Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 13-05-2011) 25-07-2011, n. 29772

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

– che con l’impugnata sentenza, in conferma di quella di primo grado, per quanto ancora d’interesse, B.F., C. G. e D.V.L. furono ritenuti responsabili di estorsione aggravata in danno dell’imprenditore edile E. F. (capo A) e D.B.V. fu anch’egli ritenuto responsabile di altro analogo reato in danno della medesima persona offesa, commesso in concorso con D.L. e B. D., non ricorrenti (capo C), con conferma altresì del trattamento sanzionatorio nei confronti dei suddetti imputati, ad eccezione del D.B., la cui pena venne ridotta da anni sei e mesi otto di reclusione, più Euro 600 di multa, ad anni quattro di reclusione, fermo restando l’importo della multa;

– che avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori, i suddetti imputati, denunciando:

B.:

violazione di legge e vizio di motivazione in ordine:al mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, volta a meglio verificare la ritenuta attendibilità della persona offesa, sulle cui dichiarazioni si era fondato il giudizio di penale responsabilità del ricorrente, avuto riguardo, in particolare: – 1) alla denunciata confusione nella quale la stessa persona offesa sarebbe incorsa allorchè, nel distinguere i fatti di cui al capo A da quelli di cui al capo C, li aveva collocati in un ambito temporale nel quale il ricorrente avrebbe potuto trovarsi in stato di detenzione; circostanza, quest’ultima, che – si osserva – la corte territoriale non avrebbe potuto ritenere irrilevante (come invece aveva fatto) sulla sola base della mera presunzione che la sollecitazione alla commissione del reato potesse essere partita anche dall’ambiente carcerario; – 2) al fatto che la persona offesa avrebbe potuto essere considerata come soggetto imputato di reato connesso, con le conseguenze di legge in ordine ai criteri di valutazione delle sue dichiarazioni, atteso quanto posto in evidenza nei motivi d’appello, secondo cui, nel corso di altro procedimento penale a carico di tale G.L. ed altri, sarebbe emerso come l’ E. avesse chiesto di incontrarsi con taluni esponenti del noto sodalizio malavitoso denominato "clan dei casalesi" (cui, secondo l’accusa, avrebbe aderito anche il ricorrente) per assicurarsi dei lavori relativi alla realizzazione di alcuni appartamenti;

D.B.:

1) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta validità della ricostruzione accusatoria, avuto riguardo, in particolare, oltre che all’assoluta assenza di precedenti coinvolgimenti del ricorrente, esercente normale e lecita attività imprenditoriale, in attività criminose, anche: – 1/a) alla persistente incertezza, quale riconosciuta – si afferma – nella stessa impugnata sentenza, circa il modo con il quale le somme di danaro asseritamente estorte all’ E. sarebbero state da questi fatte pervenire nella disponibilità del ricorrente, non essendo risultato chiarito se ciò fosse avvenuto mediante sovrafatturazioni di forniture di materiali edili (le quali, peraltro, avrebbero comportato l’esborso dell’IVA) ovvero mediante versamenti in contanti; -1/b) alla dimostrata infondatezza di quanto asserito dai "collaboranti" D. e B.D. circa la titolarità, da parte del primo e di tale B.A., dell’impresa "Edil Di Bona", della quale erano invece sempre stati esclusivi titolari il ricorrente ed il di lui fratello; – 1/c) alla facilmente ipotizzabile propensione dell’ E. a mostrarsi "accondiscendente" alle prospettazioni accusatorie, a fronte di quanto emerso, come già segnalato nell’illustrazione del ricorso proposto nell’interesse del B.F., nel corso del procedimento a carico di G. L. ed altri;

2) violazione di legge e vizio di motivazione: – 2/a) in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 a fronte dell’espresso riconoscimento, nell’impugnata sentenza, della "non allarmante personalità" del ricorrente, tanto che non si era poi dato luogo neppure al relativo aumento di pena; – 2/b) in ordine al mancato riconoscimento dell’esimente di cui all’art. 54 c.p., motivato soltanto con l’apodittica affermazione secondo cui non sarebbe stata fornita "la prova rigorosa dello status necessitatisi, in presenza di una situazione nella quale, ammesso e non concesso che il ricorrente si fosse prestato a servire da strumento alla realizzazione di pretese estorsive altrui, sarebbe stato da ritenere che egli lo avesse fatto solo perchè, in un contesto ambientale definito dalla stessa corte di merito come "difficile", era stato "costretto ad assecondare pressanti richieste di soggetti certo pericolosi";

C.G.:

1) vizio di motivazione e violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza del reato, sull’assunto che essa sarebbe stata indebitamente dedotta dalle sole dichiarazioni della persona offesa, caratterizzate – si sostiene – da assoluta genericità e non adeguatamente corroborate dalle dichiarazioni, parimenti generiche, dei "collaboranti";

2) violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 sull’assunto che i relativi presupposti risulterebbero "ancorati a dati non fattuali e meramente congetturali, non emergendo dalle stesse dichiarazioni della persona offesa alcun riferimento, eventualmente operato dal presunto autore della richiesta estorsiva, ad una qualche organizzazione criminale";

D.V.L.:

violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta idoneità delle dichiarazioni della persona offesa a costituire prova della penale responsabilità del ricorrente, a fronte essenzialmente del fatto che – si sostiene – la stessa persona offesa aveva negato, all’inizio, di essere stata vittima di estorsioni ed aveva quindi cambiato versione solo dopo avere avuto notizia delle dichiarazioni rese dai "collaboranti" F.R., D.L. e D. A., peraltro prive di specifici riferimenti al fatto in questione.

Motivi della decisione

– che i ricorsi non appaiono meritevoli di accoglimento, in quanto:

per B.:

a) con riguardo alla doglianza di cui al punto 1), non risulta in alcun modo specificato in che cosa sarebbe dovuta consistere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale chiesta e non ottenuta dalla difesa, essendosi quest’ultima limitata a riproporre, onde sostenerne la necessità, le argomentazioni che risultano già compiutamente esaminate dalla corte di merito, la quale ha posto in luce come l’ E., sia pure a seguito di contestazioni mossegli nel corso dell’esame testimoniale sulla base di talune discordanze rispetto a quanto da lui dichiarato in sede predibattimentale (discordanze peraltro giustificabili – si osservava – avuto riguardo al lungo lasso di tempo decorso dall’epoca dei fatti), avesse poi confermato pienamente la originaria versione dei fatti che aveva dato luogo alla formulazione del capo d’imputazione sub A); nè può, al riguardo, in alcun modo condividersi quanto obiettato dalla difesa a confutazione della ritenuta irrilevanza dell’eventuale stato di detenzione nel quale, all’epoca, si trovasse il ricorrente, atteso che, essendo stato costui chiamato a rispondere del reato quale mandante o istigatore, appare di tutta evidenza, senza che per questo possa parlarsi di gratuita presunzione, come l’assunzione di un siffatto ruolo non fosse, di per sè, impedita dallo stato di detenzione, in assenza di elementi dai quali potesse desumersi che esso, contrariamente ad ogni regola e prassi, fosse caratterizzato da modalità tali da impedire ogni comunicazione con l’esterno;

b) con riguardo al punto 2), vale osservare che la corte di merito, oltre ad aver correttamente escluso la inutilizzabilità delle dichiarazioni dell’ E. (sulla quale, del resto, non sembra che si sia neppure voluto insistere nel ricorso), ha anche posto in luce (ma di ciò non si fa cenno alcuno nell’atto di gravame) come dette dichiarazioni trovassero significativi, ancorchè indiretti, riscontri in quelle dei "collaboranti" F.R. e B.D., dalle quali emergeva come l’ E. fosse stato oggetto di taglieggiamenti ad opera dell’attuale ricorrente e come questi si fosse, al riguardo, riservato una sorta di "esclusiva", avvalendosi inoltre della collaborazione degli attuali coimputati D.V. e C., oltre che di tale M. R.; il che equivale ad avere, di fatto, sottoposto le dichiarazioni rese in veste di testimone – persona offesa dall’ E. allo stesso tipo di valutazione previsto dall’art. 192, c.p.p., commi 3 e 4 per quelle rese da imputati dello stesso reato ovvero di reati connessi o collegati; per D.B.:

a) con riguardo al punto 1/a) del primo motivo, la proposta doglianza appare fondata si di un equivoco, giacchè prospetta come frutto di incertezza nella ricostruzione dei fatti quella che, dalla lettura dell’impugnata sentenza, appare invece soltanto come indicazione delle due diverse modalità con le quali, di volta in volta, a seconda delle circostanze, poteva aver luogo la corresponsione delle tangenti da parte dell’ E.; nè può dirsi che la prima di dette modalità, e cioè quella costituito dalla sovrafatturazione, fosse poco credibile per il solo fatto che comportava il pagamento della maggior imposta corrispondente all’eccedenza, atteso che tale esborso rappresentava, ovviamente, soltanto una parte della maggior somma che veniva comunque introitata senza che ve ne fosse titolo;

b) con riguardo al punto 1 /b) del primo motivo, anche a dare per ammesso che, contrariamente a quanto asserito dai "collaboranti", il D. ed il B.A. non avessero alcuna partecipazione nella Edil Di Bona, tale elemento non presenterebbe alcun riconoscibile profilo di decisività in favore del ricorrente, non incidendo esso sul fatto determinante posto a base dell’accusa e, sostanzialmente, non contestato nel ricorso: il fatto, cioè, che la corresponsione delle tangenti avveniva comunque per il tramite del D.B., a seguito di trattative che si erano svolte nella sede della sua ditta; nè rileva in contrario neppure la circostanza, richiamata nel ricorso, che a tali trattative, secondo quanto dichiarato dallo stesso E., il D.B. non avrebbe partecipato, essendo stato sistematicamente allontanato dal D. e dal B.D., dovendosi al riguardo osservare che tale circostanza, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, non comportava affatto la necessità di escludere o porre ragionevolmente in dubbio la consapevolezza, quanto meno "ex post", da parte del ricorrente, che gli incontri in questione altra finalità non potessero avere se non quella di definire i termini dell’ "accordo" in base al quale l’ E. avrebbe poi dovuto effettuare, come poi avvenuto, proprio per il tramite del ricorrente medesimo, la corresponsione delle somme la cui riconducibilità a pretese di tipo estorsivo, specie in un contesto ambientale come quello al quale, ad altro proposito, si è fatto riferimento nello stesso atto di ricorso, non poteva non apparire evidente, attesa l’assoluta assenza di ogni e qualsiasi elemento che potesse indurre a riferirle ad altri titoli; e ciò a prescindere anche dall’eventualità che dalla ripartizione finale di dette somme il D.B. fosse escluso, non incidendo ciò, ovviamente, sulla rilevanza penale del contributo da lui comunque volontariamente e consapevolmente offerto, per finalità che avrebbero potuto essere le più varie, alla realizzazione dell’illecito; c) con riguardo al punto 1/c) del primo motivo, nel richiamare quanto già osservato in merito al punto 2) del ricorso proposto nell’interesse del B., appare qui sufficiente aggiungere che la proposta doglianza si basa, con ogni evidenza, su di una mera e gratuita ipotesi, come tale priva di ogni possibilità di apprezzamento in questa sede;

d) con riguardo al punto 2/a) del secondo motivo, la ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 non può affatto dirsi in contrasto logico-giuridico con il giudizio espresso dalla corte di merito circa la "non allarmante personalità" del ricorrente, atteso che la configurabilità di detta aggravante dipende essenzialmente dalla natura e dalla finalità dell’azione criminosa, le quali non mutano per il solo fatto che, trattandosi, come nella specie, di reato commesso da più persone in concorso tra loro, taluno dei concorrenti, pur consapevole di dette caratteristiche dell’azione, appaia, per altre ragioni, meno pericoloso di altri e meritevole, quindi, di un più benevolo trattamento sanzionatorio;

e) con riguardo al punto 2/b) del secondo motivo, se, per un verso, deve riconoscersi l’eccessiva sommarietà della motivazione sulla base della quale la corte di merito ha escluso la sussistenza della prospettata esimente dello stato di necessità, sulla sola base della mancanza di una "prova rigorosa" al riguardo (dimenticando che anche il dubbio sull’esistenza di una causa di giustificazione può dar luogo al riconoscimento della medesima, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 3), va tuttavia escluso, per altro verso, che ciò possa tradursi in motivo di annullamento, sul punto, dell’impugnata sentenza, dal momento che non risulta in alcun modo evocata, nel ricorso, l’avvenuta rappresentazione, in sede di merito, di condizioni obiettivamente idonee a dar luogo alla scriminante in questione, essendosi la difesa limitata, come sì è visto, alla generica affermazione secondo cui il ricorrente sarebbe stato "costretto ad assecondare pressanti richieste da parte di soggetti certo pericolosi"; il che non equivale certo a dire che egli si trovasse in presenza di un pericolo attuale e non altrimenti evitabile di un danno grave alla persona; ciò anche alla luce del principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui il timore di future rappresaglie (quale, nella specie, a tutto concedere, si sarebbe potuto ravvisare) non può, di per sè, rendere configurabile lo stato di necessità (in tal senso: Cass. 1, 6 aprile – 12 dicembre 1987 n. 13070, Aruta, RV 177302; Cass. 6, 4 giugno-11 luglio 2001 n. 27866, Sansone, RV 2209272); per C.:

a) con riguardo al primo motivo, lo stesso appare ai limiti estremi dell’ammissibilità, siccome basato sull’assunto puramente apodittico della pretesa genericità delle dichiarazioni della persona offesa come pure di quelle dei "collaboranti", senza alcun riferimento a quanto invece illustrato nella sentenza impugnata ed in quella di primo grado circa lo specifico contenuto di dette dichiarazioni e delle ragioni poste a base della loro ritenuta valenza probatoria;

b) analoga valutazione è da farsi con riguardo al secondo motivo, non facendosi in esso il benchè minimo riferimento alla pur ampia ed articolata motivazione sulla base della quale, nell’impugnata sentenza, la corte di merito ha ritenuto doversi confermare l’esistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 sulla base, in particolare, delle convergenti risultanze probatorie ampiamente dimostrative della riconducibilità della condotte estortive al "famigerato sodalizio criminoso" noto come "clan dei casalesi";

per D.V.:

il fatto che, secondo quanto sostenuto nel ricorso, l’ E. avesse inizialmente negato di essere stato vittima delle condotte estortive in questione, per ammetterlo poi solo a seguito di quanto rivelato dai "collaboranti" F.R., D.L. e D. A. non può, di per sè, costituire motivo di inattendibilità delle dichiarazioni da lui rese a seguito di detta ammissione, dal momento che, per un verso, l’iniziale reticenza ben poteva apparire spiegabile per il diffuso timore che le organizzazioni camorristiche, per loro stessa natura, diffondono nei territori nei quali si radicano e, per altro verso, non risulta prospettata alcuna valida ragione per la quale dovesse riguardarsi come certo o probabile che le successive dichiarazioni accusatorie fossero funzionali allo scopo di ottenere vantaggi o evitare danni anche a spese della verità; e, d’altra parte, proprio la circostanza, messa in luce nel ricorso, che le dichiarazioni dei "collaboranti" , come riconosciuto nella stessa sentenza impugnata, fossero prive di specifici e diretti riferimenti alle condotte estorsive di cui all’imputazione milita, sul piano logico, a favore della credibilità di quanto riferito dall’ E. con riguardo a tali condotte, comportando essa l’esclusione della possibilità che egli, nel darne notizia, come ha fatto, con dovizia di particolari, avesse semplicemente ricalcato (quale che potesse essere la finalità da lui perseguita) il narrato dei "collaboranti".

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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