Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 19-12-2011, n. 27358

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Bolzano pronunciando, a seguito di sentenza n. 50 del 2007 della Corte Costituzionale, sulla domanda proposta dai ricorrenti in epigrafe, dirigenti sanitari dipendenti di varie aziende sanitarie della Provincia di Bolzano, cui era subentrata l’Azienda sanitaria della provincia autonoma di Bolzano,dichiarava, per coloro che avevano già proposto la domanda per l’esercizio della libera professione, il diritto di optare per l’esercizio della libera professione extramoenia, nonchè la nullità dell’art. 52 del contratto collettivo intercompartimentale e di comparto per l’area del personale medico e medico veterinario del servizio sanitario provinciale 2001/2004 nella parte in cui non prevedeva l’erogazione di un trattamento retributivo quale compenso per l’esclusività del rapporto.

La sezione distaccata di Bolzano della Corte di Appello di Trento, in parziale riforma della sentenza di primo grado, "revocava" l’accertamento di nullità del predetto art. 52 del richiamato contratto collettivo intercompartimentale e di comparto, confermando nel resto la sentenza del Tribunale di Bolzano. I giudici di appello, per quello che interessa in questa sede, ritenevano, innanzitutto, che il giudice di primo grado, nel dichiarare la nullità dell’art. 52 del menzionato contratto collettivo intercompartimentale e di comparto, aveva violato l’art. 112 c.p.c. in quanto i dirigenti non avevano tempestivamente proposto alcuna domanda in tal senso.

Pertanto, i predetti giudici, riformavano sul punto la sentenza di primo grado "revocando" la declaratoria di nullità del richiamato art. 52.

Affermavano, poi, i giudici di secondo grado che non risultando proposta alcuna domanda generica di condanna della controparte al pagamento dell’indennità di esclusività risultava infondata la relativa censura di omessa pronuncia. Avverso questa sentenza i dirigenti in epigrafe ricorrono in cassazione sulla base di quattro censure, illustrate da memoria.

Resistono con controricorso le parti intimate che depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo insufficiente ed erronea motivazione circa l’apprezzamento degli atti processuali, in riferimento all’art. 112 c.p.c. ( art. 360 c.p.c., n. 5) indicano quale fatto controverso, ex art. 366 bis c.p.c., "se sia insufficiente od errata la motivazione della sentenza impugnata, in relazione all’art. 112 c.p.c., per aver ritenuto infondata la censura di cui al primo motivo dell’appello incidentale, di omessa pronuncia del giudice di primo grado, in relazione alla domanda proposta dai ricorrenti di veder accertato il loro diritto al trattamento economico previsto per il rapporto d’impiego in regime di esclusività". Sostengono i ricorrenti, in proposito, che, contrariamente a quanto affermato dai giudici di appello ,essi ricorrenti avevano proposto domanda per l’accertamento del loro diritto all’indennità di esclusività. Con la seconda censura i medici, denunciando errore di motivazione, per inesatto apprezzamento dei documenti processuali (in particolare del ricorso introduttivo) in riferimento all’art. 112 c.p.c. e art. 2697 c.c. ( art. 360 c.p.c., n. 5), chiedono, ai sensi del citato art. 366 bis c.p.c.,"se la richiesta di condanna della convenute Amministrazioni alla corresponsione dell’indennità di esclusività nella misura stabilita dalla legge, con riferimento al CCNL, fosse sufficientemente provata, allorchè come nella specie, gli elementi da cui ricavare gli importi relativi, erano nella disponibilità della Amministrazioni datrici di lavoro e non occorre fornire alcun elemento". Allegano i dirigenti, al riguardo, che la Corte territoriale ha mal interpretato il ricorso di primo grado ritenendo che fosse stata richiesta una condanna specifica delle Amministrazioni per ciascuno dei 450 ricorrenti, mentre era evidente che era stata richiesta la condanna al pagamento dell’indennità di esclusività secondo gli importi del CCNL, restando affidata alle stesse Amministrazioni la loro concreta quantificazione.

Con la terza critica i ricorrenti, assumendo errore nella motivazione in riferimento alì interpretazione del ricorso introduttivo e della sentenza di primo grado ed all’art. 112 c.p.c., chiedono, ex art. 366 bis c.p.c. cit.:"se sia erronea la motivazione della sentenza di appello, secondo la quale integra il vizio di ultrapetizione la sentenza del Tribunale di Bolzano per aver dichiarato la nullità parziale del CCPL, quando questa era stata denunciata, non nelle conclusioni, ma nelle argomentazioni del ricorso di primo grado come conseguenza del diritto dei ricorrenti all’indennità di esclusività".

Con il quarto motivo i ricorrenti, prospettando, violazione dell’art. 51 c.p.c., n. 3 e art. 158 c.p.c. e art. 111 Cost., pongono, ex art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito di diritto: "se la violazione da parte del giudice dell’obbligo di astenersi, non eccepita per mancata conoscenza del fatto attraverso l’istituto della ricusazione, possa essere fatta valere successivamente con l’impugnazione e comporti la nullità della sentenza per la irregolare costituzione del Collegio" Allegano al riguardo che solo dopo la sentenza della Corte territoriale sono venuti a conoscenza della circostanza che due componenti del Collegio giudicante avevano pendenti due ricorsi avanti al TAR Lazio promossi dalla Provincia Autonoma di Bolzano sulla richiesta del procedimento di revoca del trasferimento del controinteressato alla Corte di Appello di Torino.

E’ pregiudiziale l’esame della eccezione d’inammissibilità del ricorso sollevata dai resistenti per difetto di procura in relazione alla posizione di 409 ricorrenti. Rileva il Collegio che l’eccezione è fondata. Invero è ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte che in materia di procedimento civile, è inammissibile, per difetto della prescritta procura speciale, il ricorso per cassazione proposto sulla base della procura rilasciata dal ricorrente nell’atto d’appello, essendo quest’ultima inidonea allo scopo perchè conferita con atto separato in data anteriore alla sentenza da impugnare in sede di legittimità e pertanto in contrasto con l’obbligo di rilasciare la procura successivamente alla pubblicazione del provvedimento impugnato e con specifico riferimento al giudizio di legittimità (V. per tutte Cass. 7181/03 e 23501/04). Orbene nella specie, come desumesi dall’intestazione del ricorso per cassazione – questo risulta proposto per tutti i ricorrenti ad eccezione di T.M., B.P., V.C., Ta.Ma.

C., Bo.Ed., C.S., G.A., A.G., D.R., Tr.An., b.

s. – "giusta procure speciali in calce al ricorso introduttivo del giudizio di 1^ grado … ed in virtù di procure speciali rilasciate rispettivamente il 20.10.2004 e il 14.10.2004" e quindi sulla base di atto separato in data anteriore alla sentenza da impugnare in sede di legittimità.

Infatti la procura per il ricorso per cassazione che necessariamente ha carattere speciale dovendo riguardare il particolare giudizio davanti alla Corte di cassazione – è valida solo se rilasciata in data successiva alla (già emessa) sentenza impugnata, sicchè il ricorso deve essere dichiarato inammissibile qualora la procura, se conferita con atto separato, sia anteriore alla pubblicazione del provvedimento impugnato, restando altresì esclusa ogni possibilità di successiva sanatoria o regolarizzazione (Cfr. Cass. 2444/00). Di conseguenza il ricorso proposto dai medici, ad eccezione dei nominati ricorrenti per quali risulta rilasciata procura in data 25.08.2008 e, quindi, in data posteriore alla pubblicazione della sentenza di appello, va dichiarato inammissibile.

Passando all’esame del ricorso dei precitati medici relativamente ai quali, sotto il profilo analizzato, il ricorso è ammissibile, rileva il Collegio che lo scrutinio dell’ultima censura è preliminare.

E’ opportuno premettere che costituisce principio di diritto vivente l’affermazione secondo la quale la violazione da parte del giudice dell’obbligo di astensione può essere fatta valere dalla parte unicamente con l’istanza di ricusazione nei modi e termini di cui all’art. 52 c.p.c e non, tranne che per l’ipotesi di interesse diretto del giudice nella causa – non ricorrente nella fattispecie in esame, come motivo di nullità della sentenza ( per tutte Cass. 19 novembre 2009 n. 23930 e 27 maggio 2009 n. 12263 nonchè in motivazione Cass. 14 luglio 2006 n. 16119).

Tanto precisato va ribadito che secondo orientamento di questa Corte,pienamente condiviso dal Collegio, anche a seguito della modifica dell’art. 111 Cost., introdotta dalla Legge costituzionale n. 2 del 1999, in difetto di ricusazione la violazione dell’obbligo di astenersi da parte del giudice non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza da lui emessa, giacchè la norma costituzionale, nel fissare i principi fondamentali del giusto processo (tra i quali, appunto, l’imparzialità e terzietà del giudice) ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina e, in considerazione della peculiarità del processo civile, fondato sull’impulso paritario delle parti, non è arbitraria la scelta del legislatore di garantire, nell’ipotesi anzidetta, l’imparzialità e terzietà del giudice tramite gli istituti dell’astensione e della ricusazione. Nè detti istituti, cui si aggiunge quello dell’impugnazione della decisione nel caso di mancato accoglimento della ricusazione, possono reputarsi strumenti di tutela inadeguati o incongrui a garantire in modo efficace il diritto della parti alla imparzialità del giudice, dovendosi, quindi, escludere un contrasto con la norma recata dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la quale, sotto l’ulteriore profilo dei contenuti di cui si permea il valore dell’imparzialità del giudice, nulla aggiunge rispetto a quanto già previsto dal citato art. 111 Cost. (Per tutte V. Cass. 4 giugno 2008 n. 14807 e Cass. 29 marzo 2007 n. 7702 nonchè 4 gennaio 2010 n. 20).

Del resto, e vale la pena di sottolinearlo la circostanza secondo la quale solo dopo la pubblicazione della sentenza di appello della Sezione distaccata di Bolzano della Corte di appello di Trento essi ricorrenti sono venuti a conoscenza della pendenza di ricorsi dinanzi al Tar promossi dalla Provincia autonoma di Bolzano, è solo allegata.

La censura, pertanto, è infondata non essendovi elementi obiettivi per assumere una giustificata mancata ricusazione innanzi al giudice di appello.

Passando all’esame dei primi tre motivi di ricorso che, in quanto strettamente connessi dal punto di vista logico e giuridico, vanno trattati unitariamente, rileva la Corte che gli stessi sono infondati.

Innanzitutto osserva il Collegio che in sede di legittimità occorre tenere distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda, o la pronuncia su domanda non proposta, dal caso in cui si censuri l’interpretazione data dal giudice di merito alla domanda stessa: solo nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, prospettandosi che il giudice di merito sia incorso in un error in procedendo, in relazione al quale la Corte di cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti giudiziari onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiestale.

Nel caso in cui venga, invece, in contestazione l’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, tali attività integrano un tipico accertamento in fatto, insindacabile in cassazione salvo che sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto (V. Cass. 5 agosto 2005 n. 16596 e Cass. 7 luglio 2006 n. 15603).

Nella specie avuto riguardo all’articolazione delle censure in esame i ricorrenti sostanzialmente censurano la sentenza impugnata per aver i giudici di appello erroneamente interpretato la domanda giudiziale ritenendo che non fosse stata richiesta, e la declaratoria di nullità della clausola collettiva non prevedente la indennità di esclusività, e l’accertamento del loro diritto alla corresponsione della predetta indennità con condanna generica della controparte al relativo pagamento.

Nonostante il riferimento nella rubrica della censura e nella specificazione, ex art. 366 bis c.p.c., del fatto controverso all’art. 112 c.p.c. i ricorrenti non pongono, quindi una questione, di non corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, ma una mera questione d’interpretazione dell’atto introduttivo del giudizio e, appunto, sotto tale profilo deducono il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 e non quello di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4.

L’omessa pronuncia, invero, su alcuni dei motivi di appello – così come, in genere, l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio – risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3 o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo "error in procedendo" – ovverosia della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello.

(Cass. 27 gennaio 2006 n. 1755 e Cass., S.U., 27 ottobre 2006 n. 23071).

Così circoscritto l’ambito delle censure sottoposte all’esame di questa Corte, rileva il Collegio che le critiche, per come formulate, si risolvono nella mera prospettazione di una diversa interpretazione della domanda giudiziale in quanto i ricorrenti si limitano, a fronte della esegesi fornita dal giudice di appello del ricorso introduttivo,ad allegare una diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità della predetta esegesi.

Tuttavia una siffatta critica, dinanzi ad una motivazione congrua, priva di salti logici, e giuridicamente corretta – secondo la quale, per un verso nessuna delle parti di questo processo ha proposto tempestivamente, e cioè nei limiti in cui è ammissibile la edictio actionis nel processo del lavoro, il tema della dichiarazione di nullità dell’art. 52 del CCPL e ciò anche a non volere tener conto delle conclusioni formulate nel ricorso introduttivo così come confermato in sede di appello in cui la stessa parte allora ricorrente ha tacciato la decisione di primo grado di errore materiale per aver fatto riferimento all’art. 52 del predetto CCPL, e dall’altro nessuna domanda di pronuncia generica di accertamento del diritto è stata richiesta come desumesi dalla lettera delle conclusioni trascritte nella sentenza di primo grado e delle conclusioni della parte appellata (originaria parte ricorrente) – non è idonea ad investire questa Corte del relativo sindacato di legittimità.

Sulla base delle esposte considerazioni, pertanto, il ricorso dei medici in parola va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate avuto riguardo alla specificità della materia del contendere.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso proposto da T.M., B. P., V.C., Ta.Ma.Cr., B. E., C.S., G.A., A.G., D.R., Tr.An., b.s.. Dichiara inammissibile il ricorso proposto dagli altri ricorrenti. Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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