Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 17-05-2011) 25-07-2011, n. 29649

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Messina ha confermato la sentenza del 17 ottobre 2005 con cui il Tribunale di quella stessa città aveva condannato V.V. a due anni di reclusione in ordine al reato di calunnia, per avere denunciato ai Carabinieri di Messina lo smarrimento di un assegno, pur sapendo di averlo consegnato a C.G., che in questo modo accusava, indirettamente, di ricettazione del titolo di credito.

2. – Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato che, con il primo motivo, censura la sentenza impugnata per non avere preso in esame la specifica richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, con cui si insisteva per il confronto della persona offesa con il V., confronto necessario in considerazione dell’atteggiamento che il C. avrebbe tenuto nel corso della sua testimonianza, in cui riferì di non ricordare i fatti.

Sotto altro profilo si critica la sentenza per non avere disposto ex officio la perizia grafica sull’assegno in questione, al fine di accertare che l’assegno era stato soltanto sottoscritto dall’imputato e compilato nel resto da diverso soggetto, così come riferito dallo stesso V..

Con un secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione avendo la sentenza omesso di analizzare e prendere in esame i motivi proposti dall’imputato, rinviando per relationem alla motivazione della prima sentenza.

Con il terzo motivo viene denunciato un ulteriore vizio di motivazione ravvisato nella circostanza che la sentenza si riferisce, per sostenere la responsabilità dell’imputato, alla falsa denuncia dallo stesso presentata, senza considerare che tale denuncia non contiene alcuna accusa nei confronti di C. e che per questo sarebbe stato violato l’art. 521 c.p.p..

In ogni caso, si sostiene una totale carenza nell’individuazione degli elementi di colpevolezza dell’imputato, sottolineando che non si sono appurate le modalità attraverso cui l’assegno sarebbe giunto al C..

Il quarto motivo affronta la questione della diversa qualificazione del fatto. Secondo il ricorrente i giudice d’appello non avrebbero dato una adeguata risposta al motivo con cui si sosteneva che la fattispecie avrebbe dovuto essere inquadrata nel reato di simulazione ovvero in quello di truffa.

Infine, il ricorrente lamenta la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, negate per la gravità del fatto in considerazione della professione esercitata dall’imputato, nonchè della circostanza di cui all’art. 62 c.p., n. 4.

Motivi della decisione

3. – Preliminarmente deve dichiararsi infondata l’eccezione di estinzione del reato per prescrizione, proposta dal difensore dell’imputato in udienza.

Nella specie trovano applicazione i termini di prescrizione previsti dagli artt. 157 e 161 c.p., prima della novella contenuta nella L. n. 251 del 2005, in quanto al momento dell’entrata in vigore della nuova normativa (8.12.2005) il procedimento a carico di V.V. era già pendente in grado di appello.

Infatti, ai fini dell’operatività delle disposizioni transitorie della nuova disciplina della prescrizione, la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado determina la pendenza in grado d’appello del procedimento, condizione questa ostativa all’applicazione retroattiva delle norme più favorevoli (Sez. un., 29 ottobre 2009, n. 47008, D’Amato).

Ne consegue, che il termine di dieci anni previsto dall’art. 157 c.p., n. 3 – nella versione originaria – per il reato di calunnia non è ancora decorso, essendo il fatto stato commesso il (OMISSIS).

4. – Del tutto infondato è anche il primo motivo con cui il ricorrente lamenta, sotto diversi profili, l’omessa attività istruttoria da parte del giudice di secondo grado.

Deve ribadirsi che la rinnovazione, anche parziale, del dibattimento ha carattere eccezionale e può essere disposta solo qualora il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti, sicchè mentre la rinnovazione deve essere specificamente motivata, occorrendo dare conto dell’uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non potere decidere allo stato degli atti, nel caso, viceversa, di rigetto, la relativa motivazione può essere anche implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (in questo senso, tra le tante, v., Sez. 5, 10 dicembre 2009, n. 15320, Pacini).

Nel caso in esame, i giudici di secondo grado hanno ritenuto del tutto sufficienti gli elementi acquisiti agli atti, escludendo la necessità di procedere ad ulteriori attività istruttorie, sulla base di una valutazione che non imponeva alcuna motivazione al riguardo per le ragioni sopra illustrate.

5. – Infondati, al limite dell’inammissibilità, sono i due motivi con cui il ricorrente ha dedotto distinti vizi di motivazione.

5.1. – Innanzitutto, deve escludersi che nel caso di specie il richiamo per relationem alla sentenza di primo grado abbia prodotto il vizio di motivazione denunciato, in quanto la mancanza di motivazione ricorre nel caso in cui il giudice, nel fare riferimento a quanto indicato in altri provvedimenti, accolga acriticamente le valutazioni ivi contenute, senza alcun apporto rielaborativo e senza alcuna valutazione in ordine alla bontà o meno delle censure mosse, laddove, nel caso in esame, la sentenza d’appello ha comunque offerto una ricostruzione critica della vicenda, tenendo conto delle prove acquisite e delle deduzioni difensive.

5.2. – Con l’altro motivo, invece, si censura la ricostruzione dei fatti così come ritenuti in sentenza, proponendone una lettura alternativa, non consentita in sede di legittimità. Il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne nè la ricostruzione dei fatti nè l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile, cioè l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Peraltro, l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente ("manifesta illogicità"), cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze. In altri termini, l’illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. Inoltre, va precisato, che il vizio della "manifesta illogicità" della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica "rispetto a se stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica. Alla Corte di Cassazione non è consentito di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito. Così come non sembra affatto consentito che, attraverso il richiamo agli "atti del processo", possa esservi spazio per una rivalutazione dell’apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito. In altri termini, al giudice di legittimità resta preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa: un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Cassazione nell’ennesimo giudice del fatto, mentre è e resta giudice della motivazione.

Del tutto infondata è la presunta violazione dell’art. 521 c.p.p., frutto di un’erronea interpretazione della contestazione e della sentenza impugnata.

6. – Infondato è il quarto motivo, con cui il ricorrente ripropone la questione sulla qualificazione giuridica della condotta contestata all’imputato.

Preliminarmente, deve escludersi il vizio di omessa motivazione, dal momento che la Corte d’appello ha risposto alla deduzione difensiva, escludendo la configurabilità dei reati di cui agli artt. 367 o 640 c.p..

Nel merito, deve ribadirsi che correttamente i giudici hanno ritenuto l’ipotesi del reato di calunnia. Secondo una giurisprudenza ormai del tutto consolidata la falsa denuncia di furto o dello smarrimento del titolo di credito, che è stato, invece, dallo stesso denunciante negoziato a favore di una ben individuata persona, integra il delitto di calunnia e non quello di simulazione di reato (tra le tante, Sez. 6, 9 gennaio 2009, n. 4537, Sileoni; Sez. 6, 25 settembre 2002, n. 38814, Pontonio).

Infatti, per la configurabilità della calunnia non è necessario che venga esplicitamente accusato qualcuno sapendolo innocente, ma è sufficiente che la falsa incolpazione contenga in sè gli elementi necessari all’inizio di un procedimento penale nei confronti di un soggetto univocamente ed agevolmente individuabile.

Non v’è dubbio che "la falsa denunzia di furto di un assegno bancario consegnato in pagamento ad un terzo contiene oggettivamente, per implicito, l’accusa di furto o di ricettazione nei confronti del prenditore del titolo, e ciò perchè è estremamente agevole risalire all’individuazione di tale persona, attraverso le annotazioni apposte sul titolo e la ricostruzione dei vari passaggi che caratterizzano il sistema legale di circolazione e di incasso del medesimo titolo presso la banca trattaria. Risulta superata, in questo caso, la soglia del delitto di simulazione, che è elemento costitutivo di quella calunnia, perchè si verifica, per così dire, una sorta di progressione criminosa, nel senso che la falsa attribuzione del fatto-reato non è riferibile ad una qualsiasi delle persone fisiche aventi un interesse specifico alla consumazione del reato, ma ad una persona ben determinata, la quale soltanto, pur in assenza di un’accusa nominativamente formulata, risulti essere – alla luce delle "coordinate" indicate in denuncia – il soggetto che ha commesso l’illecito".

Poichè l’interesse protetto dalla norma di cui all’art. 368 c.p. è quello di evitare l’intervento della giustizia penale in danno di innocenti, con dispendio di attività a priori ingiustificata e con pericolo di fuorviamento dei risultati, è evidente la sussistenza di tale rischio.

Pertanto, correttamente il fatto contestato all’imputato è stato inquadrato nello schema paradigmatico della calunnia.

Per quanto riguarda la truffa, mancano nella specie gli artifici e i raggiri richiesti da tale fattispecie penale.

7. – Infine, devono considerarsi inammissibili i motivi con cui il ricorrente lamenta la mancata applicazione delle attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p. e art. 62 c.p., n. 4, dal momento che la Corte d’appello ha offerto al riguardo una completa e logica giustificazione di tale scelta, che in quanto coerentemente motivata non è censurabile in sede di legittimità. 8. – L’infondatezza di tutti i motivi proposti comporta il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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