Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-05-2011) 25-07-2011, n. 29769 Aggravanti comuni danno rilevante

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 26-4-2010 la Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma di quella del Tribunale di Sondrio in data 8-6-2006, riconosceva a C.G. il vizio parziale di mente in relazione al reato di furto continuato, aggravato ai sensi dell’art. 625 c.p., n. 7, commesso in (OMISSIS) (su giacche di avventori di pubblici esercizi, e oggetti contenuti nelle tasche), e, ritenuta tale diminuente equivalente alle aggravanti (ivi compresa la recidiva), riduceva la pena ad anni uno di reclusione ed Euro 300 di multa.

Il ricorso proposto dal prevenuto per il tramite del difensore, avv. Alessandra Silvestri, è affidato a cinque motivi.

1) Violazione di legge per mancato riconoscimento del difetto dell’elemento psicologico in conseguenza del difetto di imputabilità. Il disturbo della personalità dell’imputato ha influito sulla volontà di commettere il reato, com’è confermato dalle modalità irrazionali della commissione (aveva afferrato una serie di indumenti indossandoli sotto gli occhi di un nutrito pubblico).

2) Violazione di legge per la mancata esclusione dell’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 7, conseguente qualificazione del reato come furto semplice e improcedibilità per mancanza di querela: le giacche erano rimaste sotto la custodia diretta dei proprietari, essendo appese nei pressi dei tavoli occupati dai predetti.

3) Violazione di legge per mancato riconoscimento del tentativo in relazione al fatto in danno di D.F., in quanto C. non era mai stato perso di vista dal gestore del bar.

4) Erronea applicazione della legge penale per mancato riconoscimento delle generiche prevalenti sulle aggravanti (problemi personali, sociali e psichiatrici, recedenti risalenti all’epoca in cui era tossicodipendente).

5) Difetto di motivazione in ordine alla quantificazione della pena, che si discosta notevolmente dal minimo edittale.

Il difensore dell’imputato ha depositato memoria esplicativa del terzo e quarto motivo.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va disatteso.

1) Invano il ricorrente, che ha ottenuto il riconoscimento in appello del vizio parziale di mente, prospetta che la ridotta imputabilità abbia influenzato la sussistenza del dolo dei reati, per contro conclamata dalle modalità della condotta e dalla natura della refurtiva, sintomatica del fine di profitto, come già evidenziato nella sentenza di primo grado. Infatti, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, e cioè che i fatti sarebbero stati caratterizzati da modalità irrazionali, essendosi svolti sotto gli occhi di un nutrito pubblico, risulta dalla sentenza di primo grado che i furti delle giacche commessi nei primi due esercizi pubblici, furono messi a segno in modo da non essere percepiti dai derubati, al punto che vennero scoperti soltanto dopo la sottrazione dei mazzi di chiavi dalle giacche appese nel terzo locale, quando C. fu fermato riuscendo a fuggire dopo essersi sfilati i capi di abbigliamento, in precedenza sottratti, che aveva avuto l’accortezza di indossare, i quali vennero riconosciuti dagli astanti come appartenenti ai frequentatori degli altri locali.

2) E’ poi erroneo l’assunto secondo cui le giacche appese all’interno di un pubblico esercizio dai proprietari seduti ai tavoli, non sarebbero esposte alla pubblica fede. Questa corte ha invero reiteratamente affermato che la ricorrenza dell’aggravante può essere esclusa soltanto se sulla cosa sia esercitata una diretta e continua custodia da parte del proprietario o di altra persona addetta alla vigilanza, tale che la percezione della sottrazione sia inevitabile, – il che è nella specie da escludere avendo il giudice sia di primo che di secondo grado, definito le giacche incustodite -, custodia non surrogabile neppure da sistemi di videosorveglianza in caso di negozi o supermercati, nè da impianti satellitari in caso di veicoli (Cass. 35473/2010, 9224/2010, 8019/2010).

3) Contrariamente a quanto sostenuto con il terzo motivo, il furto dei mazzi di chiavi in danno di D.F. non è qualificabile come tentativo. Per quanto infatti il gestore del locale avesse casualmente notato C. frugare nelle tasche delle giacche appese, quando egli avvertì i clienti il furto si era già verificato, essendosi il prevenuto, come risulta dalla sentenza di primo grado, impossessato delle chiavi che, una volta sorpreso dal proprietario, provvide a restituirgli, avendone quindi avuto la disponibilità, secondo quanto rilevato dalla corte territoriale, per un apprezzabile lasso di tempo.

4) e 5) La corte d’appello ha infine adeguatamente motivato tanto il diniego del riconoscimento di attenuanti generiche, non avendo ravvisato elementi positivamente valorizzabili e avendo sottolineato le plurime condanni per fatti analoghi ( C. era tra l’altro detenuto per altra causa al momento della celebrazione del giudizio d’appello), quanto la determinazione della pena, mediante richiamo alla gravità della condotta (numerosi furti commessi in breve lasso di tempo e in luoghi diversi) e alla personalità dell’imputato, emergente dalle precedenti condanne.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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