Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 17-05-2011) 25-07-2011, n. 29648

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza emessa il 1 marzo 2007 dal G.u.p. del Tribunale di Piacenza in sede di giudizio abbreviato, ha ridotto, per effetto dell’intervenuta estinzione per prescrizione del reato di cui al capo n. 4 ( art. 660 c.p.), ad anni uno, mesi sette e giorni uno la pena inflitta a C.A., in ordine ai reati di violenza privata (capo n. 1), ingiurie (capo n. 2), minacce (capo n. 3) e calunnia (capo n. 6) posti in essere ai danni di B. C., confermando le statuizioni civili in favore di quest’ultima, costituitasi parte civile.

Dalla sentenza si apprende che gli episodi di vessazione, minacce e ingiurie contestate all’imputato si sono susseguite dal (OMISSIS), cioè fino a quando il C. è stato posto agli arresti domiciliari e trovano la loro causa nella fine del rapporto sentimentale con la B.. I giudici di appello hanno ricostruito i vari episodi, evidenziandone la gravità e pericolosità, in quanto caratterizzati da atteggiamenti persecutori, che vanno dalle ingiurie alle minacce di morte, fino a giungere ad inseguire la B. a bordo della sua autovettura, compiendo manovre pericolose per spaventarla, arrivando addirittura a tamponare volontariamente l’autovettura da questa condotta.

La responsabilità dell’imputato è stata affermata sulla base delle denunce e delle dichiarazioni della persona offesa, confermate da alcuni testimoni presenti ai fatti.

L’imputato è stato, inoltre, ritenuto colpevole anche di un precedente episodio di calunnia nei confronti di R.D., che nel (OMISSIS) aveva falsamente accusato del reato di violenza privata, per averlo costretto a fermarsi ponendo in essere una manovra con la sua autovettura, condotta che invece è risultata essere stata realizzata dallo stesso imputato ai danni del R., circostanza confermata dalla ex moglie del C., G. L., che si trovava in auto assieme al R..

2. – Nell’interesse dell’imputato ha presentato ricorso per cassazione il suo difensore di fiducia, avvocato Piero Spalla, deducendo il vizio di motivazione della sentenza sotto diversi profili.

In particolare, si assume che i giudici di appello abbiano affermato la responsabilità dell’imputato senza indicare e accertare i fatti concreti che questi avrebbe commesso, ma riferendosi genericamente a circostanze non provate: così, si assume la mancanza dell’elemento oggettivo in relazione al reato di violenza privata di cui al capo n. 1; si rileva il difetto di prova per quanto concerne gli episodi di ingiurie e di minacce contestati ai capi n. 2 e 3, evidenziando che la sentenza non avrebbe neppure preso in esame la gravità di tali condotte; si contesta il rilievo dato all’episodio di calunnia, risalente al (OMISSIS), per ritenere provati anche le condotte poste in essere nei confronti della B..

In relazione alla calunnia ai danni del R., il ricorrente sostiene che non vi siano le prove necessarie e, in ogni caso, rileva la mancanza di motivazione sulle ragioni della conferma della condanna, sostenendo che dalle argomentazioni dei giudici sembrerebbe che questo episodio sia stato considerato non come una imputazione relativa ad un capo della sentenza da esaminare, ma come un precedente dell’imputato.

Sotto un altro profilo assume l’insussistenza del reato, sia per la mancanza dell’elemento oggettivo, in quanto il C. nella sua denuncia non avrebbe accusato R. di alcun reato, sia per il difetto dell’elemento soggettivo, essendo stato convinto erroneamente della colpevolezza del R.. Sempre in rapporto alla calunnia, rileva che la sentenza non abbia preso in alcuna considerazione la testimonianza, favorevole all’imputato, di CA.Ar..

Motivi della decisione

3. – Preliminarmente, deve rilevarsi l’estinzione del reato di calunnia contestato al capo n. 6, per intervenuta prescrizione.

Nella specie, trovano applicazione i nuovi termini di prescrizione previsti dagli artt. 157 e 161 c.p. come modificati dalla L. n. 251 del 2005, sicchè il reato, consumato in data (OMISSIS), risulta prescritto il 19.10.2007. 4. – Per il resto il ricorso è infondato, in quanto i motivi propongono vizi di motivazione del tutto generici e comunque diretti ad offrire una lettura alternativa dei fatti rispetto alla ricostruzione che di essi ne ha fatto la sentenza impugnata.

Il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne nè la ricostruzione dei fatti nè l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile, cioè l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.

Peraltro, l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente ("manifesta illogicità"), cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze. In altri termini, l’illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. Il vizio della "manifesta illogicità" della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica "rispetto a se stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica. I limiti del sindacato della Corte non sono mutati neppure a seguito della nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), intervenuta a seguito della L. 20 febbraio 2006, n. 46, là dove si prevede che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia sia "effettiva" e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per Cassazione: c.d. autosufficienza) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Alla Corte di Cassazione, infatti, non è tuttora consentito di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito. Così come non sembra affatto consentito che, attraverso il richiamo agli "atti del processo", possa esservi spazio per una rivalutazione dell’apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito. In altri termini, al giudice di legittimità resta preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa: un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto. Pertanto la Corte, anche nel quadro nella nuova disciplina, è e resta giudice della motivazione.

5. – In conclusione, la sentenza deve essere annullata senza rinvio limitatamente al capo n. 6, per estinzione del reato di calunnia a seguito di prescrizione; per il resto il ricorso deve essere rigettato, con trasmissione degli atti alla Corte d’Appello di Bologna perchè ridetermini la pena inflitta all’imputato, tenendo conto dell’intervento annullamento.

Il ricorrente deve comunque essere condannato al pagamento delle spese di questo grado in favore della parte civile, B.C., costituitasi in relazione ai reati di cui ai capi 1, 2 e 3, liquidandole in Euro 2.000,00 oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di calunnia di cui al capo 6) perchè estinto per prescrizione, rigetta nel resto il ricorso e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Bologna per la rideterminazione della pena.

Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, B.C., liquidate in Euro 2000,00 oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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