Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-05-2011) 25-07-2011, n. 29764

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.M. è imputato di furto aggravato di 10 tronchi di legno d’acero, sottratti ad A.M., che li deteneva, coperti da un telo di plastica, all’esterno della sua abitazione.

Il Tribunale di Lecco, con sentenza 10.5.2006, la ha riconosciuto colpevole del delitto sopra indicato e lo ha condannato alla pena di giustizia. La CdA di Milano, con la sentenza di cui in epigrafe, ha confermato la pronunzia di primo grado.

Ricorre per cassazione il difensore e deduce;

1) violazione di legge. Secondo il capo di imputazione e la sentenza, il legname sarebbe stato sottratto al legittimo proprietario. Il presupposto è indispensabile per la sussistenza del delitto di furto, atteso che in mancanza della altruità della cosa, il reato ex art. 624 c.p. non può sussistere.

Ebbene, è stato affermato e provato che i predetti tronchi non potevano esser di proprietà della A., in quanto provenienti da bosco ceduo, sito in territorio sottoposto a usi civici. Il legname in questione appartiene alla intera comunità montana e non può essere vendutole non attraverso asta pubblica. La A., dunque, avendo acquistato i tronchi da un soggetto non autorizzato alla vendita, non ne è mai divenuta proprietario. La stessa non poteva neanche vantare il possesso o la detenzione qualificata della res. Non il possesso, in quanto i tronchi erano semplicemente appoggiati presso la sua abitazione e quindi, in ogni caso, mancava l’animus possidenti, non la detenzione qualificata, perchè non aveva alcun valido titolo. Ne consegue che ella non poteva essere spossessata e che il legno non poteva essere qualificato res aliena.

Neanche poi sussiste il profitto in capo all’imputato, atteso che egli non ha tratto alcuna utilità patrimoniale dalla sua azione, che aveva mero scopo dimostrativo, volendo il P. far risultare l’abuso che la A. e la persona da cui ella aveva comperato la legna avevano compiuto; nè può dirsi che sussista un danno in quanto, si ripete, A. non era proprietario. Manca, infine, il dolo, che, nel caso di furto, deve essere specifico;

2) mancanza e contraddittorietà, ovvero manifesta illogicità di motivazione, atteso che la CdA, cui le predette questioni erano state prospettate, si è limitata ad elencarle e a riassumerle, fornendo una risposta meramente apparente e riportandosi integralmente alla motivazione del primo giudice, con riferimento alla quale, naturalmente, le censure poste a sostegno dell’appello erano state formulate.

Motivi della decisione

La prima censura è infondata.

Anche se si volesse seguire l’approccio strettamente civilistico che il ricorrente ha inteso dare alla sua impugnazione, dovrebbe giungersi a conclusione per lui sfavorevole, dovendosi, quanto meno, rilevare che la PO, in quanto acquirente di buona fede (che si presume, fino a prova del contrario) di una cosa mobile, ne era divenuta proprietario o, quantomeno, ne godeva liberamente il possesso.

D’altra parte, per "cosa mobile altrui", non si intende necessariamente cosa di proprietà del soggetto cui è stata sottratta; si intende cosa che non appartiene all’agente (ASN 197309740-RV 125845). E certo la legna non apparteneva all’imputato, ma ad altri (la A., secondo i giudici del merito, la comunità montana, secondo lo stesso ricorrente).

In ogni caso, è noto (cfr: ad es. ASN 1986O2329-RV 172205) che, ai fini della configurabilità del reato di furto, è sufficiente che la vittima abbia la mera detenzione della cosa, oppure che eserciti il possesso (inteso quale potere di fatto) sulla cosa.

Invero, in diritto penale, il concetto di possesso è differente rispetto a quello civilistico; esso va inteso come situazione di fatto in cui rientrano tutti i casi nei quali il soggetto ha la signoria autonoma sulla cosa (ASN 198511218-RV 171196).

E’, pertanto, certamente corretta la affermazione contenuta in sentenza (e infondatamente censurata dal ricorrente), in base alla quale si può rubare anche al ladro (ASN 198605454-RV 173099), atteso che la detenzione tutelata dall’art. 624 c.p., contrariamente a quel che ritiene il ricorrente, è anche la detenzione semplice e non qualificata.

Che la A. detenesse il legname per sè e presso di sè, è, sulla base di quel che si legge nella sentenza impugnata e che lo stesso ricorrente non contesta, di tutta evidenza, atteso che ella:

a) lo aveva pagato, b) lo teneva presso la sua abitazione coperto con un telo di plastica (nè si vede come avrebbe potuto custodire in casa 10 tronchi di acero).

Quanto al dolo, è jus receptum (tra le tante: ASN 198504471-RV 169109) che il profitto di cui all’art. 624 c.p. può consistere in una qualsiasi utilità o vantaggio, anche di natura non patrimoniale, ed è sufficiente che il soggetto attivo (a nulla giuridicamente rilevando la destinazione che egli da alla cosa sottratta) abbia operato per il soddisfacimento di un qualsiasi interesse, anche psichico, così come il reato sussiste, ad es., anche se il soggetto si sia impadronito della ras1 per poi consegnarla a terza persona (ASN 198906923-RV 181295).

Dunque, nel caso in esame, se pur fosse vero che quello di P. voleva essere un gesto dimostrativo (cosa di cui la CdA dubita, atteso che nessun "messaggio", nè effettivo, nè simbolico, l’imputato lasciò per "giustificare" il suo gesto), non dimeno, l’elemento psicologico del reato de quo sarebbe egualmente sussistente.

Manifestamente infondata è la seconda censura.

Non può, invero, negarsi che la motivazione della sentenza impugnata sia piuttosto esigua. Essa, tuttavia, contiene le considerazioni essenziali per fornire risposta alle questioni poste dalla difesa del P..

Invero, con tre affermazioni, la CdA "risponde", in ordine alla altruità della cosa, alla utilità che l’appellante trasse nell’impossessarsi dei tronchi, alla desumibile intenzione del P. di tenere per sè e utilizzare il legname.

D’altra parte, se si formulano censure di scarsa consistenza, non si può poi aspirare a una decisione corredata da un ricco apparato motivazionale.

Conclusivamente, il ricorso va rigettato e il ricorrente va condannato alle spese del grado.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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