Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-05-2011) 25-07-2011, n. 29761

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Giudice di pace di Macerata, con la sentenza del 14 aprile 2010, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di M. F. per il reato di minacce in danno di F.L. per essere il reato estinto per intervenuta remissione di querela, accettata espressamente dalla parte lesa.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Ancona, il quale lamenta, quale unico motivo, la violazione di legge a cagione dell’esistenza degli estremi del più grave reato di violenza privata, almeno nella forma tentata, con la consequenziale competenza del Tribunale di Macerata.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è da rigettare dovendosene, peraltro, affermare una certa genericità posto che il ricorrente P. M. dopo aver evidenziato i principi giuridici nella materia non ha, in concreto, evidenziato in fatto le ragioni per cui la fattispecie ascritta all’imputato M. rientrasse nel più grave reato di competenza del Tribunale.

2. In diritto si afferma pacificamente come il delitto di violenza privata sia un reato complesso, vale a dire che suo elemento costitutivo sia una condotta che, isolatamente considerata, costituirebbe l’elemento materiale di un altro reato (v. Cass. Sez. 5 17 ottobre 2008 n. 43219).

L’agente, infatti, ai sensi dell’art. 610 c.p., può utilizzare, alternativamente o congiuntamente, violenza e minaccia per raggiungere il suo scopo, coartando fisicamente o psicologicamente la vittima.

Conseguentemente, quando in un unico contesto, vengano posti in essere comportamenti violenti oppure minacciosi, ed entrambe queste condotte siano finalizzate a imporre alla vittima un tacere o un pati non è dubbio che resti integrata la ipotesi di violenza privata, se l’agente raggiunge il suo scopo ovvero quella del tentativo del predetto reato, se lo scopo non è raggiunto (v. Cass. Sez. 5 26 gennaio 2006 n. 7214 e da ultimo Sez. 2 18 gennaio 2011 n. 3609).

3. In punto di fatto, questa volta, si osserva come dall’esame del capo d’imputazione ascritto all’imputato M. non si evinca affatto l’esistenza di una condotta finalizzata all’imposizione al destinatario della missiva di un determinato comportamento.

Le espressioni adoperate rientrano, senza dubbio alcuno, nel contestato delitto di minacce, in quanto si risolvono nella prospettazione del mero male ingiusto evidenziato dalle frasi: "ti vengo a cercare" e "presto avrete mie notizie statene certi" che valgono, in ogni caso, a togliere significato all’ulteriore frase "vediamo di ottemperare" che non può essere indice della volontà di richiedere nel destinatario un determinato comportamento ma ha soltanto effetto rafforzativo del male ingiusto minacciato.

4. In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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