebri, da subito ostacolata dai fratelli M., che già esercitavano detta attività "in regime di assoluto monopolio;

– in data 5 febbraio 2000 anche il fratello S. era vittima di omicidio;

– a causa di tentativi omicidiari nei di lui confronti e della lentezza dello "Stato nell’adottare un se pur provvisorio programma di protezione", in data 30 marzo 2000 si recava in Sud America con il suo nucleo familiare (moglie e quattro figli) e gli anziani genitori;

– il 10 maggio del 2001 rientrava in Italia sollecitato dalla D.D.A. di Palermo, "al fine di rendere le testimonianze nei processi instaurati grazie alla sua collaborazione";

– fin da subito veniva condotto in località protetta;

– il 14 maggio 2002 la Commissione adottava misure di protezione e di assistenza definitive;

– in data 25 agosto 2005 il programma di protezione veniva esteso ai suoi familiari e, precisamente, alla madre, a due sorelle ed a rispettivi coniugi ed a due nipoti;

– nel 2007 chiedeva alla Commissione Centrale di fuoriuscire dal programma di protezione "previa capitalizzazione delle misure assistenziali", presentando – a tale fine – un progetto di reinserimento che prevedeva la realizzazione di un’azienda agricola per un costo pari a Euro 2.670.000,00;

– soltanto in data 5 marzo 2009 veniva convocato dinanzi alla Commissione Centrale, la quale – rappresentati i parametri previsti per la "capitalizzazione" per il medesimo ed i nuclei collegati – gli indicava una somma pari a circa Euro 1.300.000,00;

– all’incirca un mese dopo comunicava "la volontà di accettare la somma a titolo di capitalizzazione" ma – nel contempo – proponeva alcune condizioni (riguardanti le modalità di versamento e di utilizzo, la possibilità per i figli di continuare gli studi con le generalità di copertura e l’erogazione di un’ulteriore somma a titolo di contributo straordinario);

– con il provvedimento emesso nella riunione del 24 giugno 2009, la Commissione incaricava il Servizio Centrale di Protezione di erogare "al testimone di giustizia V.N.A. ed ai nuclei collegati la rispettiva somma pari alla capitalizzazione delle misure di assistenza percepite, riferite al periodo di dieci anni, per agevolare il reinserimento sociale; di erogare altresì al predetto testimone un contributo straordinario di Euro 100.000,00….";

– già prima della notifica della delibera, il ricorrente chiedeva un incontro congiunto con componenti della DNA e della DDA innanzi alla Commissione Centrale perché la proposta di fuoriuscita dal programma di protezione alle condizioni fissate era considerata inaccettabile;

– a ridosso della notifica, comunicava il proprio dissenso alla delibera e reiterava la richiesta di essere convocato;

– nella seduta del 9 settembre 2009, la Commissione Centrale – con la delibera notificata il 12 ottobre 2009 – riteneva definita la sua posizione e, dunque, confermava la precedente delibera del 24 giugno 2009.

Avverso le delibere impugnate il ricorrente insorge deducendo i seguenti motivi di diritto:

A) VIOLAZIONE ED ERRONEA APPLICAZIONE DELLA L. 15.03.1991 N. 82 PER COME MODIFICATA DALLA L. N. 45/2001. ECCESSO DI POTERE, OMISSIONE DEI PRESUPPOSTI DI FATTO SUI QUALI SI FONDA L’AVVERSATA DELIBERAZIONE IN RELAZIONE ALL’ART. 16 TER LETT. E) DELLA L. N. 82 DEL 1991. La delibera della Commissione Centrale del 24 giugno 2009 si rivela illegittima per la "totale assenza di previsione e riconoscimento della somma dovuta a titolo di ristoro del mancato guadagno" "derivante dalla cessazione dell’attività lavorativa propria e dei familiari nella località di provenienza", in contrasto con l’art. 16 ter di cui sopra. Posto che, in caso di cessazione dell’attività, l’elargizione di legge va liquidata nei limiti della quantificazione dei danni connessi alla perdita dei beni, il cui ripristino è condizione per la ripresa dell’attività, l’Amministrazione doveva tener conto: – dell’attività commerciale di vendita e noleggio di video giochi, slot machine, flippers, juke box, calcio balilla, biliardi e altri giochi svolta dal ricorrente; – della circostanza che quest’ultimo era agente esclusivo del marchio "lilium giochi" nella provincia di Agrigento; – della vincita del bando di gara per la concessione e installazione di 2.500 slot machine per Casinò nella provincia di Entre Rios per la durata contrattuale di anni 20. Ciò non è avvenuto. In aggiunta, l’Amministrazione doveva valutare il reddito prodotto dai terreni agricoli. Tali terreni sono diventati incolti ed improduttivi "e il danno è ancora da valutare".

B) VIOLAZIONE ED ERRONEA APPLICAZIONE DELLA L. 15.03.1991 N. 82 SOTTO ALTRO E DIVERSO ASPETTO. ECCESSO DI POTERE PER CARENZA ED ERRORE DI MOTIVAZIONE. CARENZA ED ERRORE DI ISTRUTTORIA. La norma in esame è stata violata anche per la parte che dispone che la somma a titolo di mancato guadagno deve essere "concordata" tra le parti. Il ricorrente ha, infatti, rappresentato in data 20 agosto 2009 che era paradossale non ottenere alcuna somma a titolo di mancato guadagno ma tale richiesta è rimasta inevasa. La successiva delibera del 9.9.2009 non può essere intesa come rigetto motivato dell’istanza di audizione per chiarimenti circa la ritenuta lesività dei propri diritti in quanto prende in considerazione solo la richiesta del ricorrente di poter gestire personalmente l’intero importo.

C) VIOLAZIONE ED ERRONEA APPLICAZIONE DELLA L. 15.03.1991 N. 82 COSI" COME MODIFICATA DALLA LEGGE 45/2001 SOTTO ALTRO DIVERSO ASPETTO. ECCESSO DI POTERE PER CARENZA ED ERRORE DI MOTIVAZIONE. CARENZA ED ERRORE DI ISTRUTTORIA. TRAVISAMENTO DEI FATTI, ILLOGICITA" ED INGIUSTIZIA. Ipotizzando che il mancato guadagno è stato conglobato nella capitalizzazione dell’assistenza, la delibera sarebbe illegittima per i seguenti motivi: – la somma erogata per la capitalizzazione delle misure di assistenza e quella erogata a titolo di mancato guadagno sono cose diverse; – i parametri rappresentati nell’audizione del 5 marzo 2009 sono inadeguati a rappresentare il mancato guadagno; – l’accertamento del mancato guadagno non poteva essere effettuato con criteri esclusivamente formali bensì doveva fondarsi sulla ricostruzione reale ed effettiva della situazione economica del ricorrente.

D) VIOLAZIONE ED ERRONEA APPLICAZIONE DELLA L. 15.03.1991 N. 82 SOTTO ALTRO E DIVERSO ASPETTO. ECCESSO DI POTERE PER CARENZA ED ERRORE DI MOTIVAZIONE. CARENZA ED ERRORE DI ISTRUTTORIA. TRAVISAMENTO DEI FATTI. ILLOGICITA" ED INGIUSTIZIA. Non corrisponde a verità che la Commissione ha ritenuto di non disporre una nuova audizione del ricorrente "in ragione dell’accoglimento delle richieste" del medesimo. La delibera, infatti, nulla dice sulle condizioni proposte. Nel contempo, non stabilisce le quote del testimone e dei nuclei familiari. L’istanza di convocazione era, tra l’altro, finalizzata alla "quantificazione del risarcimento dei danni alla salute".

E) ECCESSO DI POTERE PER ILLOGICITA" ED INGIUSTIZIA MANIFESTA. Il mancato accoglimento delle richieste del ricorrente di essere ascoltato dalla Commissione Centrale e la mancata previsione di una somma a titolo di mancato guadagno hanno come conseguenza diretta l’impossibilità per lo stesso e per l’intera famiglia di reinserirsi pienamente nel mondo del lavoro, ripristinando il tenore di vita antecedente.

Con atto depositato in data 26 novembre 2009 si è costituito il Ministero dell’Interno, il quale – nel prosieguo e, precisamente, in data 9 maggio 2011 – ha depositato documenti, tra cui una nota in data 14 dicembre 2009 della Segreteria della Commissione Centrale ex art. 10 legge n. 82/1991, il cui contenuto può essere così sintetizzato: – per quanto attiene al mancato guadagno, il ricorrente è stato più volte sentito dalla Commissione; – al riguardo, sono stati anche acquisiti i dati reddituali e patrimoniali, i quali rivelano che quanto lamentato è privo di fondamento; – già con delibera del 10 settembre 2003, la Commissione aveva esaminato le richieste economiche del ricorrente, ritenendo di rigettarle nel rilievo che i profili di danno dedotti attenevano a periodi precedenti all’ingresso del testimone nel circuito tutorio; – quanto stabilito da tale delibera non è stato avversato nei termini e, dunque, non è oggi contestabile; – per la gestione delle proprie attività, il testimone può comunque nominare un rappresentante; – in tal senso si è attivato anche il ricorrente; – la Commissione ha disposto la capitalizzazione nella misura massima di 10 anni; – la Commissione ha anche disposto l’erogazione della somma di Euro 100.000,00, imputata a diverso titolo; – "ove la Commissione avesse inteso calcolare una somma a titolo di mancato guadagno, non avrebbe potuto discostarsi dalle risultanze della perizia del professionista incaricato, dovendo disporre una somma sicuramente inferiore ad Euro 100.000,00"; – la doglianza non rispecchia poi quanto affermato dal ricorrente che aveva inteso accettare i termini della capitalizzazione, senza alcun riferimento a tali pretese; – per quanto attiene ai beni immobili, il ricorrente poteva avvalersi della previsione dell’art. 16 ter, la quale prevede il diritto ad ottenere l’acquisizione dei beni al patrimonio dello Stato "a prezzo di mercato", procedura questa espletata dall’Agenzia del Demanio, preclusiva di richieste di eventuali danni connessi a beni immobili; – nessuna richiesta risulta avanzata per il danno biologico.

Con memoria depositata in data 8 giugno 2011 il ricorrente ha chiesto di ammettere consulenza tecnica.

All’udienza pubblica del 23 giugno 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso – il quale si profila maturo per la decisione, con conseguente rigetto dell’istanza del ricorrente di acquisizione di ulteriori mezzi istruttori – è infondato e, pertanto, va respinto.

2. Come esposto nella narrativa che precede, il ricorrente contesta le delibere con le quali – rispettivamente in data 24 giugno 2009 e in data 9 settembre 2009 – la Commissione Centrale ex art. 10 della legge 15 marzo 1991 n. 82 ha riconosciuto al predetto ed ai nuclei collegati la somma di Euro 1.300.200,00 "pari alla capitalizzazione delle misure di assistenza percepite, riferite al periodo di dieci anni, per agevolare il reinserimento sociale" ed un contributo straordinario di Euro 100.000,00 per consentire il trasporto di piante e masserizie.

A tale fine il ricorrente denuncia violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili.

Tali censure non sono meritevoli di condivisione per le ragioni di seguito esposte.

3. In primis, il ricorrente lamenta la totale assenza di "previsione e riconoscimento della somma dovuta a titolo di rimborso del mancato guadagno".

In particolare, asserisce che l’Amministrazione non ha tenuto conto che – negli anni in cui sono stati compiuti gli omicidi dei due fratelli ed è iniziata la collaborazione con le forze dell’ordine – il predetto svolgeva una vasta attività commerciale riguardante la vendita ed il noleggio di "video giochi, slot machine, flippers, juke box, calcio balilla, biliardi ed altri giochi di attrazione", era agente esclusivo del marchio "lilium giochi nella provincia di Agrigento" e ha dovuto, altresì, abbandonare l’opportunità imprenditoriale derivatagli dalla vincita del bando di gara per la concessione e installazione di 2.500 slot machine per casinò nella provincia di Entre Ros per la durata contrattuale di anni 20.

In relazione a tali attività – che asserisce di aver abbandonato a causa dell’ingresso nel circuito tutorio – afferma di aver subito un mancato guadagno valutato all’incirca in Euro 801.264,69 ed una perdita di avviamento pari a Euro 398.550,00, oltre ad altri danni indicati nella relazione peritale allegata.

Orbene, il Collegio ritiene che non siano stati dedotti elementi di fatto sufficienti a supportare la censura formulata.

3.1. Ai fini del decidere, è opportuno ricordare che l’art. 16 ter del d.l. 15 gennaio 1991, n. 8 prescrive il diritto per il testimone di giustizia, tra l’altro, "e) alla corresponsione di una somma a titolo di mancato guadagno, concordata con la Commissione, derivante dalla cessazione dell’attività lavorativa propria e dei familiari nella località di provenienza, sempre che non abbiano ricevuto un risarcimento al medesimo titolo, ai sensi della legge 23 febbraio 1999, n. 44. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 13 della legge 23 febbraio 1999, n. 44, e il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno è surrogato, quanto alle somme corrisposte al testimone di giustizia a titolo di mancato guadagno, nei diritti verso i responsabili dei danni……".

Al riguardo, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che "quindi, non sussistono dubbi sul fatto che, accanto alla capitalizzazione del costo dell’assistenza" – misura questa che, nel caso di specie, è stata disposta nel suo ammontare massimo – "esista altra e diversa provvidenza consistente in una somma di danaro a titolo di mancato guadagno derivante dalla cessazione dell’attività lavorativa propria e dei familiari nella località di provenienza", finalizzata a consentire ai soggetti già sottoposti a programma di protezione speciale di "essere reintegrati nello stato economico e patrimoniale precedente all’evento lesivo o alla sottoposizione al programma e di potere, conseguentemente, riprendere l’attività economica imprenditoriale".

In altri termini, il testimone di giustizia va riconosciuto titolare del diritto ad un’elargizione che consenta il ripristino delle condizioni iniziali "ai fini della continuazione o della ripresa dell’attività economica imprenditoriale incisa dall’assoggettamento al programma di protezione", sicchè il parametro del mancato guadagno va riferito alle "pregresse implicazioni negative, sulla redditività dell’impresa, connesse all’avvio del programma di protezione e per il tempo in cui lo stesso si sia protratto fino alla sua cessazione" (cfr., tra le altre, TAR Lazio, Sez. I ter, 20 febbraio 2007, n. 1492).

E’, pertanto, evidente che debbano ricorrere le seguenti condizioni:

a) l’interessato deve essere stato sottoposto a programma di protezione speciale;

b) la sottoposizione a tale programma deve aver determinato la cessazione dell’attività di impresa, in precedenza svolta, ossia deve porsi come la causa di quest’ultima (mentre alcuna rilevanza di per sé riveste l’impossibilità di gestire direttamente l’attività, stante, tra l’altro, il rilievo che la legge stessa prevede, all’art. 12, la nomina di rappresentanti per gli "atti da compiersi").

Orbene, in relazione al caso in esame la condizione sub b) non è riscontrabile.

Dalla documentazione agli atti risulta, infatti, che:

– a seguito dell’ammissione al programma di protezione speciale, il ricorrente ha incaricato altre persone di curare i propri interessi, rilasciando apposite "procure" per la gestione delle attività di cui era titolare e, dunque, quest’ultime sono proseguite;

– dalla relazione tecnica depositata dal ricorrente risulta genericamente che il ricorrente non ha più potuto "gestire direttamente l’azienda" (e, dunque, l’ha gestita indirettamente);

– nella stessa relazione si dà meramente atto che "l’attività andò mano a mano a calare; calo di attività che portò definitivamente la chiusura effettiva della stessa" – senza precisazione, tra l’altro, della data in cui ciò avvenne (in via meramente induttiva, l’anno appare individuabile nel 2006) – "con il deposito in 3 siti/magazzini delle macchine ormai inutilizzate", "causa le condizioni ambientali di stoccaggio ed il passar del tempo", ma in alcuna parte della relazione viene affermato che l’attività cessò a causa della particolare situazione in cui versava del ricorrente.

Ciò detto, appare evidente che non risultano addotte condizioni oggettive e concrete in base alle quali affermare che la sottoposizione al programma speciale di protezione ha costituito la causa della cessazione delle attività di cui il ricorrente era titolare.

In altri termini, l’asserzione della Segreteria della Commissione Centrale ex art. 10 legge n. 82/1991 secondo la quale "la censura………. è smentita dallo stesso interessato, che in più occasioni ha dichiarato di avvalersi di un proprio rappresentante nella gestione delle attività economiche…" – cfr. pag. 7 – è meritevole di condivisione.

3.2. In ogni caso, la quantificazione del "mancato guadagno" operata dal ricorrente è priva di valido, concreto riscontro.

Posta preliminarmente in evidenza la necessità di escludere somme attinenti a periodi in cui il ricorrente "non era inserito neanche nel piano provvisorio di protezione" e, dunque, riguardanti il periodo antecedente all’8 maggio 2001, anche per l’impossibilità di porre in discussione la delibera in data 10 settembre 2003 della Commissione Centrale ex art. 10 legge 15 marzo 1991, n. 82, prodotta agli atti, non oggetto di pronta impugnazione, il Collegio osserva che:

– la relazione prodotta agli atti dal ricorrente fa riferimento alle macchine da gioco distribuite nell’anno 1999 e, dunque, non prende in considerazione la situazione effettivamente esistente al momento dell’ammissione al programma di protezione (con detrazione, dunque, anche delle macchine della cui dismissione si fa menzione nella delibera della Commissione Centrale di cui sopra), pervenendo ad un valore dei beni inutilizzabili pari a Euro 240.525,62;

– per determinare la perdita di avviamento, la relazione de qua considera i versamenti di contanti effettuati sul conto corrente intestato all’attività nel triennio 199920002001, pervenendo alla somma di Euro 398.550;

– per determinare il mancato guadagno, la relazione persiste nel considerare i dati di cui al precedente alinea e, dunque, moltiplica Euro 104.516,42 per 7 (gli anni dal 2002 al 2008), somma poi maggiorata di interessi, per un valore complessivo pari a Euro 801.264,69.

Tutto ciò premesso, è chiaro che la relazione si fonda su dati "ipotetici" o, comunque, su valori che si rivelano inidonei a rappresentare la situazione economica effettiva del ricorrente.

In altre parole, la relazione in questione si profila carente, atteso che trascura del tutto i valori risultanti dalle dichiarazioni dei redditi e/o da scritture contabili.

Ciò detto, la relazione de qua non vale a supportare le pretese avanzate e, più specificamente, a comprovare il diritto ad una somma a titolo di mancato guadagno.

A ciò è da aggiungere che la documentazione agli atti non dimostra la produzione da parte del ricorrente alla Commissione Centrale di dati e/o elementi idonei a dare conto di un’ipotesi di "mancato guadagno", poi disattesi e, comunque, trascurati dalla Commissione stessa.

4. Il ricorrente denuncia, poi, l’abbandono di tutte la proprietà, le quali – per essere costituite principalmente da terreni agricoli – producevano un reddito non indifferente", affermando che "il danno è ancora da valutare".

Al riguardo, l’Amministrazione oppone che, in capo al testimone, "difetta la lesione del proprio interesse", attesa la possibilità di presentare ancora oggi alla Commissione la domanda di cui fa menzione l’art. 16 ter, comma 3, del d.l. 15 gennaio 1991, n. 8.

Tenuto conto della formulazione dell’art. 16 ter in argomento, il rilievo formulato dall’Amministrazione appare condivisibile.

E’, dunque, doveroso escludere che le delibere impugnate riguardino l’aspetto in argomento, ossia le conseguenze economiche riconnesse alla proprietà di beni immobili, derivanti dall’ammissione al programma speciale di protezione.

Ciò detto, le delibere de quae debbono essere ritenute insindacabili sotto tale profilo.

5. Il ricorrente sostiene che "la delibera impugnata" – da identificare con quella del 24 giugno 2009 – è illegittima in quanto non è derivata da una "trattativa".

Tale censura è sconfessata dalla documentazione agli atti, la quale rivela che la delibera in esame è frutto di numerose audizioni del ricorrente, oltre che dello scambio di lettere e note.

In particolare, la documentazione in esame dimostra che:

– nel corso delle riunione del 5 marzo 2009, la Commissione aveva deliberato di offrire la somma di Euro 1.300.200,00 (limite dei dieci anni di capitalizzazione delle misure di assistenza percepite da tutti i nuclei familiari);

– a tale offerta, il ricorrente aveva fornito riscontro con lettera del 26 marzo 2009, rappresentando disponibilità ad accettare "solo se: – la somma stessa venisse concessa liquida, in unica soluzione, e senza vincoli" con il progetto presentato; – oltre alla somma in questione, "gli venisse riconosciuta un’ulteriore somma per l’espianto ed il trasporto e stoccaggio di piante…."; – "i figli possano ultimare i rispettivi cicli di studio con le generalità di copertura…"; – "di restare sotto le misure tutorie economiche e di sicurezza sino al momento dell’ottenimento del cambio di generalità";

– con lettera del 24 giugno 2009 il ricorrente quantificava "l’ulteriore somma" di cui sopra in Euro 100.000,00;

– con la delibera impugnata, la Commissione deliberava di incaricare il Servizio Centrale di Protezione di erogare al ricorrente ed ai nuclei collegati la somma pari alla capitalizzazione delle misure di assistenza percepite, riferite al periodo di dieci anni, e di "erogare altresì al predetto testimone un contributo straordinario di Euro 100.000,00".

Tenuto conto che le condizioni proposte dal ricorrente – nei limiti in cui le stesse erano riferibili a profili economici – sono state oggetto di piena accettazione da parte dell’Amministrazione, è doveroso pervenire alla conclusione che la somma offerta risulta "concordata" tra le parti.

Per quanto attiene alle ulteriori condizioni poste dal ricorrente, è da rilevare, invece, che le stesse sono estranee alla "determinazione della somma" e, dunque, la loro mancata espressa condivisione da parte dell’Amministrazione – nell’ambito della delibera del 9 settembre 2009 – non vale ad escludere che la somma in ultimo riconosciuta sia frutto di "accordo"

Del resto, va evidenziato che:

– non risultano formulate richieste da parte del ricorrente riguardanti il mancato guadagno;

– anche la lettera del 20 agosto 2009 – richiamata dal ricorrente – non riporta alcun riferimento a quest’ultimo.

6. Dovendo darsi per incontestato – anche in virtù dell’espressa formulazione dei provvedimenti impugnati – che la somma riconosciuta al ricorrente ed ai nuclei familiari connessi non riguarda il "mancato guadagno", si ribadisce che non si ravvisano elementi che comprovino la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 16 ter, comma 1, lett. e), del d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, ossia non è riscontrabile la cessazione dell’attività lavorativa del ricorrente nella località di provenienza a causa dell’assoggettamento al programma di protezione.

In altri termini, non è dimostrato che il ricorrente ha perso l’attività "a causa della scelta di collaborare con la giustizia e quindi dell’entrata nel programma di protezione" (condizione questa a cui lo stesso ricorrente riconduce il diritto alla corresponsione di una somma a titolo di mancato guadagno – cfr. pag. 15 del ricorso).

Ciò detto, sono carenti i presupposti che – ai sensi di legge – impongono l’obbligo per l’Amministrazione di procedere alla quantificazione del "mancato guadagno", svolgendo la necessaria attività istruttoria.

In ragione di tale constatazione, alcuna violazione di un tale obbligo è rilevabile.

La documentazione prodotta agli atti – comunque – rivela che l’aspetto del mancato guadagno non è stato trascurato dall’Amministrazione.

Risultano, infatti, depositate risultanze peritali, le quali dimostrano l’espletamento di indagini in ordine al "mancato guadagno", attestando "redditi d’impresa" particolarmente ridotti (al di sotto della misura complessiva annua dell’assegno di mantenimento), con evidenza di redditi di maggior rilievo negli anni 2003 e 2004, ossia in periodi in cui il ricorrente era già stato sottoposto alle misure di protezione (cfr. all. n. 3).

7. Tenuto conto di quanto già esposto, è da rilevare che l’espressione "in ragione dell’accoglimento delle richieste del testimone", riportata nella delibera del 24 giugno 2009, corrisponde – per quanto attiene all’ammontare della somma – a verità.

Le altre condizioni poste dal ricorrente – afferenti a profili differenti quali le modalità di erogazione della somma, il completamento degli studi da parte degli figli con le generalità di copertura e la fruizione di misure assistenziali e tutorie sino alla definizione del cambio di generalità – non sono state oggetto di considerazione.

Solo con la delibera del 9 settembre 2009 è stato rappresentato – in linea con quanto già fatto presente dal Servizio Centrale di Protezione nel corso di audizioni ed incontri – che "la richiesta avanzata", riguardante le modalità di erogazione e di gestione della somma, "non è suscettibile di favorevole determinazione, tenuto conto che quanto riferito investe profili che attengono esclusivamente alla sfera dei rapporti privati del testimone di giustizia con i suoi congiunti".

Quanto rappresentato non induce, comunque, a rilevare violazione di legge e/o eccesso di potere, così come denunciato dal ricorrente.

Al riguardo, sono da considerare precipuamente le finalità perseguite dalla legge in caso di fuoriuscita dal programma di protezione, da identificare con il ritorno dell’interessato ad una vita normale mediante la capitalizzazione del costo dell’assistenza e, in presenza delle condizioni previste, in virtù anche della corresponsione di una somma a titolo di mancato guadagno.

In altri termini, l’Amministrazione deve procedere nel rispetto delle previsioni di legge, concludendo il procedimento mediante l’adozione del provvedimento nei termini in cui la legge richiede.

Ciò determina la conseguenza che l’Amministrazione non era tenuta a disporre obbligatoriamente nuove audizioni e – nel contempo – ad esprimersi nell’ambito delle delibere impugnate in ordine alle condizioni di cui è stata fatta menzione, indiscutibilmente estranee alla "capitalizzazione".

Per quanto attiene al danno alla salute, sono, poi, pienamente da condividere i rilievi dell’Amministrazione: preso atto che "la procedura è attivata a richiesta di parte", nessuna doglianza può essere sollevata, atteso che "nessuna richiesta risulta pervenuta alla Commissione".

7. In ultimo, il ricorrente lamenta "eccesso di potere per illogicità ed ingiustizia manifesta", rappresentando l’impossibilità per lo stesso di "reinserirsi pienamente nel mondo del lavoro ripristinando il tenore della famiglia".

Soprassedendo sulla genericità che la caratterizza, la censura in esame è infondata.

Al riguardo, è sufficiente ricordare – in linea, del resto, con i rilievi del ricorrente – che l’Amministrazione è tenuta a "rimuovere" le conseguenze negative che l’ingresso nel circuito di protezione ha comportato per il testimone di giustizia e non certo qualsiasi conseguenza abbia investito il patrimonio di quest’ultimo nel corso degli anni.

Per quanto attiene alla corresponsione di una somma a titolo di mancato guadagno, ai sensi del già citato art. 16 ter, è, dunque, inequivocabilmente necessario un nesso di causalità tra l’ammissione al programma di protezione e le vicende negative dell’attività imprenditoriale eventualmente svolta.

Nel caso in cui tale nesso non sia reso palese dall’evolversi dei fatti ed, anzi, quest’ultimi rivelino che l’attività è proseguita per anni e, poi, è andata "mano a mano a calare" senza che vengano precisati i motivi, appare evidente che le conseguenze economiche negative della cessazione dell’attività non possono ricadere sullo Stato.

8. Per le ragioni illustrate, il ricorso va respinto.

Tenuto conto delle peculiarità che connotano la vicenda, si ravvisano giustificati motivi per disporre la compensazione integrale delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 9406/2009, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa integralmente tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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