Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-05-2011) 25-07-2011, n. 29770

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 15-6-2010 la Corte d’Appello di Palermo confermava quella emessa dal Gup del tribunale di quella città in data 12-3- 2009, con la quale B.G. era stato riconosciuto responsabile del furto aggravato di un registratore di cassa contenente Euro 2200, di un PC, di un decoder e di documenti fiscali, fatto commesso il 911-4-20069, in ora notturna, ai danni di un esercizio commerciale, e condannato, con generiche equivalenti all’aggravante, alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed Euro 300 di multa, interamente condonata.

Il ricorso proposto dal prevenuto per il tramite del difensore, avv. Vincenzo Giambruno, è affidato a tre motivi.

1) Erronea applicazione dell’art. 360 c.p.p.: i risultati dell’esame dattiloscopico sono affetti da inutilizzabilità patologica in quanto le operazioni di prelievo dei campioni erano state effettuate in difetto di contraddittorio.

2) Violazione della legge penale. Mentre non erano state rilevate impronte dell’imputato sulla saracinesca forzata e sulla porta d’ingresso dei locali, la circostanza che le stesse fossero presenti sul bancone nei pressi della cassa, in posizione peraltro non risultante in modo preciso, non era significativo, trattandosi di zona potenzialmente soggetta al contatto degli avventori del self service, qual era B. che ivi era solito consumare i pasti, e non essendo stata oggetto di accertamento scientifico l’affermazione della corte secondo cui le impronte dei clienti erano state cancellate dalle pulizie effettuate nel locale la sera prima.

Non potevano quindi escludersi prospettazioni alternative alla responsabilità del prevenuto.

3) Violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento delle generiche (in realtà riconosciute con giudizio di equivalenza) e alla determinazione della pena, motivati con il richiamo a precedenti risalenti.

Motivi della decisione

Il ricorso è tardivo.

L’imputato era assente per rinuncia all’udienza del 15-6-2010, in cui veniva pronunciata la sentenza, il cui termine di deposito scadeva il 30-6-2010, non essendo stati fissati termini diversi da quello di quindici giorni. La motivazione era poi depositata, tempestivamente, il 17-6-2010, con la conseguenza che il ricorso avrebbe dovuto essere proposto entro il 30-7-2010, mentre veniva depositato soltanto il 29- 9-2010.

Ad abundantiam se ne rileva l’inammissibilità anche sotto il diverso profilo della manifesta infondatezza dei motivi.

1) Il primo è manifestamente infondato in quanto il difetto di contraddittorio in caso di accertamento tecnico irripetibile integra nullità di ordine generale a regime intermedio, che va fatta valere entro il limite della sentenza di primo grado (Cass. 11052/2009), il che nella specie non è avvenuto.

2) Il secondo perchè si compendia nella prospettazione di una ricostruzione alternativa del fatto della congrua ed esauriente motivazione del giudici di merito in ordine a) mancato rilievo di sue impronte sulla saracinesca forzata e sulla porta d’ingresso dei locali attribuito alla tipologia di tali superfici, peraltro plausibilmente contaminate dai proprietari che il mattino seguente le avevano toccate per entrare; b) alla significatività della presenza di impronte di B. su bancone nei pressi della cassa non solo in posizione risultante in modo preciso dalle fotografie (piano su cui poggia la cassa in corrispondenza della parte di bancone manomessa per asportare un pezzo della cassa quindi inconfutabilmente lasciate dal ladro), ma anche non attribuibili ad un comune avventore del self service – quale del resto non è provato che fosse l’imputato, quanto dalle fotografie il locale risulta essere stato accuratamente pulito dopo la chiusura della sera precedente al fatto.

3) Il terzo perchè le attenuanti generiche sono già state riconosciute mentre la determinazione della pena è stata adeguatamente motivata con il richiamo a due predenti condanne per fatti specifici. Senza contare che B. era sottoposto a custodia cautelare per altra causa nel giudizio di primo grado, e agli arresti domiciliari durante il giudizio di secondo grado.

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile e a tale declaratoria conseguono le statuizioni di cui all’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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