T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 03-08-2011, n. 6922

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

La parte ricorrente ha impugnato la determinazione della Regione Lazio in data 16.2.2011, con la quale, in esecuzione della sentenza del TAR del Lazio n. 3108/2008 e della sentenza della Corte Costituzionale n. 195/2010, è stato annullato un precedente provvedimento di inquadramento nella qualifica dirigenziale e sono state assunte le determinazioni conseguenti.

La vicenda oggetto di causa è stata, inizialmente, caratterizzata dall’adozione, a cura dell’Amministrazione regionale, ai sensi dell’art. 22, co. 8, l.r. n. 25/1996, del regolamento n. 2/2001 e di diverse determinazioni finalizzate a reinquadrare parte del personalegionale nella qualifica dirigenziale.

Tuttavia, a seguito di ricorso proposto da alcune organizzazioni sindacali, con sentenza del TAR Lazio n. 3108/2008, è stato annullato il citato regolamento e gli atti di reinquadramento conseguenti.

In sede di appello, con ord. n. 4911/2009, il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale della l.r. n. 14/2009, emanata per salvaguardare le posizioni economiche e giuridiche del personale reinquadrato.

Con sentenza della Corte Costituzionale n. 195/2010, la citata l.r. n. 14/2009 è stata dichiarata incostituzionale.

Conseguentemente, con la citata determinazione in data 16.2.2011, la Regione Lazio ha annullato i precedenti atti di reinquadramento del personale, tra i quali quello relativo alla parte ricorrente, la quale lo ha impugnato dinanzi al TAR del Lazio, ritenendolo illegittimo e avanzando domanda di risarcimento danni, per: – violazione degli artt. 7 e 8 l.n. 241/1990; – violazione dell’art. 21nonies l.n. 241/1990 per assenza dei presupposti e delle condizioni utili per adottare un provvedimento di autotutela; – violazione dell’art. 136, co. 1, Cost., per aver esteso gli effetti della sentenza C.Cost. n. 125/2010 ad un rapporto cessato; – violazione dell’art. 3 l.n. 241/1990; – eccesso di potere, in quanto la par ricorrente non è stata parte del giudizio concluso con sentenza n. 3108/2008, in esecuzione della quale è stato emesso il provvedimento impugnato, ma è stata parte della causa conclusa con sentenza n. 5325/2008 (avviata da alcuni dipendenti regionali per far valere il diritto al reinquadramento), con la quale il ricorso è stato dichiarato improcedibile in quanto la Regione aveva ormai disposto il reinquadramento degli interessati; – violazione dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost..

L’Amministrazione regionale, costituitasi in giudizio, con memoria depositata il 22.7.2011, ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo ed ha sostenuto l’infondatezza del ricorso.

Il Collegio ritiene che l’eccezione di difetto di giurisdizione sia fondata e debba essere accolta.

Nel sistema di riparto della giurisdizione disegnato dall’art. 63 d.lgs. 165/2001, in linea con i precetti degli art. 103 e 113 Cost., la giurisdizione va determinata, non già in base al criterio della soggettiva prospettazione della domanda, ovvero del tipo di pronuncia richiesta al giudice, bensì alla stregua del criterio cd. del petitum sostanziale, ossia considerando l’intrinseca consistenza della posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuata dal giudice stesso con riguardo alla sostanziale protezione accordata a quest’ultima dall’ordinamento giuridico.

Nelle controversie di lavoro, l’applicazione del suddetto criterio ha portato al risultato di attrarre nella competenza del giudice ordinario tutte le domande che, pur avendo formalmente ad oggetto l’impugnazione di atti amministrativi ai fini dell’annullamento, nella sostanza sono dirette a conseguire utilità inerenti ai rapporti di lavoro, anche relative allo status del lavoratore, ovvero al conferimento o revoca di incarichi dirigenziali (vedi Cass. S.u. n. 1807 del 2003, n. 3508 del 2003, n. 6348 del 2003, n. 10464 del 2003, n. 22990 del 2004, n. 6635 del 2005).

Quindi, il primo comma dell’articolo 63 del d.lgs. 165 del 2001, non consente, nella materia del lavoro pubblico, al titolare del diritto soggettivo che risente degli effetti di un atto amministrativo di scegliere, per la tutela del diritto, di rivolgersi al giudice amministrativo per l’annullamento dell’atto, oppure al giudice ordinario per la tutela del rapporto di lavoro previa disapplicazione dell’atto presupposto. In tutti i casi nei quali vengono in considerazione atti amministrativi, ove si agisca a tutela delle posizioni di diritto soggettivo in materia di lavoro pubblico, il diritto positivo consente esclusivamente l’instaurazione del giudizio ordinario, nel quale la tutela è pienamente assicurata dalla disapplicazione dell’atto e dai poteri riconosciuti al giudice ordinario dal secondo comma del menzionato articolo 63 (cfr. Cass. S.u., ord. 8 novmbre 2005, n. 21592).

Ne consegue che, il caso di specie – ove si controverte del provvedimento di annullamento d’ufficio (adottato in, sostanziale, esecuzione della sentenza della Corte Costituzionale n. 195/2010 e della sentenza del TAR del Lazio n. 3108/2008) di una determinazione dirigenziale di inquadramento quale dirigente (adottato, a fini perequativi, ai sensi dell’art. 22, co. 8. L.R. n. 25/1996), con conseguente reinquadramento della parte ricorrente (ora per allora), peraltro, ormai in quiescenza -, rientra nell’ambito della giurisdizione ordinaria, in quanto la procedura e gli atti che hanno caratterizzato la vicenda ed il provvedimento impugnato non attengono ad una procedura concorsuale e non presentano alcun elemento idoneo a ricondurli ad una procedura selettiva, ancorché atipica, atteso che l’Amministrazione si è limitata, prima, ad applicare le disposizioni della l.n. 25/1996, e, poi, a dare esecuzione alla sentenza del TAR del Lazio n. 3108/2008 (T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 06 novembre 2007, n. 1634).

Del resto, il provvedimento di conferimento, revoca o annullamento di un incarico dirigenziale, o, comunque, la sua cessazione, si configurano come atti e fatti che attengono alla gestione del rapporto di lavoro e, quindi, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario (Consiglio Stato, sez. V, 29 aprile 2009, n. 2713; T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 15 giugno 2006, n. 4665).

Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Sussistono giustificati motivi – legati alla particolarità della vicenda e delle questioni trattate – per compensare le spese di giudizio tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

– lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo;

– compensa tra le parti in causa le spese di lite;

– ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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