Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-05-2011) 25-07-2011, n. 29701

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il presente procedimento ha ad oggetto le attività criminose dell’associazione di tipo mafioso individuata nel "clan Torino" (dal nome del suo vertice) operante nel quartiere (OMISSIS) a far capo dal Novembre 2005, condotta perdurante, come dalla relativa imputazione.

Con sentenza 22.03.2010, che parzialmente riformava la pronuncia di primo grado, la Corte d’appello di Napoli giudicava undici appartenenti a tale sodalizio così decidendo, su gravame del P.M. e degli imputati:

1.A – imputati che in sede di appello hanno rinunciato ai motivi volti a richiesta di assoluzione:

1) T.S.: riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi della rubrica sub A (associativo, quale promotore), C ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74), E ed I (tentativi di estorsione), e L (detenzione e porto illegali di armi anche da guerra) e, ritenuta la continuazione, in concorso dell’attenuante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 8 condannato alla pena finale di anni 7 e mesi 6 di reclusione;

2) M.G.: riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi della rubrica sub A (associativo), C ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74), E, F e G (tentativi di estorsione), e, ritenuta la continuazione, condannato alla pena finale di anni 16 di reclusione;

3) S.F.: riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi della rubrica sub A (associativo), B (associativo nel diverso clan Mazzarella, escluso il ruolo di promotore) e L (detenzione e porto illegali di armi anche da guerra) e, ritenuta la continuazione, condannato alla pena finale di anni 13 di reclusione;

4) T.N.: riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi della rubrica sub A (associativo), C ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74), D1 ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73), e L (detenzione e porto illegali di armi anche da guerra) e, ritenuta la continuazione, condannato alla pena finale di anni 15 di reclusione;

5) T.L.: riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi della rubrica sub A (associativo), C ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74), Cc ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73), e, ritenuta la continuazione, condannato alla pena finale di anni 13 di reclusione;

6) e 7) Ma.Ma. e Tr.Gi.: riconosciute entrambe colpevoli dei reati di cui ai capi della rubrica sub A (associativo), C ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74), e, ritenuta la continuazione, condannate ciascuna alla pena finale di anni 9 di reclusione;

1.B – imputati che non hanno espresso alcuna rinuncia :

1) Pa.Pa.: riconosciuta colpevole del reato associativo di cui al capo A) della rubrica e, negate le chieste generiche, con la recidiva come contestata, condannata alla pena di anni 5 di reclusione. Elementi di sicura colpevolezza refluivano, secondo l’impugnata sentenza, dalle convergenti dichiarazioni dei collaboratori P.G. e C.F., nonchè dello stesso T.S., suo convivente; ulteriori e confluenti elementi si evidenziavano anche in intercettazioni telefoniche;

risultava così che la predetta imputata trasmetteva direttive agli affiliati, teneva la contabilità del sodalizio e distribuiva le quote, nonchè si interessava attivamente anche alla preparazione della droga da immettere nel mercato.

2) Sp.Ed.: riconosciuto colpevole del reato associativo di cui al capo A) della rubrica e condannato, con la recidiva come contestata, alla pena finale di anni 6 di reclusione. Sicuri elementi probatori derivavano, secondo la Corte territoriale, dalla chiamata in correità proveniente da T.S., dalle dichiarazioni del collaboratore Mi.Gi., da quelle del collaboratore P.G. e dalla deposizione del teste A.;

confluenti elementi risultavano anche dall’intercettazione 28.08.2008 presso il carcere di (OMISSIS). Risultava così per certo che lo Sp. era affiliato al clan con vari compiti, tra cui custodire le anni e lo stupefacente.

3) Sa.Pa.: riconosciuta colpevole dei reati di cui ai capi della rubrica sub C ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74) e D1 ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 episodio del (OMISSIS)) e condannata, in concorso di attenuanti generiche prevalenti e ritenuta la continuazione, alla pena finale di anni 9 di reclusione. A suo carico militavano, ha ritenuto la Corte partenopea, alcune intercettazioni ambientali e telefoniche dal contenuto inequivocabile circa una sua partecipazione attiva ai traffici in materia di droga, nonchè le stesse dichiarazioni del collaboratore P. che, pur formalmente liberatorie, riconosceva la donna come costantemente partecipe alle riunioni tenute presso il vertice associativo.

4) P.G.: dichiarato colpevole dei reati di cui ai capi A (associativo) H (estorsione) I (tentata estorsione) e L (detenzione e porto illegali di anni anche da guerra) e, in concorso di attenuanti generiche e di quella L. n. 203 del 1991, ex art. 8 prevalenti, condannato alla pena finale di anni 5 di reclusione, così respingendosi l’appello volto alla riduzione della misura sanzionatoria.

2. Avverso tale sentenza non interponevano impugnazione gli imputati Ma.Ma., Tr.Gi. e T.S., nei confronti dei quali la decisione diveniva così irrevocabile.

Proponevano invece ricorso per cassazione gli altri otto imputati che motivavano le rispettive impugnazioni nei seguenti termini:

2.1 – T.N.: immotivata affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo D1 ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73), per il quale era stato assolto in primo grado, condanna motivata solo con rimando all’atto di gravame del P.M. ed alla posizione della Sa. che però non contiene riferimenti alla sua figura.- 2.2 – M.G.: eccessiva applicazione della recidiva nella misura della metà, essendo possibile l’aumento solo di un terzo.

2.3 – S.F.: a) egli aveva rinunciato all’appello solo per il reato in materia di armi; b) la Corte si era adeguata, quanto alla pena, alle richieste del P.M..

Con atto depositato il 02.05.2011 la difesa di questo ricorrente produceva motivi nuovi denunciando vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche ed alla pena statuita con implicita riesumazione dell’abrogato istituto ex art. 599 cp.p., comma 4. 2.4 – Sa.Pa.: a) mancanza di motivazione in ordine ai criteri per l’individuazione dei colloquianti nelle intercettazioni utilizzate e delle persone cui i colloqui si riferiscono; b) mancata valutazione delle dichiarazioni del collaboratore T.S. che aveva escluso la partecipazione associativa, per inaffidabilità, di essa ricorrente; c) difetto di motivazione in ordine al reato di cui al capo D1 sul quale grava la genericità degli indizi.

2.5 – Sp.Ed.: a) mancanza di prova che esso ricorrente abbia partecipato al sodalizio dopo il Novembre 2005, periodo contestato; b) il Mi. lo indica quale rapinatore da eliminare per i suoi rapporti di parentela, non perchè associato al clan Torino; e) sostanziale insignificanza della deposizione dell’ A., posto che esso Sp. abitava proprio in quella via; d) illogica individuazione in esso ricorrente dell’ E. di cui si parla nell’intercettazione nel carcere di (OMISSIS).

2.6 – T.L.: difetto di motivazione in ordine alla dichiarata colpevolezza in merito al reato associativo sub A), a fronte dell’assoluzione fruita in prime cure, la sentenza impugnata esplicando solo rimando ai motivi dell’atto di appello del P.M..

2.7 – P.G. con atto personale: carenza di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche nella loro massima estensione.

2.8 – Pa.Pa.: a) mancanza di prova in ordine alla partecipazione associativa nel periodo contestato, successivo al Novembre 2005, non emergente dalle dichiarazioni del P. ed escluso dal T.S.; b) malgoverno della prova, quanto meno insufficiente, e contrastanti essendo i risultati derivanti dai collaboratori e dalle intercettazioni.

3. I ricorsi degli imputati M., S. e P., manifestamente infondati, devono essere dichiarati inammissibili;

quelli di Sa., Sp. e Pa., infondati, devono essere rigettati, il tutto con ogni conseguenza di legge.- Quanto a T.N. e T.L. si impone annullamento parziale, con rigetto nel resto, nei termini di cui alla seguente motivazione.

3.1 – I ricorsi inammissibili.

3.1.a – M.G. (che in secondo grado ha rinunciato ad ogni motivo d’appello diverso dalla quantificazione sanzionatoria):

la sua unica doglianza proposta con il ricorso è relativa all’applicata recidiva che – egli sostiene – ben poteva essere ritenuta operante nei limiti di un terzo, anzichè della metà come deciso dalla Corte territoriale.

Il ricorso è palesemente infondato sia per la sua evidente genericità, per nulla esplicando le ragioni che dovrebbero sostenere tale sua errata impostazione, sia perchè non contrasta l’effettiva ricorrenza della recidiva specifica infrquinquennale, come contestata e ritenuta, condizione soggettiva che impone l’applicazione della stessa nella misura fissa della metà, ai sensi dell’art. 99 c.p., comma 3.

Per nulla sussiste, pertanto, la denunciata violazione di legge.

Seguono ex lege le sanzioni processuali di cui all’art. 616 c.p.p. nei termini di cui al dispositivo.

3.1.b – S.F. (che parimenti in secondo grado ha rinunciato ai motivi d’appello diversi dalla commisurazione sanzionatoria): il primo motivo di ricorso v. sopra sub 2.3.a è manifestamente infondato, per totale irrilevanza della deduzione, posto che questo imputato – come osservato in sentenza (v. f. 2) con affermazione non contestata dal ricorrente – ha reso in sede dibattimentale "incondizionata ammissione delle sue responsabilità", su cui vi è stringata ma essenziale motivazione, tale da rendere ultronea la deduzione – qui espressa – di una circoscritta rinuncia ai motivi d’appello. E’ del pari manifestamente infondato anche il secondo motivo di ricorso v. sopra sub. 2.3.b atteso che la pena risulta essere stata determinata dalla Corte territoriale in modo del tutto autonomo, con valutazione sua propria espressa in termini sicuramente corretti e motivati (peraltro con ampia riduzione della sanzione finale fissata in anni 13 di reclusione rispetto a quella, anni 18 e mesi 6, inflitta in primo grado). Anche sul punto, dunque, è del tutto irrilevante (non configurando nè violazione di legge, nè vizio di motivazione) la contingente corrispondenza alla richiesta formulata dal P.M. d’udienza. Sono altresì palesemente infondati i proposti motivi nuovi: a quello che lamenta il diniego delle attenuanti generiche è inammissibile perchè non compreso nei motivi principali; peraltro è a dire che, sul punto, la sentenza impugnata fornisce coerente e logica argomentazione giustificativa ("in ragione dell’affiliazione pressochè costante dell’imputato a due diverse organizzazioni camorristiche"), motivazione contrastata dal ricorrente solo in termini del tutto generici; b quello che lamenta la surrettizia riesumazione dell’abrogato istituto di cui all’art. 599 c.p.p., comma 4, perchè si esaurisce in un’inammissibile interpretazione, soggettiva e quanto mai congetturale, della vicenda processuale e comunque (ove fosse) non deducibile da un imputato che ne ha usufruito.- Anche per questo imputato devono seguire ex lege le sanzioni processuali di cui all’art. 616 c.p.p. nei termini di cui al dispositivo.

3.1.C – P.G. (collaboratore di giustizia): lamenta solo, quale vizio di motivazione, la mancata concessione, nella loro massima estensione, delle pur concesse attenuanti generiche, dichiarate prevalenti. Il ricorso è inammissibile sotto il duplice profilo della sua genericità, posto che non esplica adeguata argomentazione in ordine ai motivi concreti che avrebbero dovuto condurre a tale risultato, e del palese contrasto con la motivazione dell’impugnata sentenza che, sul punto, esplica -contrariamente all’infondato assunto del ricorrente- ampio e corretto apparato giustificativo (gravità dei reati, reiterazione di condotte allarmanti, negativa personalità desunta dai precedenti penali), valutata anche la notevole mitezza del trattamento sanzionatorio complessivamente adottato.- Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso devono seguire ex lege le sanzioni processuali di cui all’art. 616 c.p.p. nei termini di cui al dispositivo.

3.1-d – Tutti i predetti imputati – M., S. e P. – i ricorsi dei quali vengono dichiarati inammissibili, devono essere condannati, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., al pagamento del spese del procedimento ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 (mille) ciascuno in favore della Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa in ricorsi palesemente infondati e, per certi versi, anche generici (v. sentenza Corte Cost. n. 186/2000).

3.2 – I ricorsi infondati.

3.2.a – Sa.Pa.: risulta infondato il primo motivo di ricorso v. sopra sub 2.4.a, posto che si tratta, per lo più, di intercettazioni ambientali presso la dimora dell’imputata (ex moglie del capo clan T.S.), per cui i suoi interventi nei colloqui sono ben identificabili. E’ infondato anche il secondo motivo di ricorso v. sopra sub 2.4.b, atteso che la sentenza ben ha preso in considerazione il contributo di T.S. (così come quello di P.G.) ritenendolo però non conducente (o insincero per scrupolo affettivo di ritorno). In realtà l’affermazione del T.S., secondo cui la donna non sarebbe stata affidabile per le attività della consorteria ("all’atto che ci davi un compito del genere la Sa. chiamava le guardie e ci faceva arrestare"), risulta contrastata dall’autentica voce dell’imputata che, di contro, intercettata il 19.12.2005, ore 18,34, affermava "òstiamoci attenti … la malavita non si fa così", e, alle 12,54 dello stesso giorno, ricordava di avere buttato nel bagno certe carte con conti con i soldi nel corso di un controllo della p.g.. Corretto, pertanto, risulta lo svilimento delle dichiarazioni di T.S. motivato con le autentiche, più sincere, affermazioni della Sa. stessa che dimostrava sia affectio societatis sia una sua avvedutezza nel gestire gli affari del gruppo. Trattasi, comunque, di valutazione discrezionale di affidabilità comparata, resa dalla Corte territoriale, incensurabile in questa sede di legittimità in quanto logica e coerente e nell’ambito di indiscutibile plausibilità. Infondato è, altresì, il terzo motivo di ricorso v. sopra sub 2.4.c, posto che gli indizi, in ordine al reato specifico sub D.1) D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73 lungi da essere generici, risultano del tutto probanti. Si tratta, invero, di autentica confessione stragiudiziale di avere partecipato alla movimentazione di diversi quantitativi di cocaina, indicando le somme e le quantità, e dunque prova diretta e circostanziata (la donna parlava con l’ex marito e con il figlio N.). Del resto è pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che i colloqui captati costituiscono prova piena e diretta, liberamente valutabile nella loro congruenza, ma non necessitano di specifici elementi di riscontro, nella specie comunque forniti dal complesso delle captazioni, convergenti e significative. Il ricorso della Sa. è dunque infondato in ogni sua deduzione.- Segue pertanto la condanna alle spese processuali ex art. 616 c.p.p..

3.2.b – Sp.Ed.: sono infondati tutti i proposti motivi di ricorso.- Il primo v. sopra sub 2.5.a risulta generico ed apodittico nella sua formulazione che non richiama precisi termini processuali di conforto alla tesi. Comunque la partecipazione associativa di questo imputato nel periodo di contestazione (e dunque successivamente al Novembre 2005) risulta provata dal complesso degli altri elementi, in particolare l’avvistamento in data 24.01.2006 da parte dell’operante A. (allorchè lo Sp. si dileguò con il sodale Es.Pi.) e la conversazione nel carcere di (OMISSIS), il 28.08.2008, tra T.S. ed il figlio L., nella quale l’adesione dello Sp. è trattata in termini di attualità.- Risulta infondato anche il secondo motivo di ricorso v. sopra sub 2.5.b perchè eccentrico rispetto al tema : il collaboratore Mi., già capo di altro clan, attesta l’appartenenza dello Sp. al clan Torino e ne riferisce la qualità di vittima designata. Poco allora interessa, a questi fini, il motivo di tale designata uccisione, essenziale essendo l’affermazione di intraneità dell’imputato al gruppo criminoso del Torino. Del resto non è prova contraria il descritto movente di essere cognato di Es.Pi., in un clan ad alta concentrazione familiare quale quello in esame.- Sono infine infondati gli ultimi due motivi di ricorso v. sopra sub 2.5.C e 2.5.d: -quello che propone di togliere valore all’avvistamento del 24.01.2006 ad opera dell’ A. (perchè quella era la via in cui l’imputato abitava), posto che appare logico e coerente trarre inferenza dalla contemporanea circostanza che egli si trovava con il sodale Es. ed usciva dalla casa del capo T.S.;

trattasi di conclusione plausibile non censurabile in questa sede di legittimità; – quello che intende contestare che nella conversazione nel carcere di (OMISSIS) in data 28.08.2008 si parli proprio di esso Sp., in quanto del tutto generico e, comunque, destinato ad infrangersi a fronte della corretta esplicazione motivazionale della sentenza in proposito (si veda al f. 7 al punto e.).

Il ricorso di Ed.Sp. è dunque infondato in ogni sua deduzione.- Segue pertanto la condanna alle spese processuali ex art. 616 c.p.p..

3.2.C – Pa.Pa.: è infondato il primo motivo di ricorso v. sopra sub 2.8.a che intende porre in dubbio – e comunque censura per asserita carenza di motivazione – la permanenza del vincolo associativo dopo il Novembre 2005. In proposito occorre rilevare che l’assunto è smentito dall’intercettazione ambientale dell’11.12.2005 e dalla stessa permanenza del vincolo affettivo con il T.S. (del quale era la convivente) che la associava nella gestione degli affari (anche se, così come nei confronti della ex moglie Sa.Pa., il T. si è mostrato particolarmente riduttivo). Del resto il tema della datazione della sua attività risulta confermato, entro i termini accusatori, dalle dichiarazioni del collaboratore C. che ha dichiarato di aver visto la Pa. svolgere le stesse attività (confezionare droga) di cui apertamente si parla nella sopra citata intercettazione ambientale dell’11.12.2005. Che poi la predetta sia stata la collaboratrice del capo clan suo amante, del quale eseguiva le disposizioni (trasmettere gli ordini, tenere la contabilità, distribuire le quote, ecc.), risulta anche dalle dichiarazioni del collaboratore P.. Privo di pregio si rivela anche il secondo motivo di ricorso v. sopra sub 2.8.b a fronte dei risultarti probatori come correttamente valutati dalla Cote territoriale, in presenza di un nucleo centrale di convergenza accusatoria fornito dai collaboratori che tutti hanno riferito come la Pa. abbia rivestito, in piena adesione all’associazione criminosa, importante ruolo partecipativo, esplicando a lungo funzioni essenziali (quali, come si è già osservato, gestire la droga, trasmettere gli ordini, tenere la contabilità, distribuire le quote, ecc.).

Il ricorso di Pa.Pa. è dunque infondato in ogni sua deduzione. Segue pertanto la condanna alle spese processuali ex art. 616 c.p.p..

3.2.d – Tutti i predetti imputati – Sa., Sp. e Pa. – i ricorsi dei quali vengono rigettati, devono dunque essere condannati, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.

3.3 – Gli annullamenti parziali.

3.3.1 – T.N.: E’ fondato il motivo di ricorso che questo imputato aziona, per carenza di motivazione, in ordine alla condanna, pronunciata su appello del P.M., relativamente al capo D.1) della rubrica, per il reato ex art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

Deve in proposito essere rilevato come, trattandosi di condanna pronunciata in secondo grado rispetto ad un’assoluzione in prime cure, e dunque in riforma sul punto per diversa valutazione del quadro probatorio, si imponeva -giusta la giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. Cass. Pen. SS.UU. n. 33748 in data 12.07.2005, Rv. 231679, Mannino; Cass. Pen. Sez. 5, n. 35762 in data 05.05.2008, Rv. 241169, Aleksi; ecc.) – una "motivazione rafforzata" che desse contestualmente conto sia dei positivi argomenti di condanna, ritenuti validi e sufficienti, che dell’erroneità di quelli spesi nella sentenza assolutoria. Nulla di tutto ciò, sul punto, nella motivazione dell’impugnata sentenza che si limita a fare muto ed asciutto rimando all’atto di appello del P.M. (rimando del tutto insufficiente nell’anzidetta prospettiva), appello accusatorio che, peraltro, neppure viene riportato, neanche in telegrafica sintesi, nel testo della sentenza della Corte territoriale. Nè il rimando, anch’esso privo di valutazione alcuna sulla posizione, a quella della coimputata Sa. risulta satisfattivo dell’indefettibile obbligo motivazionale, posto che in tale parte della sentenza (v. f. 9) si riporta solo un brano di colloquio, intercettato in ambientale, nel quale compaiono la Sa., T.S. e T.N., sicuramente riferito a movimenti di cocaina ed ai relativi pesi e confezionamenti, ma non si esprime alcun giudizio, in termini di compiutezza accusatoria, relativo al T.N.. A tale brano di conversazione segue, infatti, motivazione che riguarda la sola Sa.Pa.. Si impone, pertanto, annullamento dell’impugnata sentenza, per vizio di motivazione carente, per quanto riguarda T.N. limitatamente al reato di cui al capo D.1) della rubrica.

Rigetto nel resto, trattandosi di imputato che, in grado di appello, aveva espresso rinuncia ad ogni proprio motivo di gravame diverso da quello relativo al trattamento sanzionatorio.

3.3.2 – T.L.: Del tutto analoga alla precedente la posizione di questo imputato il cui ricorso per vizio di motivazione carente, in ordine alla condanna per il reato associativo di cui al capo A) della rubrica, fondato, deve essere accolto. Anche per T.L. si tratta di condanna in secondo grado in riforma, sul punto, di assoluzione in prime cure. Si devono perciò richiamare, anche per lui, le considerazioni appena fatte a proposito di T. N. in ordine alla necessità di una motivazione rafforzata. E’ qui mancata, di contro, anche una motivazione pur che sia, posto che il discorso giustificativo della condanna si esaurisce nel rimando, nudo ed asciutto, all’atto di appello del P.M., atto, peraltro, non riportato in sentenza neppure in termini scheletrici. Non è possibile, pertanto, ritenere un’accettabile motivazione per relationem che è consentita solo quando, comunque, il giudice esplichi, pur anche in forma succinta, ma sempre logicamente apprezzabile, i motivi per cui fa proprio l’atto richiamato, assumendolo a titolo di decisione. Nella presente fattispecie, invero, la sentenza, sul punto (v. f. 3), riduce la ragione del richiamo per relationem al solo termine "condividendosi" (le ragioni dell’appellante P.M.), termine che, per essere all’evidenza tautologico, configura ipotesi di scuola di motivazione apparente.

Non si esplicitano, invero, quali siano – almeno in sintesi – i motivi della condivisione. Risulta inevitabile, dunque, annullamento sul punto per vizio di motivazione mancante.

Rigetto nel resto, trattandosi di imputato che, in grado di appello, aveva espresso rinuncia ad ogni proprio motivo di gravame diverso da quello relativo al trattamento sanzionatorio.

3.3.3 – In esito ai pronunciati annullamenti per T.N. (capo D.1) e per T.L. (capo A), si impone rinvio per nuovo giudizio, su tali punti, a diversa Sezione della Corte d’appello di Napoli. Il giudice di rinvio dovrà attenersi, ai sensi dell’art. 627 c.p.p., comma 3, alle risoluzioni in diritto disposte da questa Corte regolatrice, in particolare in ordine alla compiutezza motivazionale.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di T.L. in relazione al delitto di cui al capo A) e nei confronti di T. N. in relazione al reato di cui al capo D.1) e rinvia per nuovo giudizio su tali capi ad altra Sezione della Corte d’appello di Napoli. Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti. Rigetta i ricorsi di Sa.Pa. Sp.Ed. e Pa.Pa. e dichiara inammissibili i ricorsi di M.G., S. F. e P.G. che condanna tutti al pagamento delle spese processuali nonchè gli ultimi tre anche al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) ciascuno alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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