Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 11-05-2011) 25-07-2011, n. 29647 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Gli infrascritti imputati propongono ricorso avverso la sentenza del 16.12.2009 della Corte d’appello di Bari, che ha pronunciato sugli appelli dei medesimi e del P.M contro la sentenza emessa in esito a giudizio abbreviato dal GUP di Bari il 12.11.2008. 1.- C.C., già in primo grado assolto dai reati, ascritti dal 1988 in avanti, di appartenenza all’associazione di stampo mafioso denominata Clan Gaeta (capo 1 della rubrica), dedita a delitti vari, tra cui truffe in danno dell’INPS, e di appartenenza alla correlata associazione di narcotraffico (capo 2), e condannato, per i reati (di cui ai capi 14 e 14A), uniti ex art. 81 cpv. c.p., di concorso in indotto falso ideologico continuato (commesso fino a tutto il (OMISSIS)) e truffa aggravata continuata (commessa fino al (OMISSIS)) in danno dell’INPS (consistenti nel far risultare finte assunzioni di braccianti agricoli e nel determinare conseguenti indebite erogazioni di indennità previdenziali), previa esclusione dell’aggravante ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e concessione delle attenuanti generiche prevalenti, alla pena di anni uno, mesi dieci e giorni venti di reclusione, deduce, nei confronti della sentenza di appello, che ha confermato quella del GUP, dichiarando condonata la pena, che la sua responsabilità è stata ritenuta sulla base, oltre che di inconsistenti dichiarazioni orali, di alcuni documenti relativi ad alcune aziende agricole "fantasma", intestati formalmente a tale Ca.Lu. e riferibili in realtà ad esso imputato, e di alcuni assegni di indennità pervenuti a un suo vecchio indirizzo, senza che sia stata presa in considerazione la versione difensiva, secondo cui egli ebbe realmente a fornire i propri dati e documenti a D.G.P. per una ordinaria pratica inerente a indennità di disoccupazione agricola e presentò anche una denuncia di smarrimento di propri documenti, e nulla ha poi saputo dello scambio d’identità col Ca., così come dei menzionati assegni, pervenuti a un recapito abbandonato da tempo.

1′.- Il ricorso è inammissibile, in quanto ripropone doglianze di ordine valutativo già confutate dalla Corte d’appello (v. pp. 36 s.) con motivazione che, integrandosi con quella già resa dal primo giudice (v. pp. 331-333), appare scevra da vizi rilevabili in questa sede.

2.- CO.An., già in primo grado assolta dal reato, ascritto dal 1988 in avanti, di appartenenza all’associazione di stampo mafioso denominata Clan Gaeta (capo 1 della rubrica), dedita a delitti vari, tra cui truffe in danno dell’INPS, e condannata, per i reati (di cui ai capi 14 e 14A), uniti ex cpv. art. 81 c.p., di concorso in indotto falso ideologico continuato (commesso fino a tutto il 2003) e truffa aggravata continuata (commessa fino al (OMISSIS)) in danno dell’INPS (consistenti nel far risultare finte assunzioni di braccianti agricoli e nel determinare conseguenti indebite erogazioni di indennità previdenziali), previa esclusione dell’aggravante ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e concessione delle attenuanti generiche prevalenti, alla pena di anni uno, mesi dieci e giorni venti di reclusione, deduce, nei confronti della sentenza di appello, che ha confermato quella del GUP, che non sono state esplicate le ragioni della sua ritenuta responsabilità e non si è tenuto conto delle risultanze scagionanti risultanti dagli atti.

2.- Il ricorso è inammissibile, in quanto si risolve in contestazioni generiche o basate su dati fattuali puramente assertivi, che non incrinano in alcun modo la motivazione resa dalla Corte d’appello (v. 39 s.), che, integrandosi con quella già resa dal primo giudice (v. pp. 334-339), appare scevra da vizi rilevabili in questa sede.

3.- D.G.P., già in primo grado assolto dal reato, ascritto dal 1988 in avanti, di appartenenza all’associazione di stampo mafioso denominata Clan Gaeta (capo 1 della rubrica), dedita a delitti vari, tra cui truffe in danno dell’INPS, e condannato, per i reati (di cui ai capi 14, 15, 14 e 15), uniti ex art. 81 cpv. c.p., di concorso in indotto falso ideologico continuato (commessi, rispettivamente, fino a tutto il (OMISSIS) e a tutto il (OMISSIS)) e truffa aggravata continuata (commessi, rispettivamente, fino al (OMISSIS)) in danno dell’INPS (consistenti nel far risultare finte assunzioni di braccianti agricoli e nel determinare conseguenti indebite erogazioni di indennità previdenziali), previa esclusione dell’aggravante ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e concessione delle attenuanti generiche prevalenti, alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione, oltre all’interdizione dai pubblici uffici per anni cinque, deduce, nei confronti della sentenza di appello, che lo ha ritenuto responsabile altresì del reato di cui al capo 1, riqualificato come associazione a delinquere semplice ex art. 416 c.p. e considerato avvinto ex cpv. art. 81 c.p. con gli altri reati, rideterminando la pena in anni quattro e mesi sei di reclusione (condonata per anni tre), con conferma nel resto della pronuncia del GUP, che:

a.- sono inutilizzabili i risultati (decisivi per l’affermazione di responsabilità) delle intercettazioni telefoniche provenienti da altro procedimento, non potendosi condividere l’assunto della verificabilità ex ante, anzichè expost, dei presupposti della loro ammissibilità;

b.- con la formale riqualificazione del capo 1 sub specie di reato associativo ex art. 416 c.p. la Corte di merito ha in realtà enucleato dalle emergenze processuali una nuova e autonoma contestazione di reato, in violazione dell’art. 521 c.p.p.;

c. – con l’operazione riqualificatoria predetta la Corte di merito ha altresì illogicamente e inaccettabilmente differenziato la posizione del D.G. da quella, identica, degli imputati B. M. e V.A., per i quali si è astenuta dal provvedere in ordine al capo 1, dando atto che, al riguardo, il GUP aveva trasmesso gli atti al P.M.;

d.- l’impugnata sentenza ha confermato la responsabilità del prevenuto per i reati di cui ai capi 14, 14A, 15 e 15A sulla base dei predetti risultati intercettivi inutilizzabili e senza chiarire perchè il D.G., nella sua qualità di responsabile di patronato, dovesse rendersi conto delle irregolarità e falsità delle operazioni da altri compiute, e ciò tanto più in presenza del proscioglimento di coimputati analogamente coinvolti.

3.1.- Con motivi nuovi la difesa ha altresì denunciato che l’impugnata sentenza non ha specificato il ruolo dell’imputato nella presunta associazione e la data del commesso reato associativo (che, in base ai reati fine, sarebbe al più tardi quella del 2003), non ha indicato il reato più grave ai fini della pena, non ha motivato sulla congruità dell’aumento di pena ex cpv. art. 81 c.p. e non ha tenuto conto che il reato associativo, per la mancata contestazione e l’assenza di atti interruttivi, si è prescritto ben prima della sentenza.

3.- Il ricorso è parzialmente fondato. a.- L’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni è stata correttamente respinta nell’ordinanza della Corte di merito del 29.09.2009, in base alla regola della valutabilità ex ante dei presupposti di legittimità delle medesime. Secondo conforme giurisprudenza, invero, il vaglio sulla sussistenza dei presupposti legittimanti le intercettazioni va compiuto con riferimento al titolo del reato per il quale si procedeva all’epoca della loro autorizzazione (Cass. Sez. 1, n. 24163 del 19/05/2010, dep. 23/06/2010, Satta, Rv. 247943; conformi: N. 5331 del 1994 Rv. 197616, N. 19852 del 2009 Rv. 243780, N. 50072 del 2009 Rv. 245699). Ciò vale anche per l’utilizzo in procedimenti diversi (v. Sez. 6, Sentenza n. 33751 del 24/06/2005, dep. 21/09/2005, Bellato, Rv.

232046).

Una volta che le intercettazioni telefoniche o ambientali sono legittimamente entrate a far parte del processo, sia nell’ipotesi in cui vengano utilizzate per l’accertamento di un reato connesso, indipendentemente dall’esito del relativo giudizio, sia nell’ipotesi in cui il reato per il quale erano state disposte successivamente venga poi modificato, non possono essere dichiarate inutilizzabili con riferimento alla fattispecie per la quale non sarebbero state consentite. b.-c.- In ordine ai motivi con cui si contesta la correttezza e validità della riqualificazione del capo 1 sub specie di reato associativo ex art. 416 c.p., anche in relazione al diverso trattamento riservato agli imputati B.M. e V. A., va premesso che al riguardo il primo giudice aveva espressamente escluso (p. 86) la possibilità di una tale riqualificazione, ravvisando l’emersione di un fatto totalmente diverso, rispetto al quale non si era potuto esercitare il diritto di difesa, e aveva quindi, in dispositivo, trasmesso gli atti al P.M. perchè procedesse al riguardo, e ciò anche nei confronti del D. G.. Tale statuizione era di per sè inoppugnabile (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17197 del 25/03/2010, dep. 06/05/2010, Mangione, Rv.

246988; conformi sentt. N. 3606 del 1995 Rv. 201105, N. 48159 del 2003 Rv. 226493, N. 24058 del 2009 Rv. 244648). L’appello proposto al riguardo dal P.M. deve, pertanto, essere ritenuto inammissibile (giusta la previsione di cui all’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. b, e comma 4) e la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio in relazione al capo 1 (con conseguente assorbimento delle doglianze formulate nei motivi nuovi). d. – Le deduzioni con cui si contestano i reati di falso e truffa si risolvono in generici rilievi ipotetico-valutativi, inidonei a incrinare la complessiva motivazione resa al riguardo dai giudici di merito (v. p. 66 s. sent. 2, gr. e pp. 343-352). L’inammissibilità dei motivi inerenti a tali capi preclude la rilevazione dell’eventuale estinzione degli stessi per prescrizione.

All’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in relazione al capo 1 consegue l’eliminazione della relativa pena di anni uno e mesi due di reclusione.

4.- D.N.A., già in primo grado assolto dal reato, ascritto dal 1988 in avanti, di appartenenza all’associazione di stampo mafioso denominata Clan Gaeta (capo 1 della rubrica), dedita a delitti vari, e condannato, per i reati, uniti ex cpv. art. 81 c.p., di appartenenza ad associazione di narcotraffico (capo 2), detenzione di eroina (capo 3), detenzione di cocaina e hashish (capo 4A), furto aggravato (capo 5) e riciclaggio (capo 19), previa esclusione dell’aggravante ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e concessione delle attenuanti generiche prevalenti e dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 7, alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione, oltre all’interdizione dai pp. uu. per anni cinque, deduce il vizio di motivazione della sentenza di appello, che ha escluso l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 4 e riconosciuto il vincolo della continuazione con i fatti delle sentenze definitive della Corte d’appello del 24.11.2005 e del 01.12.2006, applicando, per i reati oggetto del presente giudizio, un aumento di pena ex art. 81 cpv. c.p. di mesi otto per il capo 2, e mesi tre per ciascuna delle altre quattro imputazioni, con revoca della pena accessoria della interdizione temporanea dai pp.uu. e conferma nel resto.

4.- Il ricorso è inammissibile, perchè generico e perchè il richiamo ai motivi d’appello attinenti alla massima diminuzione per l’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 7e alla riduzione degli aumenti di pena per continuazione appare inconferente a fronte dell’effettuato ricalcolo in continuazione esterna dell’aumento di pena per tutti i reati oggetto del presente giudizio.

5.- F.P., già in primo grado assolto dal reato, ascritto dal 1988 in avanti, di appartenenza all’associazione di stampo mafioso denominata Clan Gaeta (capo 1 della rubrica), dedita a delitti vari, e dai reati di detenzione continuata di cocaina e hashish (capi 4A e 4B) e di detenzione di arma (capo 4C), e condannato, per i reati, uniti ex cpv. art. 81 c.p., di appartenenza con qualità di capo ad associazione di narcotraffico (capo 2) e riciclaggio (capo 19), previa esclusione dell’aggravante ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e concessione delle attenuanti generiche equivalenti, alla pena di anni tredici e mesi dieci, oltre all’interdizione perpetua dai pp.uu. e alla statuizione della confisca dei beni (anche se intestati a terzi) già oggetto di sequestro preventivo, deduce, nei confronti della sentenza di appello, che lo ha ritenuto responsabile altresì del reato di cui al capo 1, riqualificato come associazione a delinquere semplice ex art. 416 c.p. e considerato avvinto ex cpv. art. 81 c.p. con gli altri reati, rideterminando la pena, previa esclusione della qualità di capo e dell’aggravante di cui al comma 4 per il reato ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, in anni nove di reclusione (condonata per anni tre), con conferma della confisca dei beni di cui ai decreti GIP Bari 08.10.2007 e 20.02.008, che:

a.- l’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 1, riqualificato come reato ex art. 416 c.p. è del tutto apodittica;

b.- la conferma di responsabilità per il reato di cui al capo 19 si basa sulle sole dichiarazioni di D.N., non riscontrate, e afferisce a reati presupposti di spaccio ed estorsione commessi da terzi che ne avrebbero versato il ricavato al F.: passaggio che non risulta in alcun modo provato in atti;

c. – manca anche la prova del reato di cui al capo 2, stante la mancanza di reati fine, la distanza temporale fra le dichiarazioni rese dai due collaboranti D.N. e T., che impedisce di ravvisarvi un riscontro reciproco, e la scarsa attendibilità delle medesime;

d.- le disposte confische dei beni dell’imputato non hanno tenuto conto del ricavato di una vendita del giugno 1997, dell’epoca di acquisto (posi delictum) dell’appartamento di (OMISSIS), del fatto che i conti correnti non erano stati confiscati dal primo giudice e sul punto non vi era stata impugnazione del P.M., e la confisca dei beni mobili e immobili intestati a De.Pa. è stata confermata senza prova dell’interposizione fittizia e nonostante la comprovata capacità reddituale della predetta.

5.- Il ricorso è parzialmente fondato. a.- L’affermata responsabilità per il reato, così come riqualificato, di cui al capo 1, non è effettivamente sorretta da alcuna motivazione concreta (non potendo la stessa considerarsi integrata dagli scarni, generici e indiretti rilievi contenuti a p. 70).

La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata su detto capo, con rinvio al giudice di merito. b.- Riguardo al capo 19, è inesatta, alla stregua di quanto riportato dalla sentenza di primo grado (v. p. 361 s.), l’affermazione che vi sarebbero dichiarazioni accusatorie del solo collaborante D.N.. Appare invece fondato il rilievo circa la mancata evidenziazione probatoria del passaggio al F. di denaro proveniente da illeciti di terzi. Anche su tale capo, pertanto, la sentenza impugnata deve, essere annullata, con rinvio al giudice di merito. c. – La motivazione in ordine alla responsabilità per il reato di cui al capo 2, resa dalla sentenza impugnata, come doverosamente integrata dall’analitica e argomentata illustrazione degli elementi probatori offerta dal primo giudice (p 175 ss.), resiste ampiamente alle censure mosse al riguardo nel ricorso. d. – Infondate sono le deduzioni in ordine alle disposte confische.

Quanto, invero, alla risorsa derivante dalla vendita del giugno 1997, è evidente che la stessa non può essere utilmente invocata dal ricorrente in mancanza di qualsiasi elemento indicativo della lecita acquisizione del bene venduto. Irrilevante, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, è poi la circostanza della posteriorità, rispetto alla condotta illecita, dell’acquisto dell’appartamento di (OMISSIS) (v. Cass. SS.UU. 17 dicembre 2003, Montella).

Relativamente ai conti correnti, la tesi che le somme depositate sui conti correnti non erano stati confiscati dal primo giudice è infondata e non era per nulla stata condivisa dal P.M. nella sua memoria depositata il 04.12.2009. Come correttamente rilevato in tale atto, invero, il GUP aveva disposto la confisca dei beni oggetto già di sequestro preventivo (ancora in atto) da parte del GIP, e l’elencazione di alcuni specifici beni fatta sul punto in motivazione era puramente esemplificativa e non poteva essere letta in contrasto con la generale statuizione predetta.

Sulla incapienza reddituale lecita del F. e della di lui moglie De.Pa. (rilevante, in relazione ai beni intestati a quest’ultima, e in una al rapporto di coniugio, anche come prova dell’interposizione), la sentenza impugnata svolge logica ed esaustiva motivazione, che resiste e toglie pratico rilievo alle censure mosse al riguardo nel ricorso.

6.- G.A., già in primo grado assolto dal reato, ascritto dal 1988 in avanti, di appartenenza all’associazione di stampo mafioso denominata Clan Gaeta (capo 1 della rubrica), dedita a delitti vari, e dal reato di detenzione continuata di cocaina e hashish (capo 4A), e condannato, per i reati, uniti ex cpv. art. 81 c.p., di appartenenza ad associazione di narcotraffico (capo 2) e minaccia grave (capo 18), previa esclusione dell’aggravante ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e concessione delle attenuanti generiche prevalenti, alla pena di anni quattro, mesi otto e giorni venti di reclusione, oltre all’interdizione dai pp. uu. per anni cinque e alla statuizione della confisca dei beni (anche se intestati a terzi) già oggetto di sequestro preventivo, deduce, nei confronti della sentenza di appello – che, escludendo l’aggravante di cui al comma 4 per il reato ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e riconoscendo il vincolo della continuazione dei fatti oggetto del presente giudizio con quelli oggetto della sentenza definitiva del Tribunale di Foggia del 01.12.1996, ha rideterminato la pena in anni quattro e mesi dieci di reclusione (condonata per mesi quattro e giorni venti), con revoca della sospensione concessa con la summenzionata sentenza e conferma della confisca dei beni di cui ai decreti GIP Bari 08.10.2007 e 20.02.2008 -, che:

a.- la responsabilità per il capo 2 è stata affermata sulla base delle propalazioni dei due collaboranti T. e D.N., in larga parte "de relatò", poco attendibili e comunque non reciprocamente riscontrantisi nè riscontrate da altre risultanze; b.- la statuizione sulla confisca ex D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies ha illegittimamente riguardato anche beni non confiscati dal primo giudice e su cui non vi era stata impugnazione da parte del P.M. ed è stata poi in via generale, anche in forza di tale errore, del tutto inadeguatamente motivata.

6.- Il ricorso è parzialmente fondato. a.- La motivazione sulla responsabilità per il reato di cui al capo 2 resiste alle censure mosse, risultando adeguatamente resa col riferimento alle ampie, precise e convergenti dichiarazioni dei collaboranti T. e D.N. (pp. 63 s. sent 2^ gr e pp. 184- 188 sent 1 gr), dichiaranti anche diretti, in ordine ai quali non si ravvisano, sul punto, apprezzabili ragioni di inattendibilità. b’.- Riguardo alla confisca, premessa la condivisibilità dell’assunto che il primo giudice avesse disposto la confisca dei beni oggetto già di sequestro preventivo (ancora in atto) da parte del GIP, vi è anzitutto da osservare che fra tali beni non possono farsi rientrare l’immobile di cui alla nota di trascrizione n. 5848 del 30.03.2004 e l’autovettura Audi tg (OMISSIS), intestati a M.C., per i quali fu respinta a suo tempo dal GIP la richiesta di sequestro, e che invece la Corte d’appello menziona in parte motiva.

Manca inoltre, da parte della Corte d’appello, la verifica circa la situazione di persistenza del sequestro dell’immobile di cui alla nota di trascrizione n. 4797 del 22.03.2005.

Gli errori e le omissioni di cui sopra inficiano di per sè la valutazione del rapporto di proporzionalità fra beni posseduti e redditi. Al riguardo, peraltro, l’impugnata sentenza presenta anche un tenore apodittico, laddove pone in dubbio la effettività dell’attività di bracciante ed esclude la possibilità che la madre dell’imputato potesse sostenerlo economicamente nei suoi acquisti.

La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio in ordine alla confisca relativa ai suddetti beni intestati alla M. e con rinvio in ordine alla confisca relativa agli altri beni.

7.- G.F. cl. (OMISSIS), già in primo grado assolto dal reato, ascritto dal 1988 in avanti, di appartenenza all’associazione di stampo mafioso denominata Clan Gaeta (capo 1 della rubrica), dedita a delitti vari, e dal reato di detenzione di cocaina (capo 17), prosciolto per precedente giudicato da altro reato di detenzione di cocaina (capo 4), e condannato, per il reato di appartenenza con qualità di capo ad associazione di narcotraffico (capo 2), previa esclusione dell’aggravante ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e concessione delle attenuanti generiche equivalenti, alla pena di anni quattordici di reclusione, oltre all’interdizione perpetua dai pp.uu. e alla confisca dei beni ancora in giudiziale sequestro, deduce, nei confronti della sentenza di appello – che lo ha ritenuto responsabile altresì del reato di cui al capo 1, riqualificato come associazione a delinquere semplice ex art. 416 cp. e considerato avvinto ex cpv. art. 81 c.p.. con l’altro reato, rideterminando la pena, previa esclusione dell’aggravante di cui al comma 4 per il reato ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, in anni undici di reclusione (condonata per anni tre), con conferma parziale della confisca dei beni di cui ai decreti GIP Bari 08.10.2007 e 20.02.008-, che:

a. – l’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 1, riqualificato come reato ex art. 416 c.p. è sostanzialmente priva di motivazione, in quanto desunta di riflesso dalla precedente contestazione ex art. 416 bis c.p., in relazione alla quale molte attività scopo sono state ritenute esulanti dal contesto associativo, e in assenza di ogni diretto coinvolgimento del ricorrente in altre attività illecite (truffe INPS, traffico di rifiuti);

b.- la responsabilità per il reato di cui al capo 2 è stata riconosciuta senza la prova dell’esistenza dei requisiti oggettivi del sodalizio e della soggettiva partecipazione dell’imputato;

c. – non si è tenuto alcun conto della documentata allegazione di un precedente giudicato assolutorio dallo stesso delitto associativo di cui al capo 2 per il periodo novembre 1998-06.06.2007, costituito dalla sentenza del Tribunale di Pescara del 26.06.2007;

d.- non c’è stata motivazione sulla richiesta di riconoscere la prevalenza delle attenuanti generiche.

7.- Il ricorso è parzialmente fondato. a.- L’affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 1, riqualificato come reato ex art. 416 c.p., è effettivamente carente di motivazione, in quanto desunta di riflesso dalla precedente contestazione ex art. 416 bis c.p., in relazione alla quale molte attività scopo sono state ritenute esulanti dal contesto associativo, e basata su altre attività illecite che toccano marginalmente l’imputato (traffico di rifiuti) ovvero attengono a un settore (truffe INPS) per il quale il GUP ha ravvisato – senza impugnativa sul punto del P.M. – un fatto diverso. b.- La motivazione in ordine alla responsabilità per il reato di cui al capo 2, resa dalla sentenza impugnata, come doverosamente integrata dall’analitica e argomentata illustrazione degli elementi probatori offerta dal primo giudice (p 198 ss.), resiste alle censure mosse al riguardo nel ricorso. c.- Per quanto concerne l’eccezione di violazione del divieto del "ne bis in idem", deve rilevarsi che nè in appello nè in questa sede sono stati forniti elementi illustrativi e documentali sufficienti per poter verificare l’effettività della addotta sovrapposizione di procedimenti e la conseguente sussistenza di preclusioni processuali di sorta. d.- Fondato è il motivo con cui si lamenta l’omessa risposta alla argomentata richiesta formulata nell’atto di appello circa l’inadeguatezza del giudizio di comparazione delle circostanze.

Concludendo, la sentenza impugnata deve essere annullata sul reato di cui al capo 1 e sul giudizio comparativo 8.- K.E.H., già in primo grado assolto dal reato, ascritto dal 1988 in avanti, di appartenenza all’associazione di stampo mafioso denominata Clan Gaeta (capo 1 della rubrica), dedita a delitti vari, e condannato, per il reato di appartenenza ad associazione di narcotraffico (capo 2), previa concessione delle attenuanti generiche prevalenti, alla pena di anni quattro e mesi otto, oltre all’interdizione dai pp. uu. per anni cinque, deduce, nei confronti della sentenza di appello – che, riconoscendo il vincolo della continuazione dei fatti oggetto del presente giudizio con quelli oggetto della sentenza definitiva della Corte d’appello di Bari del 05.03.2008, ha rideterminato la pena in anni nove di reclusione ed Euro 24000,00 di multa, con conferma delle pene accessorie e delle misure di sicurezza irrogate dalla summenzionata sentenza -, che la responsabilità per il capo 2 è stata affermata senza elementi concreti idonei a definire i tempi e il ruolo della presunta partecipazione dell’imputato al sodalizio e sulla base di vaghe e smentite propalazioni di un collaborante e nonostante le comprovate allegazioni di un rapporto limitato e meramente interpersonale con tale Costantino.

8.- Il ricorso è fondato. Dalla coordinata lettura delle motivazioni della sentenza di appello (p. 57 s.) e della sentenza di primo grado (pp. da 208 a 212) non emerge, alla stregua in particolare delle riportate dichiarazioni del collaborante D.N., un quadro probatorio logicamente coerente e compiuto circa l’effettiva intraneità dell’imputato al sodalizio. Si ricorda al riguardo che il vincolo associativo può essere ravvisato anche tra soggetti che si pongono in posizioni contrattuali contrapposte nella catena del traffico di stupefacenti (come i fornitori all’ingrosso rispetto agli acquirenti), a condizione però che i fatti costituiscano espressione di un progetto indeterminato volto al fine comune del conseguimento del lucro da essi derivante, e che gli interessati siano consapevoli del ruolo svolto nell’economia del fenomeno associativo (Cass. Sez. 6, 28 settembre 2007, Giuliano; 16 dicembre 2004, dep. 27 gennaio 2004, n. 2851, Chicco). La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio.

9.- R.A., già in primo grado assolto dal reato, ascritto dal 1988 in avanti, di appartenenza all’associazione di stampo mafioso denominata Clan Gaeta (capo 1 della rubrica), dedita a delitti vari, e dai reati di rapina (capo 13) e detenzione armi (capo 13A), prosciolto per intervenuta prescrizione da tre reati di furto aggravato (capi 5, 6 e 9), e condannato, per i reati, uniti ex cpv. art. 81 c.p., di appartenenza ad associazione di narcotraffico (capo 2), e concorso in indotto falso ideologico continuato (commesso fino a tutto il (OMISSIS)) e truffa aggravata continuata (commessa fino a tutto il (OMISSIS)) in danno dell’INPS (consistenti nel far risultare finte assunzioni di braccianti agricoli e nel determinare conseguenti indebite erogazioni di indennità previdenziali), previa esclusione dell’aggravante ex D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e concessione delle attenuanti generiche prevalenti, alla pena di anni cinque e mesi otto di reclusione, oltre all’interdizione perpetua dai pp.uu., deduce (in due atti di ricorso), nei confronti della sentenza di appello – che lo ha assolto dal reato di cui al capo 15 e ritenuto responsabile altresì del reato, considerato avvinto ex cpv. art. 81 c.p. con gli altri reati, di cui al capo 1, riqualificato come associazione a delinquere semplice ex art. 416 c.p. rideterminando la pena, previa esclusione dell’aggravante di cui al comma 4 per il reato ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, in anni cinque di reclusione, con interdizione dai pp.uu. per anni cinque e conferma della sentenza del GUP nel resto – che la responsabilità per il capo 2 è stata riconosciuta sulla base delle propalazioni dei collaboranti T. e D.N., non autonome fra loro, non reciprocamente riscontrantisi e non sono altrimenti riscontrate.

9.- Il ricorso è in sè inammissibile, in quanto sostanzialmente rivolto a contestare la valutazione delle risultanze processuali, compiuta senza manifeste illogicità dalle sentenze di primo (pp. 229- 232) e secondo grado (p. 62 s.).

Per quanto concerne, tuttavia, il reato di cui al capo 1, gli deve essere estesa, per la identità delle situazioni e la impersonalità della questione, la statuizione già assunta per l’imputato D. G. (con eliminazione della relativa pena di mesi due).

10.- S.P., già in primo grado assolto dal reato, ascritto dal 1988 in avanti, di appartenenza all’associazione di stampo mafioso denominata Clan Gaeta (capo 1 della rubrica), dedita a delitti vari, e condannato, per i reati, uniti ex cpv. art. 81 c.p., di appartenenza ad associazione di narcotraffico (capo 2) e di concorso in indotto falso ideologico continuato (capo 14) e truffa aggravata continuata (capo 14A) in danno dell’INPS, previa concessione delle attenuanti generiche prevalenti, alla pena di anni cinque e mesi otto di reclusione, oltre all’interdizione perpetua dai pp. uu., deduce (in due atti di ricorso), nei confronti della sentenza di appello – che lo ha prosciolto per prescrizione dai reati di cui ai capi 14 e 14A e, riconoscendo il vincolo della continuazione del reato di cui al capo 2 con i fatti oggetto della sentenza della Corte d’appello di Bari del 24.02.2004, ha rideterminato la pena, previa esclusione dell’aggravante ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 4, in anni cinque di reclusione, con interdizione dai pp. uu. per anni cinque e conferma nel resto della sentenza del GUP -, che:

a – la responsabilità per il capo 2 è stata ritenuta sulla base delle propalazioni dei due collaboranti T. e D.N., senza considerare che dalle stesse e, in particolare, dalle dichiarazioni del T., emerge piuttosto l’autonomia della condotta dell’imputato;

b.- manca la motivazione sulla richiesta di diminuzione massima per le concesse attenuanti generiche.

10.- E’ fondato il motivo sulla responsabilità (con conseguente assorbimento del motivo sul trattamento sanzionatorio). Dalla coordinata lettura delle motivazioni della sentenza di appello (p. 61 s.) e della sentenza di primo grado (pp. da 234 a 237) non emerge, alla stregua in particolare delle riportate dichiarazioni del collaborante T., un quadro probatorio logicamente coerente e compiuto circa l’effettiva intraneità dell’imputato al sodalizio.

Deve sottolinearsi, al riguardo, che l’utilizzazione di una struttura associativa finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, già organizzata e autonomamente funzionante, da parte di un soggetto che operi per suo conto e con propri mezzi, al solo fine dell’acquisto di partite di simili sostanze, non può di per sè configurare a carico del medesimo l’ipotesi di partecipazione all’associazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 (v. , fra le altre, Cass., sez. 6A, 6 novembre 2006, Geraci; 22 marzo 1996, Battistelli), occorrendo che nella detta condotta sia rinvenibile il paradigma oggettivo e soggettivo del reato associativo, e cioè che l’attività dell’acquirente sia posta in essere avvalendosi continuativamente delle risorse dell’organizzazione con la coscienza e volontà di farne parte e di contribuire al suo mantenimento, non potendosi automaticamente desumere tali caratteri da una serie di operazioni, ancorchè frequenti, di compravendita di sostanze stupefacenti tra le stesse persone (Cass., sez. 6A, 7 aprile 2003, Marrone; Id., 18 marzo 2003, Madaffari; Id., 18 marzo 2003, Salerno). La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio.

11.- SC.Mi., già in primo grado assolto dal reato, ascritto dal 1988 in avanti, di appartenenza all’associazione di stampo mafioso denominata Clan Gaeta (capo 1 della rubrica), dedita a delitti vari, e dai reati di detenzione continuata di cocaina e hashish (capo 4B), detenzione di arma (capo 4C) e impiego di denaro di provenienza illecita (capo 19A), e condannato, per il reato di appartenenza con qualità di capo ad associazione di narcotraffico (capo 2), previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti, alla pena di anni tredici e mesi quattro di reclusione, oltre all’interdizione perpetua dai pp.uu., deduce (in due atti di ricorso), nei confronti della sentenza di appello, che, previa esclusione della qualità di capo e dell’aggravante di cui al comma 4 per il reato ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, gli ha ridotto la pena ad anni otto di reclusione (condonata per mesi due e giorni cinque), con conferma della sentenza del GUP nel resto, che:

a.- sono inutilizzabili le dichiarazioni dei collaboranti rese dopo la scadenza dei termini di cui agli artt. 405 e 407 c.p.p.;

b.- la responsabilità per il capo 2 è stata riconosciuta in base alle propalazioni del T. e del D.N., scarsamente attendibili (anche in quanto generiche e sospette), non reciprocamente riscontrantisi nè altrimenti riscontrate e, in ogni caso, inidonee a configurare il delitto associativo;

c.- manca la motivazione sulla richiesta di riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche.

11.- Il ricorso è parzialmente fondato. a.- L’inutilizzabilità degli atti d’indagine prevista per il caso in cui tali atti siano stati effettuati dopo la scadenza dei termini prescritti, non essendo equiparabile alla inutilizzabilità delle prove vietate dalla legge, di cui all’art. 191 c.p.p., non è rilevabile d’ufficio ma solo su eccezione di parte, sicchè essa non opera nel giudizio abbreviato (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 16986 del 24/02/2009,, dep. 22/04/2009, Abis, Rv. 243257; conformi: N. 1176 del 1992 Rv. 189856, N. 2383 del 1998 Rv. 210673, N. 2666 del 2005 Rv.

230869, N. 40791 del 2007 Rv. 238040). b.- la responsabilità per il reato di cui al capo 2 risulta adeguatamente motivata dalla coordinata lettura delle sentenze di primo (pp. 240-245) e secondo grado (p.60 s.) e le obiezioni sollevate nel ricorso sono sostanzialmente di carattere assertivo ovvero valutativo. c.- Fondato è il motivo con cui si lamenta l’omessa risposta alla richiesta, formulata nell’atto di appello, di una revisione favorevole del giudizio di comparazione delle circostanze. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio sul punto.

12.- V.A., già in primo grado assolto dal reato, ascritto dal 1988 in avanti, di appartenenza all’associazione di stampo mafioso denominata Clan Gaeta (capo 1 della rubrica), dedita a delitti vari, tra cui truffe in danno dell’INPS, e condannato, per i reati, uniti ex cpv. art. 81 c.p., di appartenenza ad associazione di narcotraffico (capo 2), di concorso in indotto falso ideologico continuato (commesso fino a tutto il (OMISSIS)) e truffa aggravata continuata (commessa fino al (OMISSIS)) in danno dell’INPS (consistenti nel far risultare finte assunzioni di braccianti agricoli e nel determinare conseguenti indebite erogazioni di indennità previdenziali: capi 14 e 14A), previa concessione delle attenuanti generiche prevalenti, alla pena di anni cinque e mesi otto di reclusione, oltre all’interdizione perpetua dai pp. uu., deduce, nei confronti della sentenza di appello – che lo ha prosciolto per prescrizione dal reato ex L. n. 685 del 1975, art. 75, così modificato il capo 2, rideterminando la pena per i residui reati in anni uno e mesi otto di reclusione (interamente condonata), con revoca della pena accessoria e conferma della sentenza del GUP nel resto – che la sua responsabilità per i capi 14 e 14A è stata confermata sulla base della circostanza, certamente insufficiente, della sua semplice partecipazione alla costituzione a all’assunzione della qualità di socio della Cooperativa L’Operosa, coinvolta negli illeciti.

12.- Il ricorso è fondato, alla stregua del tenore della sentenza di primo grado (p. 359), che segnala l’estraneità dell’imputato all’ipotizzato sodalizio specifico. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio relativamente ai reati di cui ai capi 14 e 14A per non avere l’imputato commesso il fatto.

I ricorrenti i cui ricorsi vengono dichiarati inammissibili devono essere condannati al pagamento delle spese processuali e ciascuno alla somma di Euro 1000,00 (tale ritenuta equa in relazione ai motivi dell’inammissibilità) in favore della cassa delle ammende.

In relazione ai reati coinvolti e agli esiti dei ricorsi, gli imputati C., Co., D.G. e R. devono essere condannati in solido a rifondere alla parte civile INPS le spese sostenute per questo giudizio.

P.Q.M.

Dispone la separazione della posizione del ricorrente SI. V.N. e la formazione di autonomo fascicolo processuale;

rinvia il processo a nuovo ruolo nei suoi confronti.

Dichiara inammissibili i ricorsi di C.C., CO.AN. e DE.NO.AN., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di:

D.G.P., limitatamente al reato di cui al capo 1) così come riqualificato, per la inammissibilità dell’appello del p.m. sul suddetto capo ed elimina la relativa pena di anni uno mesi due di reclusione; dichiara inammissibile nel resto il ricorso del D. G.;

G.A., limitatamente alla confisca, che esclude, dell’immobile di cui alla nota di trascrizione n. 5848 del 30.3.2004 e dell’autovettura Audi tg (OMISSIS) intestati a M.C.;

annulla la stessa sentenza nei confronti del G.A. limitatamente alla confisca relativa agli altri beni e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Bari; rigetta nel resto il ricorso;

R.A., per l’effetto estensivo, limitatamente al reato di cui al capo 1) così come riqualificato, per la inammissibilità dell’appello del p.m. sul suddetto capo, ed elimina la relativa pena di mesi due di reclusione; dichiara inammissibile nel resto il ricorso del R.;

V.A., relativamente ai reati di cui ai capi 14) e 14 A) per non avere l’imputato commesso il fatto.

Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Bari, nei confronti di:

G.F., limitatamente al reato di cui al capo 1) così come riqualificato ed al giudizio di comparazione tra le circostanze;

rigetta nel resto il ricorso;

F.P. limitatamente al reato di cui al capo 1), così come riqualificato, e al reato di cui al capo 19); rigetta nel resto il ricorso; K. o K.E.H.; S.P., limitatamente al reato di cui al capo 2); SC.MI. limitatamente al giudizio di comparazione delle circostanze e rigetta nel resto il ricorso.

Condanna in solido il C., la CO., il D.G. e il R. alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile INPS che liquida in complessivi Euro 2200.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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